giovedì , 10 Ottobre 2024

Dall’11 settembre a Barack Obama. La storia contemporanea nei fumetti

Il saggio di Luigi Siviero che analizza la visione dei fumetti della storia contemporanea post 11 settembre

600-siviero

di Stefania Povolo

Alla luce del recentissimo discorso di Barak Obama sulla��intensificarsi della guerra contro i terroristi e la��isis, avvenuto proprio alla vigilia di uno degli anniversari piA? importanti della storia contemporanea americana, ritorna quanto mai interessante la lettura della��ultimo saggio che il trentinissimo Luigi Siviero ha scritto: “Dall’11 settembre a Barack Obama. La storia contemporanea nei fumetti” edito da NPE.

Si tratta di un lavoro di confronto e commento del continuo intreccio tra la storia internazionale caratterizzata dalla guerra al terrorismo post 11 settembre, conflitto afghano e accordi internazionali, e i rimandi rilevati dal Siviero nella letteratura fumettistica.

Come la societA� reale, anche i personaggi dei fumetti e i loro eroi si sono confrontati con il cambio di prospettiva dato dalla mutata situazione politica, dalla��incrinatura della��immagine americana e dalla��ombra multiforme e minacciosa dei conflitti mondiali.

Spesso poi, nella��alzare A�lo sguardo dai fumetti, gli elementi simbolici usati dai supereroi nelle loro avventure ritornano come ottima metafora anche nella vita reale, diventando buone tracce nel leggere e interpretare ciA? che ci sta attorno.

Ecco perchA� un lavoro come quello riportato nel saggio di Siviero si rivela interessante in questi momenti di complessitA�: diventa un percorso a piA? livelli, una��ottima fonte di spunti e ragionamenti per interpretare a modo proprio gli scenari in cui siamo immersi, sia per chi A? un appassionato di supereroi e comics, sia per chi non lo A?.

abbiamo chiesto un parere allo stesso autore, su come conciliare la cultura dell’eroe marvelliana e le ultime comunicazioni sulla lotta al nemico. CosA� ci ha risposto:

Mi sembra che il discorso di Obama, pur essendo simile nella sostanza alle dichiarazioni di guerraA�di Bush dello scorso decennio, sia piA? cauto nei toni. Dalla fine del 2001 alla metA� del 2003 GeorgeA�W. Bush usA? un linguaggio arrogante perchA� credeva che gli Stati Uniti fossero una macchina daA�guerra invincibile. Fu costretto a ricredersi quando le truppe americane entrarono a Baghdad eA�iniziA? la seconda fase del conflitto, fatta di attentati lungo le strade e di autobombe lanciate contro iA�posti di blocco.A�Bush era la voce di un Paese che si proponeva al Mondo come Impero egemone, prima che laA�Guerra in Iraq volgesse al peggio e che la crisi economica prendesse il posto del terrorismo in cimaA�alle paure della popolazione.A�La��ultimo capitolo del mio libro, incentrato su Barack Obama, riguarda proprio questo cambiamentoA�del tipo di paura. Durante la campagna elettorale della��autunno del 2007 e alla��inizio del primoA�mandato, Barack Obama fu trasformato dai fumettisti in un vero e proprio supereroe. Nella finzioneA�dei fumetti Barack Obama era diventato Capitan Obama, un supereroe che aveva il compito diA�fare dimenticare la��epoca buia della Guerra al Terrore. La��esempio principale di Obama nei panniA�di un supereroe si trova in Final Crisis di Grant Morrison, JG Jones, Carlos Pacheco, MarcoA�Rudy e Doug Mahnke, un fumetto della DC Comics del 2008 in cui Superman non A? il giornalistaA�Clark Kent, ma un nero simile a Obama che ricopre il ruolo di Presidente degli Stati Uniti. LoA�sceneggiatore Grant Morrison creA? questo nuovo Superman proprio perchA� riteneva che i fumettiA�di supereroi dovessero scrollarsi di dosso la cupezza che aveva caratterizzato le pubblicazioni degliA�anni precedenti, e che si era accresciuta mano a mano che la situazione in Iraq peggiorava. ObamaA�era lo stimolo per invertire la tendenza e comunicare finalmente un messaggio positivo.A�Col passare degli anni il Capitan Obama supereroe fu accantonato per lasciare spazio, nelle vignetteA�politiche, a un altro Capitan Obama, il capitano di una nave (metafora degli Stati Uniti) che colava aA�picco a causa della crisi economica.A�Ridimensionato, ma non disconosciuto, il ruolo imperiale degli Stati Uniti, oggi Obama siA�rivolge a un popolo ancora scottato dalla Guerra in Iraq e dalla crisi economica. Non a caso laA�preoccupazione del Presidente A? di dire che non saranno coinvolte truppe di terra (mentendo, perchA�A�ha annunciato anche che saranno inviati a Baghdad 500 soldati!) e che l’America non sarA� trascinataA�in una nuovo conflitto come il precedente in Iraq e in Afghanistan.

Negli ultimi sviluppi quanto lei ha analizzato nel suo libro sembra rivelarsi in modo ancor piA?A�evidente: E’ il linguaggio a strisce che richiama quello della realtA�, o A? la realtA� che ricalca neiA�comunicati e nelle tematiche i grandi temi dei supereroi?

Da sempre nei fumetti di supereroi ca��A? attenzione a ciA? che succede nella realtA�, che fornisceA�spunti per le trame e occasioni di riflessione. A? cosA� fin dagli albori di questo genere narrativo: nelA�marzo del 1941 Capitan America prese a pugni Adolf Hitler sulla copertina di Captain AmericaA�n. 1 disegnata da Jack Kirby. A quel tempo gli Stati Uniti erano neutrali e lo sarebbero rimastiA�fino alla��8 dicembre 1941, quando Roosevelt dichiarA? guerra al Giappone in seguito alla��attacco diA�Pearl Harbor. Probabilmente Kirby tentA? di intercettare un sentimento diffuso nella popolazioneA�americana, oltre a esprimere in maniera iconica e fulminante la propria posizione sulla guerraA�innescata dalla Germania e su come gli Stati Uniti avrebbero dovuto prendervi parte.A�O ancora, fra gli esempi del passato si puA? citare Watchmen di Alan Moore e Dave Gibbons,A�imperniato sulla Guerra Fredda e sulla prima Guerra in Afghanistan. Questo fumetto, scritto da unA�anarchico e fondato su idee anarchiche, uscA� a metA� degli anni Ottanta, nella��epoca in cui RonaldA�Reagan tentA? di esasperare il conflitto a distanza con la��Unione Sovietica definendola la��Impero delA�Male.

Anche quando la politica ricorre alla guerra, nel passato come ai giorni nostri, il linguaggio ha unA�ruolo centrale. Lo ebbe quando Roosevelt chiamA? a�?Giorno della��Infamiaa�? la��attacco a Pearl Harbor eA�Reagan coniA? la��espressione a�?Impero del Malea�?, e lo ebbe nella guerra del linguaggio di George W.A�Bush, che fece ricorso a termini come a�?Stati canagliaa�?, a�?Asse del Malea�? e a�?armi di distruzione diA�massaa�?.

Essendo il fumetto un linguaggio che puA? avere, e ha quasi sempre, una componente verbale, A?A�inevitabile che gli autori assorbano discorsi verbali pervasivi come quelli fatti dai politici. PuA?A�esserci (ovviamente non in ogni singolo fumetto) un richiamo della realtA� alla��interno dei fumetti. A�Poi la��autore puA? limitarsi a usare la realtA� come mero sfondo, come A? giusto che possa essere,A�oppure tentare di intervenire innestando le proprie idee in maniera critica, sperando di influire inA�qualche misura sulla realtA� stessa.

Da qualche parte i nostri supereroi dei fumetti (e i loro disegnatori) stanno ascoltando comeA�noi l’ultimo discorso del presidente americano? dopo l’apologia dell’eroe, chi verrA� a salvareA�gli innocenti? e soprattutto, da che parte si porrebbe?A�

Nella serie Ultimates di Mark Millar e Bryan Hitch, una versione distopica dei classici VendicatoriA�(Avengers) della Marvel pubblicata nella prima metA� degli anni Zero, Capitan America, Iron Man eA�gli altri membri del gruppo erano concepiti come armi di distruzione di massa da usare nelle guerreA�contro gli Stati canaglia. In quanto armi potenzialmente replicabili e riproducibili, gli UltimatesA�erano spersonalizzati e trattati dalla��amministrazione Bush come pedine sullo scacchiere globale. InA�questo modo, privati della loro individualitA�, smettevano di essere eroi.A�A quel tempo gli autori ci tenevano a protestare contro la guerra. Ca��era la speranza che iA�protagonisti dei fumetti smettessero di essere armi e ritornassero a fare gli eroi. Forse oggi, dopoA�che di fatto Obama ha agito per due mandati come un Bush in tono minore, la speranza (ravvivataA�nel 2008 attraverso fumetti come Final Crisis) ha lasciato il posto alla disillusione. Sperare non A?A�ancora diventato impossibile, ma A? certamente un poa�� piA? utopico oggi che nel 2008.

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