ASPETTANDO GODOT, e il teatro dell'assurdo

pubblicato da: admin - 8 Agosto, 2010 @ 6:41 pm

Ma poi è così assurda questa piéce teatrale di Samuel Beckett?  O lo è la maggior parte di noi, ed io mi ci metto dentro, che siamo sempre in attesa di qualcosa che deve arrivare? Altro che il Buddah ed il suo “essere dentro” in ogni istante! Io riesco a sentirmi dentro il fluire della vita per qualche momento, forse qualche ora, poi mi sembra sempre di dover fare qualcosa o cambiare o progettare…Siamo nell’età dell’ansia ed io sono molto spesso  “à la page” purtroppo. Invece di godermi il giardinetto montaliano  e perdermi nel volo di farfalle o stormire di lillà e glicine ecco che la mia mente corre a ciò che dovrò fare riguardo questa casa, il mio futuro. E aspetto che qualcosa o qualcuno  mi aiuti. Ma chi è questo Godot?

Tutto o niente? Non a caso il primo atto inizia con  “Niente da fare”. Il niente, le néant.

Non c’è intreccio in questi due atti. Vediamo due mendicanti Vladimiro ed Estragone che, in aperta campagna, accanto ad un albero aspettano giorno dopo giorno un certo Godot dal quale sperano di ottenere una vaga sistemazione. Godot è qundi la speranza di felicità? di risoluzione della propria vita? è l’aiuto divino, cioè Dio? Il dialogo è fitto e divertente pur se i due mendicanti sembrano due larve che parlano di scarpe da togliersi almeno una volta al giorno, del salice che è morto… e l’albero che cosa significa?

In questo libretto rosso trovato in mezzo agli altri e probabilmente avuto in omaggio con una rivista c’è l’ introduzione di Carlo Fruttero che ci spiega che l’humour, a volte anche volgare, del lavoro di Backett è il veicolo del sorprendente successo che ottenne. “Dal punto di vista tecnico Aspettando Godot è la commedia esemplare, limite, costruita interamente attorno all’assenza del personaggio in grado di “salvare” non solo Vladimiro ed Estragone, ma gli spettatori stessi, di cui i due mendicanti sono i rappresentanti sulla scena.”

 Carlo Fruttero aggiunge che i due mendicanti nei loro dialoghi serrati ci mostrano una vera antologia di relazioni private: sono amici, coniugi, innamorati, padre e figlio e riproducono tutte le sfumature psicologiche dell’umanità.

Ad un certo punto vengono introdotti altri personagi, Pozzo, simbolo del capitalista, che trascina brutalmente Lucky, il proletariato. Ma si può leggere anche in chiave evangelica, suggerisce qualcuno.

I  messaggi sono pertanto impotenza, angoscia, alienazione; l’immagine della civiltà occidentale è pessimistica e brancolante. Forse soltanto l’ottimista per candore può salvarsi e persistere nell’attesa.

Non avrei mai potuto portare mio marito a vedere Samuel Beckett, da pragmatico qual era mi avrebbe tacciato come complicata e infantile e…assurda.

Ma nel mio lessico intimo va spesso un pensiero a questo benedetto Godot. Chi è?  Che cos’é?  Arriverà? O mi devo rassegnare, come in fondo in fondo  sono già, che  Godot siamo sia noi stessi  che  colui che l’aspetta?

Meno male che in questa mia domenica in cui mi sono sentita poco “centrata” vuoi per il paese attraversato da un traffico come a Detroit, ma non è Detroit, vuoi per la lucertola che Mimilla mi ha portato in casa e che forse si è infilata nello stipite della porta, come i rotolini di versetti della Torah in casa degli Ebrei,…sono stata consolata dalla lettura di “Matematici nel sole”.

Hanno ragione Camilla (che ci ha presentato il libro in un post) e Stefania.Franco Stelzer è un  grande scrittore e  poeta. Ciò che mi piace soprattutto è la sua lettura della coppia. Wif(e) e Hus(band) che hanno le iniziali di moglie e marito sembrano nomi leggendari, come Hus mi sembra il vero primo marito cosciente dell’umanità. Pieno di meraviglia e gratitudine al cospetto della moglie, la Donna in tutta la sua unicità ed  importanza primigenia.

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7 commenti
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  1. Uno dei molteplici lati di questo poligono ,( o è già un cerchio perfetto il romanzo, modernissimo, di Stelzer?), è proprio che Wif e Hus il loro Godot non l’attendono più. sanno chi è e cosa è venuto a fare e si preparano ad ….accoglierlo con tutto l’incanto possibile ancora, in piena letteratura del disincanto. E tutto il possibile Duende che due esseri umani strappano da ” las ultimas abitaciones de la sangre ” come dice Garcia Lorca. Gia, il Duende: ho provato a parlarne, cara Mirna, ma le mie parole non possono neache provare a spiegare . La magnifica conferenza tenuta nel 1930, mi sembra di ricordare, da G.L. sul gioco e teoria del Duende non riesco a ridurla in parole mie, che sono piatte e banali, nella giungla lussureggiante di Garcia. Perciò , ecco l’illuminazione, dopo il grandissimo Beckett, proverò a parlarvi del mio scrittore contemporaneo e viventissimo, John Banville, che di Beckett è certamente parente, e che è il mio scrittore preferito, quello che ha già capito tutto ciò che per me è ancora burrasca. E se non l’ha capito, sa molto bene guardarlo in faccia, con l’incanto del disincanto.baci.

  2. Tu non ce l’hai portato il papa’ a vedere Beckett, ma io si’… “Finale di partita”, all’Auditorium. Ebbene? Si e’ addormentato. Me ne sono accorta al suo russo leggero e l’ho scosso, ovviamente scandalizzata. Poi, ripensandoci… mah. Era tutto blu, la luce, la scenografia, i personaggi, inquietanti, svuotati di ogni capcita’ d’azione. Il gesto inane, proprio “svuotato”del suo senso, vivo nella sua sola ripetitivita’. Forse adesso lo capisco… A lui piacevano i film d’azione, con una trama decisa, era proprio il posto sbagliato per lui. Con tutta la mia buona volonta’ di “acculturata incallita” ho resistito ma senza dubbio, a ripensarci, ho sofferto un po’ anch’io. “Aspettando Godot” e’ un capolavoro, proprio perche’ “leggero” nella sua profondita’ paradossale, con una finzione di normalita’ e, come dice Camilla, l’incanto del disincanto.

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