DIARIO di Etty Hillesum

pubblicato da: admin - 26 Gennaio, 2010 @ 4:31 pm

etty-hillesum-300x187scansione0002Scrivere di sè è il più grande aiuto  che ci si può dare: impariamo a conoscerci più a fondo. Il “conosci te stesso” è sempre valido in tutti i tempi e in tutti i luoghi. Molti di noi tengono un diario per registrare non solo gli accadimenti quotidiani, ma per sgomitolare quei sentimenti e quelle emozioni che ci accompagnano nella ricerca del senso della nostra esistenza.

Io ho cominciato a scrivere il diario a 14 anni, sull’onda emotiva della lettura del Diario di Anna Frank. E continuo tuttora. Amo tantissimo leggere i diari di altre persone, soprattutto naturalmente quelli dei grandi pensatori, perchè in essi ci si ritrova, da essi si attingono illuminazioni, spunti, aiuti o legittimazioni del nostro procedere.

Pensando a domani, giorno della memoria, mi ritrovo a sfogliare  il diario meraviglioso di Etty Hillesum, che soltanto pochi anni fa, non conoscevo. Comprendo la perdita che avrei avuto dentro di me se non lo avessi letto.

Ne parlo oggi anche perchè vorrei ricordare che al Teatro Cuminetti di Trento, sia il 27 che il 28, ci saranno due rappresentazioni sulla sua vita e il suo pensiero.

Etty nasce in Olanda nel 1914 da una famiglia della borghesia intellettuale ebraica. E’ una ragazza brillante, anticonformista, con la passione per la lettura, la psicologia e la musica.  Non ancora trentenne, vive ad Amsterdam, lontano dalla famiglia. Nel 1941 conosce Julius Spier, più anziano di lei,  che esercita con successo la psicochirologia appresa da Jung di cui è stato allievo. 

Etty comincia a scrivere per una necessità vitale: quello di far erompere allo scoperto i suoi sentimenti, che bloccati nel profondo, la fanno stare male.

                            “Avanti, allora! E’ un momento penoso, quasi insormontabile: devo affidare il mio animo represso a uno stupido foglio di carta a righe:”

Questo è l’incipit dei suoi quaderni. E’ il 9 marzo 1941. Deve sbrogliare i suoi sentimenti verso Spier dal quale si senta fortemente attratta, e che diventerà il suo amante,  e analizzare se stessa  anche nei confronti della sempre più minacciosa repressione nazista verso gli ebrei.

Soprattutto la sua ricerca è quella “dell’essenziale e del veramente umano” tanto che, lei, ragazza laica e aconfessionale, troverà, infine attraverso un continuo dialogo interiore, Dio.

Lo trova nel profondo di sè.

 E’ il suo atteggiamento positivo verso la vita in modo assoluto, nonostante gli orrori che sta vivendo la sua epoca, che farà crescere la sua inarrestabile tendenza ad amare la vita globalmente, l’essenza umana e Dio. Etty ha bisogno che Dio ci sia per vivere a fondo la meravigliosa esperienza della vita. ” La sorgente profonda che scopre in lei, dopo averla dissepolta da pietre e sabbia è Dio.”

                                                                                                      “Se Dio non mi aiuterà allora sarò io ad aiutare Dio”

La sua esistenza è un grandissimo insegnamento, non solo per questo suo  personale approdo spirituale, ma per l’amore verso tutto e tutti .

                                                                                     “Io vivo, pienamente, e la vita vale la pena viverla ora, oggi, in questo momento”

Questo mio volumetto è letto e sottolineato perchè ogni riflessione, ogni parola  sono preziose. Etty è come un sole, che risplende di luce propria, e così facendo diffonde  esempi  di coraggio e gioia.

Nel 1943 lavora a Westerbork, il campo di smistamento degli ebrei olandesi in attesa della deportazione. Di questo periodo rimangono le sue lettere agli amici, dense, pur tra le descrizioni drammatiche, della sua inestinguibile voglia di vivere.

Scrive, ad un certo punto, che se riesce a vivere con intensità la vita, allora i posteri non dovranno ricominciare tutto daccapo.

Morirà ad Auschwitz il 30 novembre 1943.

A tutti suggerisco di farsi un dono: quello delle parole di Etty.

 

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5 commenti
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  1. Mi sembra strano essere la prima a scrivere e condividere i miei pensieri su Etty. Credo che tutti dovrebbero conoscerla e amarla, come dici tu. Oggi e’ il giorno della memoria ed io ho apprezzato molto la tua scelta. Ciononostante penso che l’eccidio della popolazione ebraica sia paradossalmente marginale nell’esplosione creativa di Etty. Brutto dire che le deportazioni siano l’ “occasione” per lei di tendere all’alto e al profondo di se’, ma forse e’ cosi’. Diceva Theodor Adorno (ne hanno parlato stamattina su Radio Tre) che dopo Auschwitz la poesia non sarebbe piu’ stata possibile. Beh, il diario di Etty e le sue lettere sono pura poesia DURANTE Auschwitz. Etty ci dimostra come in QUALSIASI situazione ci sia spazio per la gioia e la volonta’ non solo di vivere, ma di vivere BENE. Perche’ non sono le situazioni che fanno la nostra vita ma NOI plasmiamo le situazioni. Etty verra’ uccisa, e questo e’ un dato di fatto ma non e’ la sua morte il punto, e’ quello che lei e’ riuscita a percepire prima, la bellezza e la poesia della sua vita, anche all’interno della piu’ grande tragedia umana. Riflettiamo dunque e gioiamo. Perche’, forse, Dio non e’ solo al di la’ dell’altare, ma nella nostra voglia di alzarci al mattino.

  2. Ormai da 10 anni viene celebrato il giorno della memoria per non far dimenticare a chi è rimasto, a chi arrivato dopo e a chi arriverà una delle tante vergogne dell’umanità, che comunque continuano ad essere perpetrate.
    Conosco Etty Hillesum solo di nome, pur avendo letto molto sull’Olocausto, la cui parola tuttora mi fa sussultare e mi riesce difficile pensare che in quelle situazioni ci possa essere stato spazio per qualsiasi gioia. Evidentemente così non è, almeno da questa testimonianza.
    Intimamente penso che proprio nel disagio, per non morire, forse siamo in grado di trovare ancora la foza per credere che comunque la vita possa valere di essere vissuta.
    Recentemente ho visto un medio metraggio intitolato “Pizza ad Auschwitz” in cui si narra di un sopravvissuto all’Olocausto, che è finalmente riuscito a convincere i propri figli ormai adulti, a fare un viaggio con lui fino a ciò che resta dei campi nazisti in Lituania e Polonia.
    Con loro vuole esaudire il sogno di una vita: passare la notte nella sua vecchia baracca di Auschwitz.
    Attorno ad una fetta di pizza, che il figlio gli porta dalla vicina città di Auschwitz, padre e figli sfogano ognuno le proprie ragioni. Il primo ribadisce dolorosamente e con veemenza l’importanza di dover comunque e sempre ricordare, mentre i secondi, vissuti in compagnia dei ricordi del padre, ormai stanchi, invitano il padre a lasciarsi andare finalmente all’amore di cui è fatto oggetto da loro e dai rispettivi nipoti.

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