LA PORTA, di Magda Zsabò

pubblicato da: admin - 25 Giugno, 2010 @ 5:16 pm

Avevo anticipato la presentazione di un altro romanzo di Magda Zsabò. E che romanzo! Da lasciare stremati dalla emozione, tensione, coinvolgimento. Già il titolo “La porta” ci fa intuire la chiave del racconto: l’incomunicabilità, il  nocciolo segreto di ognuno che non si riesce o non si vuole far conoscere. E se qualcuno entra in modo sbagliato attraverso una porta chiusa il dramma si consuma.

La voce narrante è la stessa autrice, ci fa credere che sia autobiografico, lo sarà? Lo sembra.  Il personaggio principale è Emerenc, una vecchia donna delle pulizie che lavora presso la Zsabò per vent’anni. E’ una donna altera, forte, dispotica, amorevole e pura come un diamante.  Ha una morale naturale, non imposta dalla disciplina, nè dalla religione. Il suo codice è difficile da capire e condividere, ma alla fine le si dà sempre ragione. E’ una figura mitologica che fa della sua vita e un  qualcosa di epico.

Emerenc è il deus ex machina nel quartiere, venerata da tutti per la sua scintillante onestà e saggezza primordiale. Conflittuale e faticoso l’avvicinamento fra Emerenc e Magda, così diverse per età, estrazione sociale, Weltanshauung. Per Emerenc “tutti i lavori non manuali, che non richiedevano fatica fisica, erano roba da pelandroni…” ” Lei era l’incarnazione dell’antintellettualismo”  per cui disprezzava ironicamente i libri e i premi ricevuti dalla sua datrice di lavoro. Ma Emerenc  ama  Magda come una madre può amare una figlia tanto che soltanto a lei permetterà una sola volta di oltrepassare la porta della sua casa, per tutti gli altri ermeticamente chiusa.

Intorno a Magda Zsabò, che finalmente verrà insignita da premi letterari dopo il cambiamento politico dell’Ungheria, altre persone fanno da coro all’unicità di questo rapporto. C’è il marito della scrittrice, tre amiche di Emerenc, il quartiere intero. E pi c’è Viola un cane che Emerenc ama come il prolungamento di sè e di Magda.

Tutto ciò che Emerenc fa, la pulizia dei marciapiedi dalla neve o dalle foglie secche, le visite ai malati con i “piatti dell’amicizia”, la marmellata di ciliegie ha l’aspetto di un evento mitologico “Rovesciò le ciliegie nella marmitta. A quel punto tutto assunse l’aspetto di un mito, i frutti snocciolati, il succo che cominciava a fluire sempre più denso e copioso, come sangue da una ferita: Emerenc in grembiule nero, sotto l’ombra del suo fazzoletto a forma di cappuccio, accanto al calderone, era la personificazione della calma perfetta.”

Incarna un modello esemplare di purezza,generosità, saggezza. Ma la malattia sembra rubarle questo ruolo umiliandola a morte. Si illude che Magda abbia capito il suo dramma e che abbia nascosto al mondo la sua disfatta…è convinta, ne è felice tanto che in una descrizione di un pathos unico mordicchia le dita della scrittrice, in una sorta di  comunicazione primitiva. “Conoscevo quel mordicchiare leggero, nel linguaggio canino esprimeva l’estasi , la gioia sconfinata. Emerenc mi ringraziava di non averla tradita…il suo onore era intatto.”

Ma in realtà Magda l’ha tradita credendo di salvarle la vita,  o per convenzione,  o per comodità o forse soltanto perchè non l’aveva capita fino in fondo.

La porta che racchiude il nostro più intimo sentire non è facile da oltrepassare, persino per noi. Dietro di essa c’è la nostra essenza più vera che il mondo non conoscerà mai completamente, nè genitori, mariti, figli, amici.

E se qualche rara volta illudiamo di poterla aprire a qualcuno  basta che questi faccia  un  gesto sbagliato,  dia una spinta troppo rude ,  esprima incertezza, diffidenza o dica una bugia  per  farcela  richiudere ermeticamente..

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3 commenti
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  1. Parlando di incomunicabilità mi vengono in mente Bergman e Antonioni, maestri di questo genere, anche se in maniera diversa. Entrambi avevano rappresentato la fine della parola nelle relazioni. Grandi silenzi, sguardi che non finiscono più, frasi essenziali. Il loro mondo però era sì complesso, ma forse molto più semplice di quello attuale. Adesso forse si parla, si parla molto, ma non si ascolta, e le relazioni divengono sterili. Anzi si perdono.
    Capire ed essere capiti è sicuramente un’impresa ardua e forse ancora di più quando tanta è la differenza d’età, di estrazione sociale e anche, come hai già detto nel post de “La ballata di Iza”, quando si tratta del rapporto fra una madre ed una figlia.
    C’è da dire che quello che a volte riteniamo un bene per gli altri potrebbe essere spesso frutto di egoismi, travestiti da buonismi, i quali forse giustificano un vago bisogno di mettersi a posto con la coscienza. I concetti così di “altruismo” e “generosità” possono a volte brutalmente sfondare delle porte che difendevano una pudica intimità e che non sarebbero dovute essere varcate.

  2. E con un blog, cara Enza, com’è con un blog? Farsi capire, intendo. ci sono altre porte chiuse, oltre alla mancanza del….faccia a faccia, che aiuta, ma non basta. Se manca L’ASCOLTO, i mezzi servono poco. non è colpa del mezzo, non è mai colpa del mezzo, ma della incapacità di ascoltare , di indagare con curiosità acuta, tutte le voci, tutti i segnali che vengono da ogni dove. Sul tuo post, qui sopra, si potrebbe scriverci una tesi. Mi piace molto leggervi.

  3. Che tema, l’incomunicabilità….davvero da “tesi”, come suggerisce Camilla. Che dire poi della comunicazione contorta, fraintesa, misconosciuta che spesso caratterizza le nostre relazioni, magari anche quelle ritenute ormai consolidate. La comunicazione più difficile? Quella tra madre e figlia, secondo la mia esperienza. Che va poi, inevitabilmente, a inficiare le relazioni future, se non si presta tanta, ma tanta, attenzione.
    Amo comunicare con i pre-adolescenti: sono diretti, magari spietati, spesso ti inchiodano con le loro frecciatine ben piazzate ma, appunto, sono sinceri, almeno la maggior parte delle volte e ti costringono a fare, o meglio, “essere” altrettanto sinceri e ti costringono a riflettere, ti mettono davanti al tuo io se ci tieni a comunicare con loro.
    Quanti guai ha provocato l’incomunicabolità in letteratura: penso alla sorte di Anna Karenina prima con il marito, noioso e poco interessato alla comunicazione e poi con Vronskij, con il quale ha instaurato una non-comunicazione che la porta a misinterpretare perfino il suo amore per lei. Eppure Tolstoj ci dimostra che capirsi è possibile: Kitty e Levin costruiscono un amore basato su una comunicazione molto rispettosa del’altro e,appunto per questo, efficace e costruttiva.
    Oppure agli angoscianti e inspiegabili silenzi tra Danny e suo padre nel meraviglioso “Danny l’eletto” di Potok…..
    La mia adorata nonna amava dire spesso, quando mi accapigliavo amorevolmente con lei, che “un bel tacer non fu mai scritto”….. Da piccola ci credevo….credevo a tutto quello che mi diceva la nonna…..Ma poi, diventata grande………
    Grazie Mirna della tua saggezza.