LA METAMORFOSI, stato naturale?

pubblicato da: admin - 19 Giugno, 2010 @ 7:10 pm

scansione0016 Dopo la lettura di un libro che mi prende completamente come “La ballata di Iza” ho bisogno di un momento di stand by, di uno stacco prima di immergermi in una nuova storia. Quando incontro problematiche esistenziali profonde devo soffermarmi a comprenderle , assaporarle, valutarle, sviscerarle. E’ il grande dono della lettura: quello di far riflettere. E c’è sempre qualcosa da scoprire di noi e della nostra “avventura” umana.

Oggi perciò ritorno a “ vecchi” autori il cui pensiero è  ormai parte di me e del mio percorso intellettuale.  Ripenso a  Franz Kafka e alla sua infelicità, ma anche alla sua giovanile ispirazione poetica che come un fortissimo vento gli riempiva la mente e il corpo, al suo scavere dentro di sè spietatamente per giungere però  a nessuna soluzione. Leggiamo nella famosa “Lettera al padre” la sensazione di solitudine, abbandono, incomprensione provata in famiglia, primo ambiente in cui si muovono i passi verso il consolidamento della propria identità.

La sua vita ci è nota. Figlio di un agiato negoziante ebreo Franz Kafka  nasce a Praga nel 1883. Si laurea in giurisprudenza  e poi si impiega  in un ente pubblico quell'”oscuro nido di burocrati” che per la sua anima poetica è la quintessenza dello squallore e della morte spirituale.  Suo unico rifugio è la scrittura serale disdegnata  dal padre che lo ha costretto a studi diversi dalla sua inclinazione. Proprio l’educazione oppressiva del padre sembra abbia portato Kafka ad essere pessimista, insicuro tanto da avere  un terrore morboso del giudizio altrui.

La sua salute è già cagionevole pertanto durante la prima guerra mondiale non svolge  neppure il servizio militare. Non fa grandi viaggi, non si sposa, la sua esistenza è racchiusa nel centro vecchio di Praga abbandonato soltanto per i periodi in cui è costretto a ricoverarsi in sanatorio per la malattia che lo porterà precocemente alla morte nel 1924.

Kafka non possiede “nessun riparo” agli avvenimenti, così ci lascia detto Milena Jesenka che ha saputo capirlo con magistrale intuizione femminile “Per questo è esposto a tutto“. Kafka non riesce a proteggersi dalla vita  con la menzogna, con finto ottimismo o entusiasmo, con i compromessi. “So che non si oppone alla vita, ma a questa maniera di viverla.”

NeLa Metamorfosi” leggiamo della sua alienazione, della sua tensione verso una meta che sta al di là della divisione tra l’umano e il bestiale.

Quando il racconto inizia  la metamorfosi è già avvenuta. La sera Gregor Samsa era un commesso viaggiatore la mattina, una mattina d’inverno, è già un enorme insetto. Non si meraviglia tanto quanto noi lettori Gregor anzi sembra che la metamorfosi per lui sia un fatto ovvio e naturale. Lentamente il mondo esterno si cancella, la stanza diventa un carcere dove l’insetto conduce la sua vita da rinchiuso, come tante volte la “claustrofilia di Kafka aveva sognato” ci spiega Pietro Citati. 

Gregor-scarafaggio fa inorridire il padre che lo colpisce con una mela, –  animale ferito, uomo degradato -. La madre abbraccia il padre supplicandolo di risparmiarlo, ma l’odio del padre è tangibile, è il segno del suo martirio. Soltanto la sorella ha talvolta pietà di lui.

Il racconto  si può leggere a vari livelli, persino i ragazzini delle medie lo conoscono e ne sono affascinati, noi adulti sappiamo la profondità di questo testo disperato. Capiamo che la sua morte è un sacrificio, egli è un capro espiatorio che si addossa i peccati dei suoi cari. “La sua immolazione” scrive Pietro Citati “ha un’eco cosmica: annuncia la fine dell’inverno, l’arrivo della primavera”.

Il suo cadavere verrà buttato nelle immondizie  dalla serva rozza mentre la  famiglia Samsa se ne andrà a fare una scampagnata. Se Gregor non fosse morto di consunzione forse la stessa natura sarebbe rimasta irrigidita e secca come il suo carapace.

Ecco, stamattina ancora non sapevo di cosa avrei scritto, ma il tempo mutevole, le nuvole chiare e scure  che vagavano nel cielo, l’arrivo imminente e atteso di Stefania, mi hanno portato a ripensare  a “questo strano viandante, posseduto dall’irrealtà,…senza basi nè radici…un giocoliere che camminava nel vuoto. Sapeva di essere lo Straniero che viveva soltanto di se stesso.”

Ma domani preparatevi a un cambiamento …di rotta nelle letture…perchè domani Riccardo Lucatti ci parlerà di…

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  1. L’edizione che mostri dei racconti di Kafka non l’avevo mai vista. Quell’urlo (che poi ognuno di noi riesce ad interpretare, quasi automaticamente) è ben adatto sia allo stesso Samsa che a chi lo guarda, un archetipo che dà forma a ogni incubo. Certo che la lezione di Kafka come quella di Szabò, e dei tanti grandi interpreti e cantori della vicenda umana, non ci basta mai. Si è sempre pronti a dimenticarla, pronti a somigliare al (ai) padri di K., alla famiglia di Gregor Samsa,ignari e crudeli, pronti al rifiuto.

    In questo periodo ho una grande fortuna, incontro un capolavoro dietro l’altro (…..tanti libri nuovi e splendidi che illuminano a festa la mia stradina): penultimo “resta con me” di elizabeth Strout, ed ora- sono oltre la metà-, il nuovo libro di Doctorow , non avevo mai letto nulla di questo grande, e sono in beatitudine.

    Sono curiosa di leggere… quello che ci prometti, un cambiamento di rotta, dici. Anche se il tuo quotidiano regalo è sempre una vera delizia.

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