VERGOGNA, di John Maxwell Coetzee

pubblicato da: admin - 6 Settembre, 2010 @ 6:03 pm

Incredibile come la Lettura e i suoi luoghi, i rimandi, lo slancio o l’abbandono ci portino chi in una libreria, chi in un magico festival letterario ad “accoppiarci” con viscerale necessità a  uno scrittore, una terra lontana, una tematica e una storia che ci accompagnino per ore e giorni in un’altra dimensione.

Oggi è  Raffaella che ci scrive di un libro forte, da conoscere.

 

Un sabato pomeriggio d’agosto mi trovo improvvisamente presa dalla voglia irrefrenabile di fare visita ad una libreria; così, senza un preciso scopo né titoli da acquistare mi tuffo tra gli scaffali della Ubik, sezione lingua originale.Una copertina mi colpisce, è quella del romanzo Disgrace ( Vergogna) del premio Nobel per la letteratura nel 2003, John Maxwell Coetzee. Non esito a comprarlo, e sin dalle prime righe, il libro mi cattura.

In realtà, mi cattura ma mi lascia anche la sensazione di un pugno nello stomaco perché l’amarezza e la disillusione sono presenti fin da subito, accanto ad un realismo che non lascia scampo.

Siamo in Sudafrica, paese di Coetzee. Il protagonista è professor David Lurie,bianco, studioso di poesia inglese, insegnante ormai demotivato all’università di Cape Town, un “everyman”, antieroico, che privo di legami affettivi significativi ( divorziato per ben due volte con una figlia che non frequenta da anni), trascina la sua vita scandita dagli appuntamenti fissi del giovedì con la prostituta Soraya. Il suo quotidiano viene scosso dalla fugace relazione con Melanie, una giovane studentessa di colore. Ed ecco la prima “disgrace”, la vergogna. David, accusato di molestie sessuali da Melanie, viene giudicato da quello che sembra un tribunale d’inquisizione composto dai suoi stessi colleghi che vorrebbero una sua confessione e soprattutto una dichiarazione pubblica di pentimento ma egli rifiuta di confessare la sua colpa, o meglio preferisce non difendersi e lasciare l’università.

Si rifugia quindi dalla figlia Lucy,ormai adulta, che gestisce una fattoria lontana dalla metropoli, in un ambiente ostile, crudo ed inospitale ma a cui lei è legata perché viverci diventa la dimostrazione che ha saputo cavarsela da sola. David deve adattarsi e cerca di aiutare come può, assistendo una veterinaria, coltivando la terra, assecondando Lucy nelle sue scelte. Un altro evento sconvolge l’esistenza di padre e figlia , la seconda “ disgrace”. La fattoria viene rapinata da una gang di neri, David selvaggiamente picchiato, Lucy violentata dal gruppo. Quest’ ultima però si rifiuta di sporgere denuncia e tace la grave violenza. Per integrarsi in un ambiente che vive il post-apartheid in modo contraddittorio, ella accetta questa umiliazione. Accetta di provare vergogna, quasi che il suo accettare potesse sanare, almeno in parte, il male fatto dalla società agli uomini di colore negli anni precedenti, una sorta di “ riparazione collettiva”…  Il padre invece non resiste , non condivide questa scelta e torna in città ,poiché il conflitto tra i due è ormai insanabile.

David si aggira come una fantasma per Capetown, i vecchi colleghi lo rifuggono, ed egli prova inutilmente a riallacciare il rapporto con la sua studentessa. Alla fine torna all’unico legame che veramente lo abbia fatto sentire “ vivo”, quello con Lucy che trova incinta dopo la violenza subita e decisa a tenere il bambino.

Il romanzo termina con David, trasformato in uno psicopompo. Aiuta infatti una veterinaria amica di Lucy ad abbattere animali affetti da malattie inguaribili. “L’insistenza di Coetzee sulle procedure per la uccisione di animali affetti da malattie inguaribili, fino alla meticolosa descrizione del trasporto e dell’incenerimento  delle  carcasse, non è deriva maniacale né del racconto né del protagonista. David è ormai solo, isolato dal mondo degli uomini  trova conforto nel fiato d’un cane azzoppato, nella fisicità di quella lingua che gli insaliva la mano mentre egli intona due note demenziali ad un vecchio mandolino,  simbolo d’una creatività che non cresce, d’una vita che non palpita più, della sua vecchiaia che sente incombente, ineluttabile”. E’ con l’animale che muore tra le sue braccia che si chiude l’ultimo capitolo.

“Vergogna “ è un romanzo amaro quanto profondo, ben scritto e ricco di spunti e tematiche, la crisi dell’uomo di mezza età, la crisi di un paese, la catarsi attraverso il dolore… Un libro che ancora una volta consiglio alle lettrici e ai lettori del blog.

 

Raffaella M.

 

  

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5 commenti
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  1. Mi colpiscono i sostantivi amarezza e disillusione che tu, Raffa, usi all’inizio per presentarci questo libro. Ma la realtà, come prosegui nella tua chiara e sensibile presentazione, è per moltissimi intessuta di umiliazioni, dolori, vergogne, disgrazie. Conoscerle è essere un po’ vicino a chi soffre.
    Il Sudafrica cone tante altre parti del nostro pianeta vive ancora contraddizioni, crisi di identità, conflitti irrisolti, gravi ingiustizie.
    Alla fine nel romanzo il protagonista trova la sua dimensione per continuare a vivere con dignità, e questo è positivo.
    Grazie per questo intenso suggerimento di lettura.

  2. Le parole da te usate descrivono persone non irresponsabili verso la vita, no di certo. Sono vittime di loro stesse, di un sistema ingiusto e contraddittorio al contempo. Mi capita di osservare e dialogare ovunque con chi si sente o è sconfitto. Mi fa rabbia. Mi dico però che la forza delle nostre idee- azioni e talvolta dello spirito può aiutarli.
    Grazie Raffaella per la tua consapevole e profonda scelta letteraria.

  3. In realtà, carissima Mirna, hai proprio colto quello che volevo esprimere…E’ proprio attraverso la sofferenza , a volte attraverso la” disgrace, la ” caduta dalla grazia” che si ricomincia… Certo, l’amarezza in alcune parti è palpabile e Coetzee non ci fa sconti, ma poi il finale lascia aperto qualche spiraglio di positività, come accade sempre anche nella vita…
    P,s Bentornata a Camilla! Non vedo l’ora che ci delizi con i tuoi racconti dell’esperienza vissuta…

  4. Non so dirvi quanto piacere provo nel leggere i vostri “bentornata”, non ci posso credere, tanto mi fanno stare bene. Oggi accennerò all’incontro con Enrique Vila-Matas, scrittore spagnolo, assai noto ad ambienti , come si dice, di nicchia, fino ad ora. Stare per circa un paio d’ore seduti a un paio di metri scarsi da scrittori che parlano, con l’anima, con più timore di quanto non ne proviamo noi che ascoltiamo, (si può notare la mano che trema leggermente in certi momenti di maggiore emozione, perchè nonc’è differenza tra un artista che suona, o canta o danza, col duende dentro il sangue, e uno che racconta il caos della vita riuscendo a dargli una forma, e solo i grandi scrittori sanno dare forma al non senso)stare accanto a loro, dicevo, è un’esperienza eccezionale, sembra di poter “capire”, o, almeno, ci si sente accompagnati, aiutati in un cammino pauroso e solitario. Se lo/la scrittore non è “grande” tutto questo non accade, si sbadiglia, o si guardano cose sciocche e superficiali , abituati come siamo, alla mediocrità della comunicazione, specialmente televisiva, ma non solo.
    Per ora vi lascio in pace con i discorsi seri (e , per me , queste esperienze sono davvero profonde) e vi dico solo che ho passato attimi di TERRORE quando, per un mio equivoco, ho pensato che non avrei potuto incontrare John Banville! Davo in escandescenze, ho tramortito di improperi contro il destino crudele il mio Dario, il mio caro marito che, devo ammetterlo, in queste occasioni (purtroppo rarissime) mi sopporta e mi sorregge come un infermiere alle prese con una pazzoide, e tuttavia, vedo che è contento quando, dopo gli incontri, corro impavida ad attaccare bottone con questi miei adorabili maestri di vita : mi faccio firmare i libri, chiedo, dico, pretendo….E mi rispondono, capite? Mi rispondono. Pazzesco e magnifico.Mirna, devo vederti, forse posso dire anche “vedervi”,è un tale privilegio guardarsi negli occhi quando si è interessati gli uni agli altri.A prestissimo la seconda puntata.

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