LA FOLLIA DELL'ASSOLUTO, vita di Ingeborg Bachmann

pubblicato da: admin - 1 Ottobre, 2010 @ 7:03 pm

scansione0020Non è semplice parlare di questo libro di Hans Hòller, insigne germanista che insegna all’Università di Salisburgo. E’ una biografia di Inge Bachmann? E’ un saggio sul potere dell’arte? E’ un compendio di brani di diario, riflessioni, poesie, filosofia ?E’ l’analisi di un malessere esistenziale estremo?

So per certo che è uno scritto impegnativo  e avvincente, che io sto leggendo quasi fosse un testo di studio. Se si può procedere con tranquillità tra i cenni biografici della nascita, della famiglia, degli studi di Inge  Bachmann, si deve però  rallentare parecchio  quando si entra nella sua concezione d’arte, di vita, di filosofia, di politica,  di ricerca della  verità assoluta. La grande scrittrice- poetessa stretta da tormenti esistenziali non riesce a trovare scampo quasi fosse stata segnata dai tragici eventi storici della sua prima giovinezza. 

 “C’è stato un momento preciso che ha distrutto la mia infanzia” racconta durante un’intervista “L’entrata delle truppe di Hitler a Klagenfurt. Fu qualcosa di così orrendo, che il mio ricordo inizia con questo giorno, con un dolore troppo precoce…Ma questa immensa  brutalità che si avvertiva, questo urlare, cantare e  marciare – il sorgere della mia prima angoscia di morte…” E’ il 12 marzo 1938 e Inge ha soltanto 12 anni.

Gli anni della guerra sono duri, il padre arruolato, i libri che il Nazismo aveva messo all’indice, nascosti nei solai e letti nei bunker. Comincia a scrivere drammi,  racconti, poesie.  Dopo il diploma si iscrive alla facoltà di filosofia dell’Università di Innsbruck. Quando si trasferisce a Vienna incontra Hans Weigel e il suo circolo letterario al Cafè Raimund.

Scrive e capisce che l’arte è il suo rifugio. “ Che devo fare? Spesso sono preda di una sconsolata depressione. Perdo ogni speranza e precipito in una disperazione senza limiti. Se solo potessi vedere ancora una volta il sole!…Mio unico amico,”l’arte è una padrona severa.”  Più tardi usando le parole di Proust parla di “legge crudele dell’arte” e poi dello scrivere come “costrizione,ossessione, maledizione e punizione.”

Necessità interiore di scrivere del dolore di lasciare la Carinzia, della sua intima disperata irrequietezza di “poter perdere la via, anzi di non trovarne nessuna“, della consapevolezza del problematico rapporto tra i sessi e della posizione del potere maschile che le fa vedere anche la la sua arte sottomessa ad esso. L’Io femminile  invece viene spesso rappresentato imparentato  con il sogno e senza difese, come in Malina dove  c’è  un padre che sembra volerle togliere la parola alla figlia, tagliandole la lingua.

Scrittrice complessa. Io ho sentito parlare di lei alla radio, grazie alla mitica Radio 3, ho letto alcune poesie, ma non sono ancora entrata a grandi passi nella sua opera. Ma, come sempre, rimango affascinata dalla vita delle persone particolari, tormentate, complesse e ricche.

Ha due importanti relazioni amorose una con Paul Celan, l’altra con Max Frisch; abuserà di alcool e farmaci, dai quali non trovo scampo neppure rifugiandosi in Italia. Morirà nel settembre 1973 per le gravissime ustioni riportate in un incendio.

E’ Paul Celan l’incontro determinante sia per la vita che per la poetica di Inge. Di lui scriverà, dopo la sua morte, “una delle frasi più grandi della letteratura tedesca dopo il 1945” “La mia vita finisce, perchè lui è annegato nel fiume durante la deportazione, era la mia vita. L’ho amato più della mia vita.”

La vita di Celan dopo l’uccisione dei genitori da parte dei nazisti e l’esperienza del campo di lavoro è una ricerca di qualcosa “che sia raggiungibile, ma abbastanza lontano”. Le sue poesie diventano presto famosissime tra cui “Fuga di morte”. In lui  sempre la ferita sanguinante  dell’annientamento di un popolo.Dell’olocausto.

Nonostante l’amore e l’intenso dialogo letterario, lo scambiarsi di sentimenti e immagini poetiche, Inge e Paul non riescono a vivere insieme. Scrive Inge in una lettera a Hans Wegel: “sembra che per ragioni demoniache …ci togliamo a vicenda l’aria per respirare.”

Libro impegnativo come dicevo e del quale si può parlare soltanto un po’ per non scrivere  una “tesina”. Dei tanti capitoletti in cui è diviso lo scritto, molti dei quali recano il titolo tratto dalle poesie di Inge, scelgo di finire con quello “Verrà un giorno la festa”che racconta del suo  soggiorno italiano . Dapprima a Ischia, poi a Roma dal 1953 al 1957.

I suoi pensieri, il suo sguardo sull’Italia e sulla società sono intensi. Che differenza dall’immagine  distorta nel bene e nel male che certi film stranieri danno del nostro paese e della vita in generale.

Inge passeggia per Roma., osserva i suoi operai, guardo il Campo dei Fiori dove “Giordano Bruno continua ad essere bruciato. Ogni sababto, quando smantellano le bancarelle intorno a lui e restano solo le fioraie…gli uomini raccolgono sotto i suoi occhi i rifiuti che sono rimasti e danno fuoco al mucchio…”

La sua ricerca verso l’assoluto è faticosa e sofferta. Dopo aver letto, negli anni Sessanta un libro sull’integrazione europea  annota “…Perfino il mio stare con le mani in mano mi pare a volta una sorta di “consenso”, un’accettazione del male, un dire di sì a un mondo che non posso approvare….”

E in una dichiarazione per il documentario di Gerda Heller : Ingeborg Bachmann a Roma “In cerca di frasi vere”, 1973,  ci lascia queste ultime parole:

Quel che noi abbiamo è nulla. Si è ricchi se si ha qualcosa che è più delle cose materiali. E non credo a questo materialismo, a questa società dei consumi, a questo capitalismo, a questa mostruosità che qui si perpetra, a questo arricchimento della gente che non ha nessun diritto di arricchirsi alle nostre spalle. Credo veramente in qualcosa, e allora dico “verrà un giorno”. E un giorno verrà. Sì, probabilmente non verrà perchè ce lo hanno distrutto, sono tanti millenni che ce lo distruggono. Non verrà e ciononostante ci credo, perchè se non potessi più crederci, non potrei neanche più scrivere.”

  

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  1. Grazie Mirna,
    ci presenti sempre donne eccezionali, che personalmente mi spingono ad affrontare meglio la giornata… Ho conosciuto la Bachmann, figura tragica e lucida , quasi un emblema del XX secolo, ” di striscio” attraverso la lettura e l’approfondimento di Celan e questo libro che presenti ci tengo proprio a leggerlo. Un bacio

  2. Avevo letto qualche poesia di Ingeborg Bachmann all’Universita’, nel corso sulla poesia tedesca moderna e contemporanea. La Bachmann si stagliava sugli altri artisti per la forza e insieme la disperazione delle sue immagini, delle sue sensazioni. Pur non avendo approfondito la sua opera mi ha sempre attirato per la sua onesta’ – impietosa – e per la condanna alle inedie umane, siano queste personali o sociali. Leggendo quindi il post sulla sua biografia, comincio a raccogliere piu’ tasselli e a farmi un quadro piu’ completo della sua vita sofferta. Senz’altro sara’ un’artista che ricerchero’ in futuro. Come tutti i creatori che maturano sualla propria pelle immagini di verita’ – soprattutto – e bellezza – talvolta – la Bachmann ha un fascino ed una forza unici.

  3. Di solito non apro mai il p.c. nel pomeriggio. Amo aprire queta simpatica finestra al mattino, fare il solito giretto (tre o quattro preferiti) iniziando da un llbro al giorno , di questa straordinaria Mirna, che sempre mi stupisce. Ingeborg Bachmann, una letterata, una poeta importante, una donna ferita (a morte?) durante la sua prima giovinezza.Non ho trovato una sola parola da dire. Impossibile. Poi, una volta uscita di casa , il pensiero della Bachmann ha cominciato a insinuarmisi in testa : ho ricordato qualcosa di Thomas Bernhard, altro austriaco, grande scrittore, grande infelice; mi pare che dicesse qualcosa su I.B. del tipo che era il suo Paese ad averla tradita, ad averla ferita mortalmente.E ho subito pensato a Herta Mueller , ai suoi terribili libri, scritti come poemi e pieni di un dolore, di un male, inaudito e inestinguibile. Anche lei ferita crudelmente nella sua patria. E’ ancora giovane H.M., e la sua scrittura, ossessionante e magnifica, la salva, la restituisce al mondo perchè comprenda.Sono molto soddisfatta che abbia ricevuto il Nobel, un simbolico riconoscimento della sofferenza dell’umanità perseguitata . Sempre camminando verso piazza Duomo, ho poi pensato a David Foster Wallace, alla sua infinita umanità , alla sua pietà e comprensione profonda per la sofferenza , al continuo canto d’amore verso tutte le persone. La sua vitalità, la sua energia, di Infinite Jest, uno dei suoi romanzi. Giovinezza e perdita. E quello che mi ha rasserenata, che mi ha “riportata alla realtà, alla ragione”, perchè ci si può ben perdere nella disperazione, è stata la storiella di impianto parabolico che Foster Wallace racconta in “Questa è l’acqua”. Ci sono due giovani pesci che nuotano e a un certo punto incontrano un pesce anziano che va nella direzione opposta, fa un cenno di saluto e dice:-Salve ragazzi. Com’è l’acqua? – I due pesci giovani nuotano un altro po’, poi uno guarda l’altro e fa: – Che cavolo è l’acqua?

    I giovani pesci non lo hanno capito ma questa è l’acqua, per tutti: giovani e vecchi, ricchi e poveri, di ogni dove: questa è l’acqua, per tutti. affettuosamente ciao