UNA VITA A PARTE, una "Brookner experience"

pubblicato da: admin - 13 Novembre, 2010 @ 8:14 pm

Riprendo con gioia la “penna” in mano. Sento la mancanza dello scrivere quasi esso fosse una parte vitale di me. Scrivere è parlare con me e con immaginari interlocutori che, grazie a questo blog, diventano reali e corrispondenti. Si sciolgono nodi, si sedimentano vecchi pensieri, si accolgono e sistemano le nuove esperienze.  Queste ultime modificano sempre un po’ il nostro ricordo dell’ieri e la nostra prospettiva verso il domani,  nell’eterno gioco di riflessi di altri sguardi che danno e prendono.

Monologhi interiori, dunque, come sistemazione del flusso di coscienza e incoscienza.

Anita Brookner con il suo romanzo “Una vita a parte” mi ha accompagnato in questo ultimo lavoro forte e impegnativo.

Di che cosa parla il suo libro? Di un romantico deluso, ormai oltre la settantina, che sente prepotente il senso della solitudine familiare. Non è sposato, non ha figli, nè fratelli, nè parenti prossimi.

 ” Sturgis aveva sempre saputo di essere destinato a morire in mezzo agli estranei.” “Aveva letto da qualche parte che Stendhal era caduto riverso per strada e poi era stato portato a casa di un cugino, dove in seguito era spirato”.

Cerca dunque di coltivare seppur con fatica e noia un rapporto sporadico con l’unica parente acquisita, Helena, la vedova di un suo cugino. Gli piace, nelle rare domeniche pomeriggio in cui la va a trovare, farsi servire una tazza di tè, invece che prepararsela da solo come sempre. Percepisce però, da acuto osservatore solitario, che l’accoglienza è doverosa, formale e frettolosa.

Quando si ritrova  nel suo piccolo appartamento londinese  più forte diventa la consapevolezza della sua solitudine, del suo lento  staccarsi  dalle vecchie amicizie e dai colleghi di lavoro, ripensa con nostalgia alla casa dell’infanzia nonostante i genitori l’avessero resa fredda e cupa. Prima del sonno ama ritornarvi, risalire le vecchie scale, fermarsi nella grande cucina e, come Proust, riviverne appieno le sensazioni.

Non ama più il piccolo appartamento dove abita che al momento dell’acquisto e dell’affrancamento dai genitori rappresentava ai suoi  occhi e a quello degli altri una  “bella sistemazione”. Lo sente non-casa e ricorda che esiste un eccellente termine freudiano per definire la sua sensazione: unheimlich.

Tenta di legarsi  a una nuova persona incontrata a Venezia, la signora Gardner, una vivace cinquantenne, ma di lei dice, come Swann diceva di Odette, che non “è il suo tipo“. Ritrova per caso  Sara, una sua vecchia fiamma, malandata fisicamente e che non ha voglia di riallacciare nessuna relazione se non per un rapporto utilitaristico.

In realtà anche  Sturgis vorrebbe avere qualcuno vicino per motivi di opportunismo, per non morire solo, per essere aiutato in caso di malattia. Da tutti i suoi pensieri emerge invece quanto la solitudine gli faccia assaporare più intensamente ogni istante.

Ama passeggiare, leggere i suoi giornali, pranzare fuori. Si compatisce un po’, ma  ogni qualvolta si trova in compagnia di qualcuno non vede l’ora di tornare nel suo guscio per sviscerare la vita in ogni suo aspetto.

Anche se “Una vita a parte” viene presentato come una “ feroce analisi della solitudine assoluta della condizione umana” e “uno scongiuro contro la notte incombente” il ripegamento su se stesso di Sturgis, vuoi per vecchiezza vuoi per indole introspettiva, non mi ha rattristato. Secondo me il vero solitario è colui che non vuole rimanere solo per non parlare con se stesso. Spesso non ci parliamo per non soccombere all’angoscia o alle verità scomode.

Le sue giornate lente e riflessive, i suoi momenti di angoscia,  i suoi tentativi per uscirne ed infine  la soluzione trovata, mi hanno reso comprensibile e amico questo personaggio.

Che decide?

Che andrà ad abitare in un piccolo albergo dove sentirà il rumore della vita degli altri attorno a sè, dove  la sua solitudine sarà protetta, ma dove ci sarà qualcuno  in caso di necessità.

Pensa che “L’albergo rappresentava il simbolo di un’esistenza transitoria e dunque realistica

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  1. I romanzi come quelli della Brookner ( e neri pozza sta facendo un magnifico lavoro in questi anni, pubblicando un mucchio di buoni libri) sono amici sicuri. Quel tipo di amici da cui non ti aspetti mai nulla di “eccessivo”, quelli che non temi ma che ami avere a portata di ….occhio, sempre. Sono gli amici interessanti, attenti, raffinati, mai invadenti o invasivi. E’ bello poterci contare, nascono classici ed è bene averne sempre uno a disposizione: Per riposare e ascoltare e condividere. Fuori dalla battaglia. Ho letto ieri su Repubblica una bella recensione della Susanna Nirenstein su un nuovo romanzo della Vreeland, sempre di Neri Pozza, sempre del genere “sicuro” credo almeno. UNA RAGAZZA DA TIFFANY. Non deve esser niente male. Lo cercherò in biblio. ciao ciao.

  2. E’ vero, la solitudine fisica e’ solo una “rappresentazione” della solitudine esistenziale che in realta’ si nasconde dentro di noi anche in rumorosi contesti famliari o amicali. Certo e’ triste leggere della ricerca di rapporti umani in extremis o di formarsi una famiglia per uno scopo meramente utilitaristico…
    La motivazione dovrebbe essere un’altra no? Mi piace l’idea dell’albergo in una situazione di “scomodita’” domestica. L’idea appunto del “transitorio” come piu’ “realistico” e’ incredibilmente vera anche se esiste una tendenza umana (occidentale?) a “fissare” molti attimi di eternita’ con case e situazioni diverse. Che generano piu’ sofferenza. Alla fine forse e’ il senso di appartenenza che ci creiamo noi (perche’ in realta’ fittizio) che ci fa soffrire intensamente quando si spezza…

  3. Interessante il titolo del nuovo romanzo della Vreeland di cui ho letto “La passione di Artemisia” e “La ragazza in blu”. La scrittrice utilizza manifestazioni artistiche, opere d’arte, vite d’artisti per creare storie avvincenti.
    Una ragazza da Tiffany promette bene. Aspetteremo il commento o il post di Camilla.

  4. Cara Mirna. io non solo solo, ho una famiglia, ora anche una bellissima nipotina … soltanto che, “grazie” al lavoro che – da ultimo – mi ha tenuto fuori Trento negli ultimi 10 anni, ora che sono un … giovane pensionato mi sarei itrovato “solo culturalmente” cioè solo “di rapporti che non fossero di lavoro” … (al di fuori della famiglia, s’intende), e avrei scaricato tutto me stesso su Maria Teresa (tapina lei!). E invece, grazie a Cristina con la sua (ormai nostra) Accademia e grazie a te con il tuo splendido blog, mi sono trovato “vincolo” e non “scompagnato” (Pappagone docet). Infatti sono stimolato a leggere, a riflettere, a dialogare, a fare “comunicazione” (communis actio) con molte persone. Dal libro alla vita e dalla vita al libro! Che bello!
    Grazie e ciao Riccardo

  5. Ho scoperto la Brookner con il suo primo romanzo pubblicato in Italia e vale a dire “Hotel du lac”, in seguito ho poi preso in mano “Guardatemi” e “Disincanto”. Protagoniste sempre donne, quindi la “Brookner experience” al maschile del libro di Mirna mi riporta a quello che scrissi a proposito di “Guardatemi” e vale a dire che la solitudine è antica, maschile e femminile, solo che le cause della solitudine di oggi non sono sempre evidenti e quindi comprensibili.
    Sono d’accordo con Mirna che si può sentire maggiormente la solitudine quando si fugge dal dialogo con se stesso, ricavando così dall’introspezione intuizioni e forza per affrontare l’esistenza che non sempre regala piacere o gratificazione, soprattutto con il passare del tempo.
    La Brookner nella presentazione di “Guardatemi” disse “…scrivo per le tartarughe come me” e quest’espressione “lenta”, ma anche misteriosa e affascinante mi ha spinto a leggere i suoi libri. Ogni tanto penso anch’io all’albergo come una possibile soluzione, quando sarò stufa o non potrò più vivere nel mio pur amatissimo appartamento, simbolo di un’autonomia fortemente voluta. Le motivazioni sono molto simili da quelle addotte dal protagonista di “Una vita a parte”: “L’albergo rappresentava il simbolo di un’esistenza transitoria e dunque realistica“.

  6. @riccardo : non vedo l’ora di condividere qualche lettura nuova con te. Per avere il tuo giudizio, non solo letterario, ma …morale direi. visto l’uomo. Quando vuoi riposare e lascaire da parte libroni troppo massacranti (Le Benevole, guerra e pace, ecc:) potresti spassartela ( un massacro diverso) con un terribilissimo libro che si chiama “La cena, di un olandese , Kock (?) mi pare.Questo libro mi ha fatta stare sui merli del castello per un paio di mesi: non lo mandavo giù, ho chiesto aiuto qua e là e l’ho ottenuto, ma solo in piccola parte. Eppure…ciao

  7. Aw, this was a really nice post. In thought I wish to put in writing like this moreover – taking time and precise effort to make an excellent article… however what can I say… I procrastinate alot and in no way seem to get one thing done.