I RISORTI di Michael Collins

pubblicato da: admin - 8 Aprile, 2011 @ 3:53 pm

scansione0004Neri Pozza Editore, 2003

Non è facile in un pomeriggio quasi estivo  parlare di un romanzo così intenso ed impegnativo dove gran parte della storia si svolge durante un gelido inverno del Michigan, metafora di una zona infernale dell’anima in cui il protagonista si trova intrappolato.

Frank Cassidy è un uomo che conduce una vita ai margini, una vita disperata che risente sia  del peso di un oscuro passato irrisolto e che lo ha portato, adolescente, nel baratro della follia, sia del malessere della vita politica americana del dopo Vietnam e del recentissimo dopo Nixon.

Accanto a lui la moglie Honey che di dolce sembra avere solo in nome tutta tesa a sopportare l’imminente condanna a morte del primo marito e a proteggere pur in modo severamente primitivo Robert Lee il figlio avuto da quest’ultimo.  Fortunatamente c’è Ernie il piccolo di Frank ed Honey che rappresenta l’innocenza che forse li aiuterà a risorgere dal loro inferno. E  che  sarà la loro lavagna pulita da cui ricominciare.

I loro sogni non sono stati realizzati, la loro vita si svolge parallela a quella della televisione sempre accesa tanto da portare  talvolta confusione tra la vita reale e quella dei personaggi dei telefilm, dei quiz. Sempre voci mediatiche si sovrappongono ai loro pensieri, repliche e repliche Tv  del Watergate, di sit comedies, polizieschi,  canzoni famose..

Andavamo incontro” pensa Frank” a un mondo in cui non ci sarebbe stato più nulla di reale, anzi verso una nuova definizione della realtà, dove la rappresentazione delle cose sarebbe stata più reale delle cose stesse, poichè queste ultime avrebbero smesso di esistere.”

E per Frank, che ha rimosso dolorosi ricordi neppure affiorati da adolescente durante il ricovero nella clinica psichiatrica, la vita sembra proprio sdoppiata.

Il viaggio dal New Jersey verso il Michigan dopo aver saputo della morte dello zio Ward è un viaggio verso il passato “Avevo trascorso lì insieme a lui quasi metà della mia vita. Nella mia mente quello era il luogo da cui scaturiva ogni cosa. …Ciò che compone la nostra vita è determinante durante l’infanzia dai luoghi e dalle persone che ci stanno intorno, così in qualche modo la solitaria caparbietà, l’attaccamento alle cose di mio zio avevano impresso nella mia anima un tetro marchio di follia. La vita con lui era soltanto sopravvivenza e duro lavoro.”

Lentamente il mistero della morte dei genitori di Frank, del presunto assassinio di Ward, dell’incendio della fattoria e di un uomo in coma legato a queste vicende del passato si risolverà con dolore e fatica.

Michael Collins riesce in ogni pagina a darci emozioni intense, spunti di riflessione esistenziale raccontandoci come un vecchio “giovane Holden” l’amarezza e la delusione di quella parte di America che meno ci piace, quella della pena di morte, quella dei poveracci, quella in cui l’onnipresente televisione accesa  diventa un surrogato di vita anche per i bambini che hanno come amici gli eroi del piccolo schermo.

E sembra che i momenti cruciali della storia siano commentati da ciò che viene trasmesso in TV. Bellissimo leggere di un momento di disperazione senza speranza e senza senso  e “veder scorrere” le immagini  più cruente degli “Uccelli” di Hitchcok.

Ma si può risorgere dalla desolazione, dai ricordi tristi, si può finalmente ricordare ed elaborare, diventare insomma consapevoli e più forti. Il lungo inverno finirà, l’inverno che uno dei protagonisti ricorda  –  ancora come  un  vecchio “giovane Holden” – in questo modo  “le centinaia di oche che  nel lago all’arrivo improvviso del freddo sbattevano le ali divincolandosi fra la neve, cercando di sfuggire alla morsa del ghiaccio che le aveva intrappolate.”

Non bisogna rimuovere i tristi ricordi, sembra dirci questa storia, ma affrontarli. Accettare ciò che la vita ci offre di buono o di cattivo.

Sia Honey  che io siamo laureati adesso. La cerimonia ebbe luogo, come usava da quelle parti, sul campo da football, e ciscuno dei partecipanti scagliò in aria un topolino bianco in segno di giubilo. Credo che gesto più crudele non si potrebbe associare a un giorno così bello e importante…”

Ah, America, America … dalle mille contraddizioni…ah, Mondo intero…

Michael Collins è nato nel 1964 a Limerick. Ha conseguito il titolo di Doctor of Philosophy presso l’Università dell’Illinois a Chicago. Ora vive a Seattle. Con “L’altra verità” è stato finalista al Booker Prize.

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13 commenti
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  1. Proprio ieri pomeriggio, ero sola, non avevo voglia di far niente, NON HO UN LIBRO NUOVO , un caldo da mese di luglio (ma cosa succede a questo clima?? controlliamo ancora qualcosa? ) ho guardato un film di Sofia coppola, la figlia del grande regista americano. Un film che ebbe il Leone d’oro a Venezia, nel 2010e racconta la storia di un divo di Hollywood.Il film si intitola SOMEWERE. Johnny Marco non vive nell’America povera,descritta da M. Collins, abita nel leggendario Hotel Chateau Marmont, tra ragazze pronte all’uso e pasticche, fans assatanati e viaggi per presentare i suoi films. Andrà anche in italia a ricevere il telegatto: qualche sequenza di questo piccolissimo episodio ci rimanda un’immagine dell’Italia peggiore, quella che oggi dilaga ed è modello di vita.Detto questo il film è tristissimo e noioso, dà volutamente, e la regista ci riesce alla perfezione, un’idea di “povertà” assoluta all’interno di molti lussi. Sono apparenti questi lussi: scorte, macchinone ,bellissime ragazzine , pagate per fare qualunque cosa, e non saprei cosa altro, tanto squallido appare tutto il contorno della vita di Johnny. La storia non è importante ed è inconsistente ma la rivelazione della mancanza di una cultura sedimentata, antica, patrimonio comune e condivisibile, dove tutto, anche nella favolosa Hollywood e nella ricchezza, è sovrastruttura fragile e solitudine ontologica appare in tutta la sua realtà.. la letteratura americana ci racconta da sempre questa difficoltà di un grande Paese ancora adolescente, dove dietro all’individuo c’è lo spazio di poche generazioni, dove ognuno si trova in un mondo nuovo, dove si sente, eccome, ancora tutto i dolore e la solitudine dei bisnonni pionieri. Dopo aver letto la bella recensione di ” I risorti” ho visto per caso questo filmetto triste. E ho pensato ai lari e ai penati. E’ pericoloso cancellarli dalle memorie, molto pericoloso. -ciao ragazzi.

  2. Che caldo Camilla, hai proprio ragione… E così strano in questa stagione, che fa paura anche a me….Sai, anche io ho visto Somewhere al cinema e ancora una volta ho pensato come te al vuoto, alla noia, alla mancanza di una spinta per vivere, all’orrore del vuoto assoluto… La macchina che corre a vuoto, rombante, senza destinazione… Che bell’immagine. Un bacione a tutti

  3. Bellissima la riflessione di Camilla riferendosi al film della Coppola “Somewhere”, dopo aver letto la recensione dei “I risorti”.
    Non ho letto il libro, ma ho visto il film e devo dire che il viaggio del protagonista del libro verso il passato mi fa trovare delle analogie con la storia raccontata nel film. Infatti solo tornando indietro egli ricorda ed elabora, diventando consapevole e più forte.
    “Somewhere”. Da qualche parte ci sarà un posto dove si possa risorgere dalla desolazione e trovare verità e un po’ di felicità, che possa essere condivisa con il resto del mondo?
    La vita anestetizzata del protagonista del film viene messa in discussione dall’improvviso arrivo della figlia adolescente, che così regala al padre la possibilità di un momentaneo risveglio, donandogli così dei momentanei equilibri, lasciandolo però di nuovo solo, ma sicuramente più forte.
    Devo dire che non ho trovato il film noioso, ma molto intenso, anche se non posso negare che ci siano delle lentezze, ma sicuramente volute dalla regista in contrapposizione a momenti del film dove emergeva una falsa e pacchiana gaiezza.
    A questo punto però non posso fare a meno di pensare a “Il mago di Oz”, un film del 1939 diretto da Victor Fleming e alla canzone che canta Dorothy, la protagonista, e cioè “Somewhere over the rainbow”, dove sogna di trovarsi in un mondo magnifico, dove il cielo e gli uccellini sono azzurri, dove tutti possono vivere felici.

  4. Buon giorno a tutti – per me e’ ancora giorno… Come avevo anticipato ieri sono andata a vedere al cinema il live della rappresentazione teatrale di “Frankenstein” diretto da Danny Boyle dal London National Theatre. Un’emozione! Lo spettacolo la’ era alle 19.30 e qui a Ithaca erano le 14;30. Che bellezza: attori superbi, scenografia efficacissima, musica perfetta. Vedere lo spettacolo poi con le riprese pensate per il cinema ha sommato valore alla cosa, di fatto abbiamo visto dettagli che sarebbe stato difficile scorgere a teatro. E’ questa l’America che mi piace, quella che – ormai ahime’ cancellate le civilta’ indigene – guarda all’Europa con affetto e rispetto come un figlio verso un genitore. Quando non c’e’ questo nesso, questa interrelazione, nella provincia, nel midwest o a sud, il paesaggio statunitense si fa inquietante, come se mancassero le radici e i lari se la fossero data a gambe. Noi italiani – e questo mi consola almeno un pochino – non potremmo neanche volendo dimenticarci delle nostre radici, possiamo svilirle, accantonarle momentaneamente, riderne, ma in ogni caso dovremmo sempre poi riconsiderarle, e questo e’ molto, molto rassicurante.

  5. L’esporre i propri sentimenti, giudizi, emozioni sollecita senza dubbio nell’altro che legge o ascolta ulteriori sensazioni. E’ questo il bello della conversazione “piena”, conversazione, dibattito, confronti, agganci che nel nostro “salotto” culturale sono stimolati. Importante però è ascoltare l’altro…partendo, per dibattere o ampliare, da considerazioni simili o dissimili.

    Anch’io ho visto il fim “Somewhere” e parlando proprio con Enza avevo detto che l’avevo trovato perfetto come “involucro”, ma molto lento con qualche cosa che mi irritava. Ma sapete qual è stata la scena topica per me?
    Quando il protagonista si lascia apporre il calco di gesso sul viso per la maschera. Ecco…non sopporto qualle scena…non sopporto la mancanza di riìbellione. Io me la sarei tolta , l’avrei spaccata infischiandomene delle conseguenze.
    Non siamo più Ribelli? Credo che la Coppola sia stata brava nel sottolineare la mancanza di reazione al convenzionale che esiste in molti ambienti.
    Nel libro “I Risorti” c’è alfine la ribellione del protagonista che per scuotere la sua vita compie atti trasgressivi ed illegali. Ma senza giungere a simili estremi, possibile che le convenzioni, i pregiudizi, la comodità, il cervello assopito non ci facciano più ribellare?
    E mi chiedo, anch’io sono ancora la Ribelle di un tempo?
    Ho fatto molte scelte al di fuori delle convenzioni, mi sono ribellata, ho litigato, me ne sono andata…e ne sono quasi fiera. Fra tutti gli episodi citerò quello del mio impiego durato due ore. Verso i 20 anni ero rimasta senza lavoro (io ho iniziato a lavorare molto presto, mi sono laureata “da grande”). Grazie a un amico di mia madre venni assunta in un maglificio come impiegata. Mi trovai in un ampio ufficio dove tutti gli impiegati e il titolare lavoravano silenziosamente guardando (sorvegliando) attraverso una larga vetrata gli operai chini sulle macchine da maglieria.
    Dopo due ore mi alzai e dissi agitata ” Io vado a casa. Non posso stare qui. Sa, io scrivo poesie…”. Il titolare mi guardò allibito poi telefonò a mia madre ” Maria, te ghe na fiola strana…”.
    Dopo alcuni mesi me ne andai a Londra alla pari.
    Dai, ribelliamoci.

  6. Evvai!!! A proposito di ribellione… ma c’e’ un modo che io possa delegare qualcuno per votare in vece mia al referendum? Qualcuno lo sa? Non esserci per tre giorni mi tormenta…

  7. Ed ecco che sto leggendo un piccolo grande libro,uscito nel 2006 di cui non avevo mai sentito nulla: (Quando un argomento non è “alla ribalta mediatica” a volte lo si ignora come qualcosa che non ci riguarda). Ne lessi un paio di settimane fa’ sul Domenicale del sole 24 ore. Era scoppiato il bubbone gheddafi – Libia, e finalmente feci attenzione (!) e cercai il libro citato .Hisham Matar “Nessuno al mondo” ed. Einaudi. Un romanzo bellissimo, dove ci si ribella. Al dittatore Gheddafi , appunto. Queste ribellioni nel romanzo, e nella realtà, costano la tortura e la vita.E al tempo stesso i personaggi protagonisti,narrati mirabilmente da un bambino di nove anni di nome Suleiman, ci mostrano la Libia così come non l’avevo mai immaginata. Gente colta , piena di Lari e penati. Tanto per cominciare. Il padre del piccolo Suleiman verrà preso dagli sgherri del colonnellissimo. ma la storia di Suleiman, della sua casa, dei suoi genitori, dei suoi amici, viene fuori luminosa nel sole rovente dell’Africa. “”……Era il 1979 e il sole era dappertutto. Tripoli giaceva immobile e abbagliante nella canicola. Ogni persOna, animale o formica vagava alla ricerca d’ombra, QUELLE OCCASIONALI CHIAZZE GRIGE DI MISERICORDIA SCAVATE NELL’ONNIPRESENTE BIANCORE. mA LA VERA MISERICORDIA ARRIVA SOLO DI NOTTE, UNA BREZZA CHE IL VACUO DESERTO RENDEVA GELIDA, CHE IL MARE MORMORANTE INTIMIDIVA, UN’OSPITE RESTIA E SILENTE CHE SFILAVA PER LESTRADE VUOTE,INCERTA SU QUANTO LE FOSSE CONCESSO VAGARE NEL REGNO DELLA STELLA ASSOLUTA………..” E per Sulemain con la sua adorata giovanissima mamma, il padre spesso assente ma tanto amato, gli amici, le gite in macchina con mamma per mangiare fuori casa, prendere il gelato. I giochi, i sogni, la vita di un bambino che vive in una bella casa piena zeppa di libri….tutto diventa atroce per via della dittatura.
    E ieri pensavo che un romanzo non è una notizia, che ti indigna, ti fa soffrire ma poi viene inevitabilmente dimenticata, sovrastata da mille e mille altre notizie e immagini, che si accavallano continuamente ma sono istantanee, un romanzo è un’esperienza che non si dimentica. ora la Libia per me, ora c’è, come un luogo vero, vicinissimo dolente. Pieno di persone vere . E Sulemain è diventato un piccolo amico per cui stare in pena.Ora lo so cosa sta succedendo in Libia, ora lo so davvero. la ribellione , tanto covata e repressa, ora è scoppiata.

  8. E una persona vera che ci canta dell’Africa è Saba, una cantautrice italo-etiope che stasera ci ha incantato con le sue parole, la sua musica e la sue esili braccia intrecciate mentre spiegava i “deserti affollati” dei migranti, o mentre raccontava della nostalgia per la sua mamma africana, la sua OIO, e per suo padre, soldato italiano.
    Rina, preziosa divulgatrice di questo evento organizzato dall’Amref, Enza ed io e tutte gli altri spettatori siamo rimasti incantati dalla bellissima e brava Saba e dalla sua eccezionale band.
    Una trascinatrice che ci ha commossso, rivitalizzato, entusiasmato e che ha risvegliato in noi quella parte africana primigenia dei nostri primi passi come uomini.
    Ha parlato della Libia, dei profughi che vagano sotto cieli neri alla ricerca della salvezza o di un sogno, ha cantato dell’acqua che in somalo si dice BIYO, esortandoci ad andare a votare per il Referendum, ha evocato quella linea sottile che ad un certo punto del giorno confonde all’orizzonte cielo e mare… così come dovrà essere un prossimo congiungimento dei popoli. E ha cantato ancora di sogni come quelli del piccolo Suleiman di Camilla.
    Le sue mani sottili, le sue parole italiane, inglesi, africane ci hanno portato nella Mogadiscio della sua infanzia descritta come una tovaglia bianca distesa al sole , città che alla sera “si incendiava” dei profumi che le donne si accarezzavano sui polsi e sul seno pronte per una notte d’amore.
    Spero che Enza e Rina aggiungano alcune note su questa magica serata per i lettori del mio Blog.

  9. Ha cantato la sua tristezza per la diaspora, che è una ferita aperta,un’emorragia che continua a fluire dal cuore dell’Africa ma anche la gioia per un bimbo nato in mare.
    ” Immaginate la notte più nera -ci ha detto – un barcone gremito…” e veniva naturale chiudere gli occhi per meglio vedere quelle acque scure, per meglio sentirsi in quella barca e lasciarsi trapassare dalle emozioni e dalla musica.
    Ho avuto la gioia di poterla salutare e ringraziare dopo il concerto: per la potenza dei suoi messaggi, per la forza e la grazia , l’entusiasmo e la convinzione con cui li sa trasmettere.

  10. Dopo quello che è stato detto da Mirna e Rina non posso che aggiungere la mia emozione non solo per quello che Saba ha saputo trasmettere, ma anche per la musica che ha accompagnato il suo canto, le sue movenze, le sue espressioni, il suo messaggio. Musica suonata da artisti di due colori diversi, così come Saba ha voluto sottolineare, facendo così riferimento al colore della sua pelle. Musica che mi ha riportata in Sudafrica, durante una serata a Città del Capo, dove, grazie a Lei e alla generosità degli artisti, anche là è emersa la parte africana degli astantii.

  11. American Vertigo (Bernard Henry Levy); Che paese l’America (Mc Court); Manhattan Transfer (John Dos Passos); I figli di Colombo (Erik Anfitheatrof). Ecco la mia America più recente, ex libris. Ma molto di più continua a colpirmi il ricordo dell’unico viaggio che vi feci, oltre 20 anni fa, tre settimane coast toa coast, con la famiglia. Spazi immensi, deserti di persone che si riunivano in saloon supercondizionati, in penombra, a bere bibite superdolci o superalcoliche. Vuoi un cubetto di ghiaccio? La macchina automatica te ne scarica un secchiello pieno. Il resto nel WC! Città enormi dove sei più solo che nel deserto. Siamo al piano terra di una delle due Twin Tower. Un uomo corre. Afferra una vecchietta e la scaraventa per terra. Il poliziotto, obeso, che lo inseguiva ansimando carico di manette, pistola, manganello, radiotelefono e adipe, si ferma, sbuffa, prende fiato, soccorre la vecchietta che perde sangue da una tempia. L’altro si è dileguato. La gente, intorno, prosegue nelle proprie incombenze.
    I Lari ed i Penati … averceli! Ma qui la cosa più vecchia che hanno sono le pantofole della nonna … qui, cioè lì, in America, dicevo, ed infatti la vera America è quella del passato, quelle dei Pellerossa ed anche quella che oggi guarda con affetto e rispetto alle Madre Europa (Stefania docet), come del resto fa il libro di Anfitheatrof …
    Stefania, per i referendum come fare? Non lo so, forse chiedendo ad una delle forze politiche promotrici …
    Mirna, ribellarsi? Si certo, e noi tutti lo stiamo facendo … altro che panem et circenses! Ribelliamoci, si, è l’ora, una ribellione pacifica, culturale, della consapevolezza, fondata sul ridare ad ogni parola il suo significato, sul cogliere il peso specifico ed il “valore specifico” di ogni bene, di ogni scelta, di ogni priorità , sul fare le connessioni fra i vari avvenimenti (nulla accade per caso, ricordate gente, ricordate!), sul domandarsi cui prodest … sapete … a pensar male si fa peccato ma si indovina …
    Il Sud del mondo si sta ribellando, ma in altro modo, l’uinico a sua disposizione. L’onda colpisce la riva e poi si ritrae … la risacca respinge indietro l’acqua … per secoli il nord del mondo ha sfruttato il sud del mondo. Ora assistiamo alla risacca …
    Termino con la Libia. Oggi avevamo a pranzo Eliana, la cugina “gemella” di Maria Teresa, il cui figlio lavora(va) in Libia, responsabile dei pozzi dell’ENI. Tripoli, bella, ricca, elegante .. la benzina e la corrente elttrica quasi gratuita, ritratti del “capo” ogni 50 metri …. I Libici urbani non lavorano. Per loro lo fanno le masse di Afrikaner, di Egiziani, Tunisini, etc.. quelli che da un mese fanno la ressa per fuggire alla guerra civile …Mi ha riportato alla mente i periodi che vissi a Teheran ai tempi dello Scià. I miei soci, ebrei iraniani (Mossanen, i Figli di Mosè) affemati, ricchi, potenti, mi dicevano: entro cinque anni qui ci sarà la rivoluzione. E così fu, anche prima dei cinque anni. Ma la storia non era “Magistra vitae”?
    Ho riletto “Gomorra” ma non lo “posto”: ormai è scontato, anche se attualissimo. Piuttosto, sto letteralmente divorando Il cimiterio di Praga di Umberto Eco: questo si che ve lo “posterò” (mi prenoto).
    Buona lettura a tutti!

    (P.S. Di “Gomorra” ha già scritto Stefania. Basta cercarlo nell’Archivio.)

  12. on 06/04/2011 at 10:50am
    DA PARTE DI RICCARDO

    Ciao amici! Lunedì sera io non c’ero alla serata dell’Accademia ad ascoltare Gian Paolo Margonari detto Margonauta. Avevo un po’di febbre,. ero andato in bici per la prima uscita della stagione con un abbigliamento quasi invernale … una botta di caldo che non vi dico … ora mi adeguerò e farò il “cambio del guardaroba”!
    Oggi sto già bene e vi parlo volentieri anch’io del Gran Viaggiatore Camminando.
    Oltre che a condividere quanto ha scritto Maria Teresa, mi ha colpito l’equilibrio misurato e reciproco di tutte le componenti dei suoi lavori letterari. Sintetizzare e calibrare è molto più difficile che non esporre a briglia sciolta. E Gian Paolo è maestro di una sintesi veramente equilibrata.
    Unica critica: i suoi libri sono troppo preziosi per essere trasportati in un sacco da montagna, si sciuperebbero; d’altra parte la loro dimensione editoriale è troppo piccola rispetto al grande valore dei testi e delle foto. Ma allora, direte voi? Che vai “trovando”, Riccardo? Ecco, l’equilibrio appunto, da lui ricercato e raggiunto … che vi dicevo?
    Multa paucis, ha detto molto sia pure con poche parole, mi piace tradurre così il motto latino!
    BVC, Buon Viaggio Camminando a tutti, anche solo attraverso la lettura dei suoi libri!
    Grazie, Gian Paolo
    Riccardo

  13. INCOLLO UNA BELLISSIMA POESIA TRASCRITTACI DA GIANFRANCO CHE PRESTO CI FARA’ LEGGERE UN SUO POST.

    Anche in questi versi serpeggia una sollecitazione alla ribellione di tutti coloro che non riescono ad assaporare la vita …

    VIVERE O LASCIARSI LENTAMENTE MORIRE

    Lentamente Muore..


    Lentamente muore chi diventa schiavo dell’abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi 
percorsi, chi non cambia la marca, il colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.

    
Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su bianco e i puntini 
sulle “i” piuttosto che un insieme di emozioni, proprio quelle che fanno brillare gli 
occhi, quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore 
davanti all’errore e ai sentimenti.

    
Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul lavoro, 
chi non rischia la certezza per l’incertezza per inseguire un sogno, 
chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati.
    

    Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi non ascolta musica, chi non trova 
grazia in se stesso.

    
Muore lentamente chi distrugge l’amor proprio, chi non si lascia aiutare; 
chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.

    
Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, 
chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, 
chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.

    
Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo richiede uno 
sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare. 
Soltanto l’ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità.


    Pablo Neruda

    (Per onor di cronaca vi informo che la paternità di tale poesia è attribuita erroneamente a Pablo Neruda…
la verità è che è stata scritta da Martha Madeiros…)

    (Figlia di José Bernardo Barreto de Medeiros e Isabella Matos de Medeiros, è giornalista per il giornale Zero Hora di Porto Alegre e per O Globo di Rio de Janeiro.
    Si è laureata nel 1982 presso la Pontificia Università Cattolica di Rio Grande do Sul (PUCRS) a Porto Alegre.
    Dopo aver lavorato in campo pubblicitario, si è trasferita per nove mesi in Cile e lì ha cominciato a scrivere poesie. Tornata a Porto Alegre, ha iniziato a scrivere come giornalista proseguendo anche la sua carriera letteraria.
    Un testo tratto da una sua poesia del 2000 dal titolo A Morte Devagar (tradotta in italiano col titolo Lentamente muore) è attribuito erroneamente dai più (e, principalmente, su internet) a Pablo Neruda[1].