LE NOTTI CHIARE ERANO TUTTE UN'ALBA

pubblicato da: admin - 4 Maggio, 2010 @ 6:35 pm

scansione0006Ho ripensato a questo volumetto comprato 10 anni fa dopo la serata di ieri sera. Ma andiamo con ordine. Sono stata invitata dalla ospitale Cristina nella sua casa calorosa per una delle serate “accademiche”, cioè riunioni di persone che amano la musica, la letteratura, le arti in genere. Si portano torte e idee,  e Cristina ci offre non solo pizzette, bevande e  la sua generosa disponibilità, ma il suo talento di pianista.

La serata di ieri è iniziata con un concerto a quattro mani:  Cristina e Lucia  ci hanno deliziati con brani di Bach, Mozart, Fauré e Beethoven. Dopo la pausa  -libagioni con prelibatezze salate e torte  di tutti i colori, eravamo pronti per la seconda parte della serata culturale.  Il giornalista Luigi Sardi ci ha presentato il suo libro “Il compagno Mussolini”  che racconta di quando il futuro duce era ancora socialista,  delle sue visite a Trento, dei pranzi consumati a “I tre garofani”, al “Pedavena” ( – dove sembra non abbia saldato il conto – ), della relazione con Ida Dalser di Sopramonte, di cui conosciamo tutti la storia, dopo aver visto il film (“Vincere”) di Bellocchio, e tanto altro.

Interventista, Mussolini fu mandato sul fronte carsico dove venne ferito. Ho ripensato subito ad Ungaretti e  a tutti gli altri poeti che hanno combattuto. Appena tornata a casa  ho cercato nel mio scaffale senza fondo questo volumetto curato da Andrea Cortellessa.

 E’ un’antologia articolata per sezioni tematiche e mostra che cosa  la prima guerra mondiale, la grande guerra, ha significato per i maggiori poeti del Nocecento italiano.

Guerra -attesa, desiderata da chi patriotticamente voleva ricongiungere Trento e Trieste all’Italia; guerra -follia, lutto, tagedia;  guerra-festa-potenza per molti futurististi che la ritenevano la sola “igiene del mondo”. Si applaude al coraggio , alla virilità.

Persino Umberto Saba in “Congedo” scrive “Poi che il soldato che non parte in guerra / è femmina che invecchia senz’amore: e c’è un binomio, che nel mesto cuore / uno squillo ancor dà: Trento e Trieste: /poi che la vita è un male, e son moleste, / dopo la prima giovinezza, l’ore: / ma chi soldato fra i soldati muore, / resta giovane sempre sulla terra…

Si esalta la violenza come nella terribile “Ode alla violenza” del futurista E.Cardile ” “…sorgi tu Violenza, dall’abisso / ove t’incatena il sonno/ ove t’incatena la servitù e la vecchiezza :oh, Violenza, sorgi, balena in questo cielo /sanguigno, stupra le albe, / irrompi come incendio nei vesperi,/ fa di tutto il sereno una tempesta, / fa con tutte le anime un odio solo!”

Paolo Buzzi, che aderisce al Manifesto di Marinetti, scrive “…Oh gioia d’essere automa, una volta, / di provar l’anima piccola scatolare /dei piccoli soldatini di piombo in fila dura! /Oh, lussuria, sapersi / la forza d’una forza, l’arma / d’un braccio formidabile, lo svelto / strumento di morte possibile della Società. / E sentirsi,/ nella persona eretta, / la Patria, l’asta della bandiera …”

Ardengo Soffici nel suo “Aeroplano” “…Stringo il volante con mano d’aria/ Premo la valvola con la scarpa al cielo / Frrrrr frrrrrr rrrrrrr affogo nel turchino ghimè / Mangio triangoli di turchino di mammola / Fette d’azzurro…Impennamento erotico fra i pavoni reali delle nuvole/…il mio cuore meteora si spande come uno sperma / nell’abisso fecondo del sangue…/ A 6207 metri incipit vita nova…/ E tranquillamente aspettare, /Soldati gli uni agli altri più che fratelli, / La morte; che forse non ci oserebbe toccare, / Tanto siamo giovani e belli/.

Poesia bellissima se avesse un altro messaggio. Così diversa la mesta e consapevole “Fratelli” di Ungaretti : “Di che reggimento siete /fratelli? / Parola tremante / nella notte./ Foglia appena nata/ nell’aria spasimante/ involontaria rivolta/ all’uomo presente alla sua fragilita./ Fratelli.”

E allora ripenso ai tutti i giovani del ’99, a tutti i soldati che soffrendo nelle trincee hanno combattuto per un  alto ideale. Rivedo il sacrario di Re di Puglia, come lo vidi proprio il maggio scorso, nella mia ultima gita scolastica. Non c’era nessuno: il cielo plumbeo, gli altri cipressi  all’inizio, e poi quella enorme bianca  scalinata piena di nomi, tantissimi nomi  che si ergeva verso l’alto. Persino i chiassosi ragazzi delle terze smisero di parlare e di correre.

 Penso a Luigi che raccoglie con amore i cimeli della grande guerra, e lo fa con passione e grande rispetto, per non  dimenticare.

I versi che danno il titolo a questo volumetto sono di Eugenio Montale, anch’egli combattente in Trentino, sotto il monte Corno, dove nel ’16 avevano fatto prigioniero Battisti : “Valmorbia, discorrevano il tuo fondo /fioriti di piante agli àsoli. /Nasceva in noi, volti dal cieco caso, /oblio del mondo./ Tacevano gli spari, nel grembo  solitario/ non dava suono che il Leno roco. / Sbocciava un razzo su lo stelo, fioco / lacrimava nell’aria. / Le notti chiare erano tutte un’alba / e portavano volpi alla mia grotta. / Valmorbia, un nome – e ora nella scialba /memoria, terra dove non annotta. /

Montale nella sua distaccata contemplazione  ci richiama a ricordare l’innaturale.

Per fortuna  la  nostra vita si sta svolgendo  nel tempo naturale della pace.

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11 commenti
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  1. Questo post mi fa pensare all’assurdità della guerra che sicuramente non sono la prima a definire “macchina di morte”. Infatti è risaputo che dietro ad essa ci sono interessi di pochi a discapito della massa facilmente convinta del contrario grazie soprattutto ai mezzi di comunicazione. Così avvenne per la prima guerra mondiale, dato che dopo un’iniziale dichiarazione di neutralità da parte dell’Italia ci fu poi un mare di inchiostro che produsse un mare di sangue.
    Alla fine della Grande Guerra crollarono gli imperi che avevano caratterizzato la storia dell’Europa e sorsero così le nazioni. La società mondiale entra così nell’era delle tecnologie, della produzione industriale, dei movimenti di massa, delle dittature e delle ideologie, per portarci però diretti alla ancor più rovinosa seconda guerra, non ancora dimenticata.
    Non so se viviamo tempi “naturali”. La guerra è nel mondo e siamo nel pieno della cosiddetta globalizzazione, cosa ci si può ancora aspettare?
    Ho trovato questa bellissima poesia scritta da Ungaretti nell’immediato dopoguerra e rivolta ai superstiti affinchè si ricordino delle sofferenze subite e perchè il sacrificio di tutti i Caduti non sia stato vano.

    NON GRIDATE PIU’
    Cessate d’uccidere i morti,
    Non gridate più, non gridate
    Se li volete ancora udire,
    Se sperate di non perire.
    Hanno l’impercettibile sussurro,
    Non fanno più rumore
    Del crescere dell’erba,
    Lieta dove non passa l’uomo

  2. Mia carissima Mirna, ho letto con grande piacere il tuo commento sulla serata dell’Accademia. Sul tuo blog, poi! Troppo bello e te ne ringrazio.
    La guerra…atroce pensiero che mi ha sempre sconvolta. Quando ascoltavo i racconti della mia nonna, delle polente mangiate crude prima di correre ai rifugi, dei suoi figli al fronte… e dell’apparizione un mattino, di un militare con un foglio in mano. E mia nonna che, asciugandosi le stanche mani nel grembiule, riesce soltanto ad alitare “quale?”. Ecco, quando penso a tutto questo mi vengono i brividi.
    Alcuni anni fa, durante un corso d’aggiornamento che ho tenuto a scuola, abbiamo letto questa poesia di Ungaretti. Mi prende sempre molto e non servono le parole per commentarla. Però ci voleva una musica particolare come sottofondo e, ricordo, che avevo scelto il “coro muto” di M: Butterfly. L’emozione suscitata in tutti noi è stata enorme e i nostri occhi erano lucidi. La poesia a cui mi riferisco è “Veglia”

    Un’intera nottata/buttato vicino/a un compagno
    massacrato/con la sua bocca/digrignata/volta al plenilunio
    con la congestione/delle sue mani/penetrata
    nel mio silenzio/ho scritto/lettere piene d’amore
    Non sono mai stato/tanto/attaccato alla vita.

    Grazie Mirna per tutto ciò che ci doni, per costringerci a meditare e a guardare dentro di noi. Sei unica. Bacioni Cristina

  3. Il tema della Prima Guerra Mondiale offre molti spunti per delle riflessioni, fra i quali quello del ricordo, della memoria. Ungaretti stesso, il mio poeta preferito, nella poesia “S. Martino del Carso”, dice che “nel cuore nessuna croce manca”. Questi due versi hanno anche dato il titolo al memoriale di febbraio al Palazzo della Regione di Trento, nel quale sono stati ricordati, uno per uno, gli oltre 11.000 trentini caduti nella Grande Guerra. Ho contribuito anch’io a quest’evento, inviando le liste che io stesso ho aggiornato dei caduti dell’intero perginese: un lungo, duro ma gratificante lavoro, quello di ricerca negli archivi. Lavoro che non è mai finito, perché continuano ad aggiungersi nuovi nomi.
    Quello di febbraio è stato un bel momento, forse troppo breve, ed anche a lungo atteso da chi, come me, cerca di non far mai morire il ricordo di chi, per accontentare le perversioni di qualche potente che spostava su cartine esseri umani come pedine, ha dato la sua vita, abbandonando la normalità per gettarsi in un oblio senza ritorno.
    Quasi ogni famiglia trentina ha avuto o morti o combattenti nella Grande Guerra, che spesso celano delle storie interessanti. Io non dimenticherò mai la storia di Quirino Beber: partì per il duro fronte galiziano nel 1914, fra i primi, inquadrato nel IV reggimento Tiroler Kaiserjäger; combatté fino al 23 novembre 1914, quando venne fatto prigioniero dai russi; fu spedito nel campo di prigionia di Omsk, in Russia centrale, pressappoco sopra l’attuale Kazakistan; nel frattempo la sua famiglia, di Tenna, fu internata nel campo profughi di Mittendorf, Austria, perché appunto Tenna era zona di guerra (c’era e c’è ancora un forte ottocentesco che serviva come punto d’appoggio per le truppe), solo suo fratello Emilio riuscì a rimanere a Trento per completare gli studi seminariali; la sua prigionia terminò alla fine del 1917, con la Rivoluzione; tornò in Italia attorno al 1920, già ammalato di tbc; ebbe tre figlie, nel 1922, 1924 e 1926; morì, per complicanze della tbc, prima di vedere la nascita della sua ultima figlia, nell’estate del 1926. Quirino Beber era mio bisnonno.
    La sua storia mi è stata raccontata da mia nonna, sua figlia del 1924, unica ancora in vita delle tre sorelle. Ho ritrovato anche una ventina di sue cartoline che spediva dalla Russia a casa, piene di speranza per il ritorno ma anche di dolore per la lontananza. Le conservo con gelosia.
    Diceva Erodoto: “In tempo di pace i figli seppelliscono i padri, in tempo di guerra i padri seppelliscono i figli”. Mai parole furono più vere.
    Tutto questo per dire cosa? Per dire che, la poesia ce lo dimostra, è importante che non venga mai meno il ricordo, la memoria. È quello che in piccolo sto cercando di fare anch’io.
    Non mi è possibile dimenticare la visita al sacrario di Redipuglia, che abbiamo fatto insieme nel 2005. Fa impressione e tocca il cuore la sua immensità. In questi posti vanno portati i bambini: come è successo a me, di primo acchito non mi resi conto di cosa significasse tutta quell’immensità, tutti quei loculi, quella scritta “Presente” ripetuta continuamente; crescendo poi il ricordo immagazzinato ha dato i suoi frutti.
    Devo dire poi, da appassionato alpinista, che sono altrettanto toccanti, forse anche di più, i piccoli cimiteri di montagna. Ogni estate, per esempio, visito la zona dell’Ortigara, proclamata zona sacra: nel 1917 su quelle montagne, in un’unica battaglia che durò circa due settimane o qualcosa di più, morirono, fra italiani ed austriaci, 23.000 uomini, colpiti dalle raffiche delle mitragliatrici, vaporizzati dalle immense esplosioni, asfissiati dal gas, i terribili gas che uccidevano anche dopo che le nubi erano dissolte (rimaneva infatti sull’erba e sul terreno la sua polvere, che penetrava i vestiti e la pelle anche senza essere sollevata, uccidendo disgraziati che si sedevano per riposare). Visitare quel luogo lascia un’impressione indelebile. Sono perfettamente visibili ancora oggi dopo più di novant’anni le tracce della guerra: trincee, postazioni, crateri enormi e profondi di bombe, abitati oggi da numerose marmotte, che non disdegnano di farsi fotografare. Numerosi cimiteri sorgevano in quel luogo: oggi una semplice croce di legno ricorda il punto dove sorgevano, ed una targhetta indica la quantità di persone lì sepolte (cifra che non scende mai sotto le 2000 persone per cimitero). Capita poi di sentire suonare la “campanella dell’Ortigara”, una piccola campanella donata nel 1923 da una madre che perse suo figlio su quelle cime: i suoi rintocchi, suonati dagli alpinisti, risuonano per tutte quelle zone e fanno tremare. Ricordo che la prima volta che ci andai, con mio padre e mio zio, non aprimmo bocca per tutta la giornata, tanto rimanemmo impressionati da quel paesaggio quasi lunare.
    Per ritornare alla poesia, non vorrei, a lungo andare, a ritrovarmi come Ungaretti, a dire: “E forse io solo / so ancora / che visse”. Non bisogna dimenticare, ed il ricordo va portato avanti anche con la letteratura.
    Un’epigrafe di un cimitero in Galizia dice: “La morte ci ha disseminato su questa terra: a voi ora il raccolto!”. A tutte le persone auguro un raccolto prolifico da questo blog e da queste parole.

  4. Sapevo che Luigi avrebbe scritto un commento al mio post sulle poesie della prima guerra. E che splendido commento! Sono contenta che tutti i miei lettori lo possano gustare. Luigi è una fonte di informazioni e ricordi, cercati e raccolti con passione.
    L’anno scorso, quando venne a parlare nella mia scuola di Pergine, fu ascoltato con attenzione e ammirazione dagli alunni della Terza classe. E tutto ciò che disse venne anche trascritto esattamente nei temi!
    Naturalmente io sono molto orgogliosa di averlo avuto come alunno e lo ringrazio per il tempo che spesso dedica al mio blog rubando tempo alla preparazione per il suo imminente esame di maturità.
    Grazie Luigi! Sei grande!

  5. Concordo con Mirna, il post di Luigi è splendido. Credo che non solo Mirna sia orgogliosa di averlo avuto come alunno, ma anche Luigi sia felice di aver avuto Mirna , una splendida prof. di lettere ma anche vera “maestra di vita” che con la sua sensibilità , dolcezza, intelligenza, ha formato centinaia e centinaia di ragazzi.. E io sono orgogliosa di averla avuta come collega e ora come amica!

  6. Mamma mia quanti complimenti! Oramai mi riesce naturale parlare di Grande Guerra, e con la mia esperienza penso che sia il cuore a parlare; il mio scopo è proprio quello di andare oltre alla mera narrazione di avvenimenti! Comunque non è mai tempo perso quello dedicato a discutere di cultura.
    Sono molto orgoglioso di averla avuto come insegnante che, come dice Raffaella, non è stata solo prof ma anche una vera ed indimenticabile maestra di vita. E che non smette mai di sorprendere, basti vedere questo blog!
    Viva voi tutti!

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