PERSEPOLIS ovvero, storia di un'infanzia

pubblicato da: admin - 24 Febbraio, 2011 @ 12:50 pm

112[1] di MARJANE SATRAPI 

I CLASSICI DEL FUMETTO DI REPUBBLICA, 2005

Prima pubblicazione nel 2000

350 pagine

Mi fa piacere lasciare la parola a Riccardo che ci porge un genere di lettura diverso, ma in un certo senso attualissimo sia per i contenuti storici, politici e sociali  che per la fruizione immediata che l’immagine suscita. Inoltre, se leggiamo con attenzione, troveremo mille e mille spunti per riflessioni, dibattiti, confronti.

Trentasei anni fa, per lavoro, ho trascorso alcuni periodi a Teheran, la città dello

شاه شاهان cioè dello Scian Scia, del re dei re, cioè di Reza Palhavi.

In quell’occasione mi piace ricordare che feci amicizia con Michele Cazzato, basso buffo che si esibì ne L’elisir d’Amore, lui che era anche Direttore del Teatro e del Coro Imperiale e con Luciana Serra, soprano oggi famosa, entrambi liguri come me. Chiusa la parentesi.

I miei partners locali, ebrei, al tempo concedevano ancora solo cinque anni al regime prima che esso, a loro giudizio, fosse schiacciato da una rivoluzione islamica che prevedevano con una sconcertante certezza.

Da parte mia osservavo aspetti molto superficiali ma significativi. Ad esempio, che per far fronte all’enorme sviluppo edilizio, erano state fatte arrivare dall’intero paese maestranze di base, operai e muratori, che poi la notte dormivano all’aperto, su cartoni, adagiati sul fondo dello scavo che stavano eseguendo, nel pieno frastuono del traffico che circondava il quartiere, mentre uno di loro, a turno, faceva la guardia per impedire che taluno, “per scherzo” tirasse sassolini ai dormienti, svegliandoli.

Il Ministero dell’Agricoltura, poi, era un grattacielo di trenta piani, letteralmente ripieno di apparecchiature elettroniche (ometto di citare il nome della più importante casa produttrice mondiale di tali apparecchiature) d’ogni tipo, perfettamente imballate, che nessuno stava usando né avrebbe mai usato. Quanto visto, mi bastava a comprendere la previsione di cui vi accennavo.

Questa è l’anteprima.

Ora, dopo tanti anni, ho letto “Prigioniera di Teheran “ di Marina Nemat (Cairoeditore) e “Mai senza mia figlia” di Betty Mahmoody e William Hofer (Sperling & Kupfer, v. sul blog, ottobre 2010) oltre il volume che sto presentando. Questi solo fumetti, che però hanno “vinto” molti premi internazionali e che esprimono tanta, veramente tanta forza!

Tutto inizia nel 1980 quando le donne in Iran sono obbligate ad indossare il foulard. L’autrice all’epoca ha solo dieci anni. Poi, cresciuta, emigra a Vienna, poi in Francia, poi rientra nella sua patria. Molti sono i piani sui quali l’azione si svolge: familiare, amicale, politico, bellico, studentesco, religioso, di costume, etc. e fortissimo è il contrasto fra di essi, fra i diversi luoghi e tempi. Lo stile dei disegni, in bianco e nero, con figure essenziali, stilizzate, lascia spazio alla riflessione sull’essenziale del messaggio che dobbiamo cogliere … si … dobbiamo … per un dovere morale verso chi ha sofferto quelle vicende e per un senso di rispetto verso tutti coloro che ancora oggi le stanno soffrendo, verso le donne in particolare, che in una “buona” (sarebbe meglio scrivere “cattiva”) parte del mondo ancòra oggi soffrono di soprusi, violenze e discriminazioni d’ogni sorta.

Altra parte fondamentale del libro è la testimonianza della crescita e della maturazione della ragazza, che deve sintetizzare la cultura familiare e sociale d’origine con la cultura (e le prassi) dei luoghi europei della sua emigrazione. Devo dire che la testimonianza sarebbe stata importante anche senza il fatto dell’emigrazione e della fuga dalla dittatura iraniana!

Infine, colpisce come quel regime (iraniano, non libico, ma il discorso si può ripeter anche in questo caso), assoluto, super organizzato, ricco di denaro e di amicizie internazionali, sia poi crollato sotto la pressione delle masse. Corsi e ricorsi di una storia ai quali taluno, anche oggi, sembra non voler mai credere …

Fumetti, si diceva, …

Riccardo

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  1. Per capire la situazione attuale della donna in Iran consiglio di leggere il libro ” Il mio Iran” scritto dal premio Nobel per la Pace Shirin Ebadi .
    Per quanto riguarda le condizioni lavorative delle manovalanze negli anni 70 in Iran nulla e`, al giorno d`oggi ,cambiato!! I lavoratori “adibiti” alla ricostruzione e modernizzazione degli Emirati Arabi e Paesi attigui sono costretti a lavorare nelle stesse condizioni , senza diritti e con paghe da fame.Provengono quasi tutti dall`Estremo Oriente , Pakistan etc.
    Conosco diversi iraniani ,in particolari esuli forzati appartenenti alla religione Baha`i, che , se scoperti in Iran, vengono sistematicamente giustiziati.
    Un aneddoto : ho conosciuto anni fa un “inventore” grande cervello presso MIT d Boston.
    Persona semplice e aperta. L`inventore aveva notato che il governo libico faceva incetta delle sue invenzioni appena appena “scodellate”….Incuriosito ,terminata una conferenza a Roma, e` riuscito a volare a Tripoli e a constatare che tutti i suoi brevetti,che spaziavano negli anni,erano tutti li` all`Universita`, ancora imballati e inutilizzati!

  2. Persepolis è molto bello, grazie Riccardo per avercelo ricordato…. Io ho visto il film. Segnalo un altro film di animazione ” impegnato”, Valzer con Bashir, sulla guerra in LIbano…E’ bello leggere anche delle esperienze di R. e Elisabetta,le loro conoscenze. Questo blog riesce sempre ad arricchirmi…

  3. Ho scritto alcuni post che non sono apparsi: Boh! Caro Riccardo, non riesco proprio a non soffrire, in questi giorni, per quello che sta accadendo a tanti giovani che si ribellano e che non trovano, (forse la troveranno?) giustizia. Il potere brutale è troppo forte e quanti dolori e quanti morti ci vorranno ancora e, quanti anni di paura e disperazione perchè si possa sperare di …sperare? Io mi rifugio nella letteratura. E domani vi racconterò La vita accanto di Mariapia Veladiano. Un libro per Raffaella e Miki, uno di quelli che ti abbracciano l’anima e, credo, illuminano con un raggio di intelligenza e bellezza la grigia tristezza di questi tempi bui.

  4. “Viviamo proprio in tempi oscuri” diceva una poesia di Brecht degli anni Trenta. E questo clima generale di guerre, ingiustizie che continuano impassibili, speranze che rimangono deluse deprimono, persino noi che – pur tra i nostri squallidi intrighi interni – ci sentiamo o crediamo di essere ancora liberi.
    La ricerca della nostra serenità individuale, faticosa, piena spesso di ostacoli imprevisti viene duramente inficiata da ciò che avviene all’estero e nel nostro paese.
    Che possono fare questi giovani di una generazione senza identità e poco spessore? Anche i più coraggiosi dove posono rispecchiarsi? Nel nostro governo che dovrebbe rappresentarci? Nei dittatori che ancora esistono, è vero, ci sono ancora! e tutto ci passa davanti agli occhi ormai come una patologica abitudine.
    La cultura , ultima spiaggia. Il nostro rifugio “antibrutture” è la Letteratura come lo è per Camilla e tutti noi Lettori e Pensatori.
    Ciò che mi rende ancora più triste è che non so che cosa fare…intanto parliamone, buttiamo qualche piccolo seme “tra un libro e l’altro”…

  5. La dittatura di Persepolis è in minima parte quella dello Scià e soprattutto quella del regime fondamentalista che gli è succeduto. Due tirannie, sia pure con paludamenti diversi. Entrambi i regimi, impegnati ad accumulare: enormi quantità di denaro, di potere, di sentimenti, pensieri, aspirazioni, speranze altrui. Altrui, ripeto. Ma insomma, la storia nulla ha insegnato? I bunker del denaro, del potere, del monopolio del pensiero non sono inespugnabili. Gesù, sia esso interpretato come “storico” o come vero Messia, ha detto: “Non potete servire contemporaneamente Dio e il denaro”. Perchè se l’è presa tanto con il denaro, e molto, molto meno con altre manifestazioni non proprio consone ai suoi insegnamenti, quali, per fare un esempio, gli eccessi della sessualità? Nella predica di ieri Don Farina, dalla chiesetta di Gardolo che lo ospita il sabato sera, ha detto: “Perchè accumulare enormi quantità di denaro è una forma di idolatria”. Io mi permetto di aggiungere: lo stesso dicasi per il potere in quanto vi è una relazione biunivoca fra potere e denaro. Don Farina prosegue: “Chi accumula denaro (e potere, n.d.r.) deve domandarsi come ciò incida sulla vita delle persone reali. E ciò vale anche per le istituzioni religiose, le quali, se arrivano a dichiarare che la loro ricchezza è tale da poter fare a meno delle elmosine dei fedeli, stanno perdendo di vista un apetto fondamentale della loro missione”.
    Religione, quindi, del denaro e del potere come malattia dei nostri tempi (n.d.r.).
    La speranza? Don Farina soggiunge: “E’ consolante constatare che da sempre chi ha accumulato denaro “alle spalle” della gente, alla fine è stato punito e che la storia è stata fatta da chi ha agito con sobrietà e mitezza (Gesù, Ghandi, Degasperi, etc.).