LUIGI E DANIELA SARDI: EL FILO’ CON CHITARRA (contiene un INSERTO SPECIALE sul naufragio della Concordia)

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 18 Gennaio, 2012 @ 7:25 pm

Luigi e Daniela all'ascolto

Carlo Fierens

 

 

 

 

 

 

 

 

Detto altrimenti: come due interviste (le nn. 4 e 5) si trasformano in filò

Personaggi ed interpreti:
Chitarrista classico Carlo Fierens: Carlo Fierens
L’ospite Luigi Sardi: Luigi Sardi
La moglie dell’ospite  Daniela Dalri: Daniela Dalri
Intervistatore e fotografo Riccardo: Riccardo

Concerto

Carlo ed io saliamo per una di quelle stradicciole …  da Trento sino a “Oben” Villazzano, Villazzano di sopra, luminosa frazione nobile della città. Ti accoglie un arco, quindi un prato verde e bianco d’erba e di ghiaccio e il rosso dei copi di una casa del ‘600, con adiacente cappella. Praticamente l’incipit dell’Inno al Trentino,  …. il bianco delle cime nevose, il rosso dei fiori, il verde delle coste selvose,  dolce festa di vari color… Dietro l’arco c’è la padrona di casa, Daniela, Presidente dell’Associazione Culturale Francesco Antonio Bonporti, fondata nel 2004. Uno sguardo alle ombre che dal Bondone calano sulla città, un altro all’albero di cachi ed al nocciolo visitato ogni mattina da uno scoiattolo residenziale ed entriamo in casa, dalle mura spesse un metro.

Francesco BonportiI Bonporti, primi suoi proprietari. Francesco, musicista, compositore, violinista, con l’aspirazione di diventare allievo di Arcangelo Corelli, a Roma. Aspirazione, si diceva, in quanto restò sacerdote a Trento. L’Associazione ne sviluppa le composizioni, oltre che ad ampliare la sua attività in anche in altri settori della cultura, innanzi tutto per i 50 soci di Villazzano, che qui si riuniscono due volte l’anno. Indi anche per i non soci. Il Conservatorio Musicale di Trento, il “Bonporti”, appunto.

 

Carlo appoggia la sua chitarra in un angolo e guarda estasiato questi autentici pezzi di storia. Luigi scende dal piano superiore. Questo blog si chiama “trentoblog”, quindi mi astengo dal presentare il mio ospite, se non dicendo, per i non Trentini, che Luigi è giornalista; storico; scrittore; comunicatore (ti mette generosamente a parte della sua memoria storica e della sua grande umanità); uomo stimato; pensionato ma non si vede; amico vero nel senso che ti dice ed esige la verità; pittore, nel senso che “dipinge con le parole”, per cui dopo, per chi come me deve scriverle le sue parole, è un gioco da bambini. Scaldiamo l’ambiente. Un po’ di legna nel caminetto. Un caffè? No grazie. Una buona bottiglia di nero. Carlo non beve, prima di suonare. Esegue la fuga in sol minore di Bach; la suonata n. 1 per chitarra di Carlos Guastavino (1850); il capriccio n. 7 di Luigi Legnani (1850). E’ subito prenotato per un concerto in favore dell’Associazione. Non occorre essere miliardari per godere di simili privilegi. Carlo, le sue dita accarezzano le corde con precisione. Con il respiro, il volto, il dondolio della testa accompagna le note, le sospinge dolcemente dalla chitarra verso di noi. Peccato che debba finire. Solo per questa sera, intendo!

Luigi

 

Il  fuoco …  per alimentarlo vi soffiamo sopra per mezzo di un antico tubo di ferro (sicuramente d’epoca!) una estremità del quale “a forchetta” per smuovere le braci … Ma la ricreazione è finita. Ora “lavoriamo”. Intervistare un giornalista? Sarebbe opera ardua, soprattutto con persone del suo calibro. Ma io ho il mio segreto. Sto zitto. Basta lasciarlo parlare, Luigi, ed inizia il filò, soprattutto in onore di Carlo, Trentino acquisito da poco. Sai, Carlo … s ’era a Marter, un paesino della Valsugana, anni 1946-1948. Nella stalla. In alto, un unico lume ad olio, tenuto fioco per risparmiare, molto pulito, non v’era traccia di mosche sulla sua boccia di vetro. Le ombre lunghe scalavano le pareti della stalla e vi restavano appese come vecchi pastrani scuri appesi a pioli di legno piantati nella fessura fra due pietre. Perloppiù erano storie di sciagure: raccolti andati a male, campi allagati e fieno marcito. Quasi un Malavoglia montano. Ci si consolava scaramanticamente in tal modo. Ad una cert’ora venivano offerte castagne bollite. Qualche bicchiere di vino o un sorso di grappa bianca distillata “in nero”. Quando era stato portato il latte al caseificio, comparivano anche sottili fette di formaggio. Molto sottili. Se poi era stato ucciso il maiale, allora erano pezzi di luganega cotta sugli ultimi calori della “fornesela” e cioè del fuoco che veniva acceso nella stalla per cucinare il pastone del maiale. Sì, si chianmava proprio così, fornesela.La stalla, residenza di tre mucche.

Giovanni Segantini - La stalla

Lì si riunivano nelle serate di autunno e di inverno – ed erano inverni che pioveva e nevicava, che ti credi, mica come oggi … -  qualche donna a sferruzzare, qualche bambino, gli anziani dei vicini masi (poderi, Carlo, qui si chiamano masi). Gente importante. Ne ricordo uno, Toni Bocher che salutava con un “Ben alzato!”, praticamente un “Ben fatto!” saluto di macabra origine, in quanto era l’approvazione che il boia Lang (quello di Cesare Battisti) soleva rivolgere ai suoi assistenti quando avevano alzato bene il morituro per avvicinarlo al cappio. Ma sai, si era perso il collegamento storico, era rimasta solo l’espressione lessicale. Tuttavia ancora oggi in Val di Sella, una valle che si diparte dalla Valsugana, la valle dei Degasperi per intendersi, v’è ancor oggi chi saluta in tal modo. Toni era stato ufficiale dell’esercito Austro-Ungarico, come molti del resto, qui da noi, tu che sei appena arrivato … ma molti fra i più vecchi hanno combattuto dall’altra parte.

Marter. Vi si arrivava per una strada bianca, fiancheggiata da alti pioppi. Un giorno si attendeva il passaggio di Alcide Degasperi. Prima passò un’auto Lancia Ardea. Sulla fiancata recava lo striscione de “Il Gazzettino”. Poi una camionetta dei carabinieri. Infine una grossa Fiat, l’auto di Alcide. Ricordo un episodio assai particolare: la gente, tutta la gente, s’inginocchiò al passaggio dello statista. L’episodio fu citato quando recentemente si parlò della sua possibile beatificazione.

 

Inginocchiarsi … amarcord … mi ricordo, s’era nel 1950 … quando fu portata a Trento la statua della Madonna Pellegrina fino nella chiesa dei frati Cappuccini, in cima alla via Grazioli. Tutta la città era illuminata, tutte le finestre addobbate a festa. Il corteo passò anche in Corso III Novembre, sulla quale s’affaccia Casa Fozzer, abitata al secondo piano da Ernesta Bittanti, la vedova di Cesare Battisti. Sai, ricordo bene tutto ciò che sto raccontando, perché anch’io ero nella processione. Avrei voluto essere anch’io uno degli angioletti con le ali attaccate sulla schiena che scortavano la statua. Niente da fare. Mi avevano affidato il ruolo di “addetto alla sicurezza” degli angioletti, con l’incarico, insieme ad altri colleghi, di tenere  riuniti gli eletti, con l’aiuto di una recinzione mobile,  un grosso cordone rosso. Pazienza. Ecco, ti dicevo, si passava sotto quella casa e proprio li venne dato l’alt alla processione. Un caso? Può darsi.  Un frate giovane e rubicondo intonò il “Noi vogliam Dio” incitando tutti a cantare più forte. Quelle finestre chiuse erano e tali rimasero, anche perché, all’interno, nonna Ernesta incitava tutti al silenzio e a non muoversi.

Cesare Battisti ed Ernesta Bittanti

Ernesta, la vedova del “diavolo” Cesare. Molti anni dopo, Flaminio Piccoli mi riferì che se la finestre si fossero aperte la folla avrebbe probabilmente gridato al miracolo e la DC avrebbe nominato Ernesta senatrice a vita. Così non fu. L’episodio è confermato in un importante inserto di otto pagine del quotidiano Alto Adige (l’ultimo che il giornale fece) di sabato 4 ottobre 1997, con l’incipit in prima pagina, a firma del nipote della Battisti, Marco, oltre ad altre importanti firme che voglio citare: Vincenzo Calò, Gaetano Artè, Walter Micheli, Umberto Gandini di Bolzano, Franco de Battaglia, Giovanni Faustini, Gaetano Salvanini, Fabio Barbieri (ch era il direttore del giornale) e modestamente anche Luigi Sardi.

Daniela interviene … Luigi, facciamo notte … Appunto, dico io, filò … e mi verso un secondo bicchiere di nero. Ora che ha già suonato, bene anche Carlo. E poi Luigi si deve ritirare a scrivere. lavora sempre l’uomo. Gli scatto qualche foto nel suo “studio estivo”, a piano terra, non riscaldato. Indi mi saluta e sale nello studio invernale. Io e Carlo ce ne andiamo.
Grazie Daniela, grazie Luigi, grazie Carlo. Anche da parte dei lettori del blog.

Le foto? Con alcune sono riuscito, con altre no … Luigi, le tue sono troppo “pesanti” e il programma non riesce a scaricarle. Vedrò di farmi aiutare da un esperto. 

INSERTO SPECIALE : IL NAUFRAGIO DELLA CONCORDIA

 Mi pare che nessuno, sino ad ora, abbia collegato la difficoltà dell’evacuazione della nave anche (“anche”, badate, non “solo”)  all’enorme numero di passeggeri ospitati, forse in ogni caso eccessivo rispetto ad un efficiente sistema del suo  abbandono, pur in presenza – come purtroppo non è stato – di un comandante serio, capace, onesto e nel pieno possesso delle sue facoltà mentali ed erotiche.

L’impressione che ne sto ricevendo è pari a  quella che da sempre ho quando immagino a cosa potrebbe accadere se avvenisse un terremoto mentre in una grande chiesa, affollata di persone, si celebra una funzione religiosa. Le uscite delle chiese, in genere, sono di dimensioni assolutamente insufficienti rispetto alle necessità di un rapido deflusso dei fedeli. Ma le grandi chiese sono monumenti secolari ed allora noi ce le teniamo care così come sono e ben volentieri, anche. Noi Italiani che di chiese ne abbiamo un vero patrimonio! Ma le navi da crociera, per favore … un po’ più di attenzione da parte del legislatore e quindi del progettista-costruttore circa il rapporto “numero di passeggeri – sistemi di evacuazione”  in caso di allarme proprio non guasterebbe. Che ne dite?

Il Titanic non ha insegnato nulla? Come non prevedere, infatti, che non è detto che le navi “affondino senza sbandare su di una murata” e che quindi occorre prevedere  sistemi che agevolino la calata a mare (alaggio) delle scialuppe  che si trovano “sopravvento”.?  Dice …  ma … Riccardo, in Italia siamo tutti Commissari Tecnici della Nazionale, al bar intendo … e anche tu … non sei un po’ troppo presuntutoso? Vuoi che non ci abbiano pensato? Eh no, dico io,  non  rinuncio a ragionare con la mia testa solo per evitare il rischio di “essere considerato male dagli altri”.

E poi, historia magistra vitae … (quando mai, purtroppo!) almeno così dovrebbe essere. Il Titanic: avvistato l’iceberg, il comandante commise un errore: diede ordine di virare, esponendo in tal modo l’intera fiancata allo sperone di ghiaccio. Se si fosse limitato a dare l’ “indietro tutta”, avrebbe sacrificato la prua ma i compartimentoi stagni “trasversali” della nave avrebbero evitato il naufragio. Nel caso della Concordia l’impatto è stato laterale, ma domando: esistevano compartimenti stagni? Sono stati isolati? Se i passeggeri dei ponti inferiori fossero stati fatti risalire, subito dopo – quanto meno – si sarebbero potuto chiudere le paratie entincendio che avrebbero impedito all’acqua di invadere i  ponti suoperiori  e la nave avrebbe goduto di un migliore galleggiamento.

Dalla TV si è visto che le pinne stabilizzatrici della nave erano state fatte uscire dallo scafo. Si tratta di pinne che sono attiavate per evitare il rollio in caso di mal tempo. Ma il mare era calmo. Ed allora? Direi che esse non sono state concausa del disastro, ma denotano disattenzione, in quanto rallentano la navigazione, aumentando inutilmente il consumo di combustibile. Sarà un dettaglio, ma tant’è, già che ci siamo …

Andrea Doria: nella nebbia procedeva “incontro” allo Stockolm ( e viceversa). A parte che entrambi le navi avevano il radar, anche solo con un corretto utilizzo dei segnali sonori avrebbero potuto “poggiare” cioè virare ambedue a babordo o ambedue a tribordo (cioè entrambe a destra o entrambe a sinistra), sfilando l’una di fianco all’altra, senza collidere. Invece una delle due sbagliò manovra. Solo una delle due, perchè se tutte e due avessero commesso lo stesso errore , la collisione sarebbe stata evitata. sarebbe bastato mettersi d’accordo.

Dico questo per affermare un concetto: l’errore umano può essere compreso e in una qualche misura accettato se avviene durante una forte tempesta, un incendio, una battaglia navale, in presenza di avarie ai motori o di guasti alla strumentazione. Non può essere nè accettato nè giustificato quando nessuna di queste condizioni si verifica, soprattutto se nel frattempo stiamo abbracciando belle ragazze (una bionda ed una mora, una a destra ed una a sinistra, a chi tocca per prima?) e stiamo bevendo drink alcolici nei saloni della prima classe.

A proposito di alcool. Nel post qui sopra avrete notato che Carlo, dovendo eseguire un brano alla chitarra di fronte ad un pubblico di ben tre amici, non ha voluto  sorseggiare nemmeno due dita di vino nero, prima dell’esecuzione. Che differenza!