INCONTRI: PROF. MICHELE ANDREAUS – 2

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 20 Aprile, 2020 @ 11:12 am

Detto altrimenti: post (dopo) la Tempesta Covid19       (post 3861)

L’isolamento fisico non ci impedisce di far muovere la nostra mente, la nostra attenzione, il nostro desiderio di cercare di capire ciò che potrà accadere dopo l’attuale tempesta. Quale Presidente dell’ Associazione Restart Trentino (voluta quattro anni fa dalla Dr.ssa Donatella Conzatti, oggi Sen. Conzatti) ho pensato di utilizzare lo strumento di Trentoblog per promuovere un

EVENTO RESTART CON DISTANZIAMENTO SOCIALE

… ovvero un’intervista via e-mail al Prof. Michele Andreaus, Professore di Economia Aziendale presso l’Università di Trento, in merito ai possibili  contraccolpi che l’attuale pandemia avrà sul pensiero, sui  comportamenti sociali ed economici del domani. A tal fine la presente iniziativa in una qualche misura può essere considerata lo sviluppo ideale della precedente intervista che il professore volle gentilmente concedermi tempo fa (http://www.trentoblog.it/riccardolucatti/?p=46223).

1 – Professore, stagnazione, inflazione, deflazione, stagflazione, recessione … Oggi di cosa soffriamo? E domani?

Oggi soffriamo una crisi non nuova in assoluto, ma nuova nel senso che la nostra generazione non l’aveva mai vista. Si tratta di una crisi che colpisce il mondo intero, bloccando la gente in casa e bloccando i consumi. Senza entrare nel merito della crisi sanitaria, dal punto di vista economico la crisi parte sul lato dell’offerta, bloccando le catene di fornitura a livello mondiale e bloccando la produzione. L’emergenza sanitaria in molti paesi costringe la gente a restare in casa e quindi ora vi è un crollo dei consumi. Quando si uscirà dall’emergenza sanitaria, probabilmente la crisi sarà ancora sui consumi: meno viaggi, più timori, meno disponibilità e quindi un mondo che consuma meno e quindi un esubero di capacità produttiva e crisi aziendali. Più che crisi o recessione, io parlerei proprio di depressione, potrebbe essere la peggiore depressione della storia moderna, aggravata dal fatto che viviamo in un mondo globalizzato ed è quindi difficile da isolare e circoscrivere. Un incendio che sta bruciando il mondo intero.

2 – Una prima differenza che mi pare si possa cogliere rispetto alle crisi del passato è che per quelle si sono innanzi tutto studiate e individuate le cause scatenanti. Per quella odierna la causa è nota: occorre concentrarsi sulle conseguenze.

UniTN- Economia

La causa principale è l’impreparazione del mondo. Abbiamo speso migliaia di miliardi in armamenti e non abbiamo investito pochi miliardi per metterci prima in sicurezza. Le avvisaglie ci sono state, dalla Sars del 2001, all’aviaria, tutte risolte per il rotto della cuffia. Tutti i rapporti dell’OMS, l’ultimo di settembre 2009, sono rimasti inascoltati. La politica lavora sul consenso di brevissimo termine e stanziare risorse per un qualcosa che forse non avrà un ritorno elettoralmente, non si fa, dato che il politico non sa se quando scoppierà il problema lui ci sarà ancora. Poi … chiaro: il virus … un’economia globalizzata … un mondo che procede in ordine sparso … ormai siamo alle ordinanze rionali. Tutto il contrario di quello che avrebbe dovuto essere fatto. Le conseguenze potranno essere drammatiche se prevarrà la visione piccola e “di ombelico”, con default di banche e paesi interi e una desertificazione dell’economia che potrebbe durare molto a lungo. Se invece prevarrà una visione alta, che arrivi anche a prendere in considerazione una parziale ristrutturazione dei debiti futuri, si potrebbero anche contenere i danni. E’ evidente che bisognerà trovare un equilibrio tra l’azzeramento dei rischi sanitari e l’azzeramento dell’economia. A volte non si considera che la depressione economica ha effetti mortali che potrebbero essere più consistenti di quelli del virus.

3 – Il problema odierno può essere affrontato da diversi punti di vista: gli interventi da attuare con urgenza; come finanziarli con disponibilità e/o in deficit; gli interventi dell’UE all’interno dell’attuale sistema UE; come ricostruire il sistema. Molto meno si parla di come dovrebbe/potrebbe essere organizzata una nuova UE.

L’Italia è entrata nella crisi in braghe di tela: non ha disponibilità, crescita economica, margini di manovra.  In compenso ha un debito elevatissimo e la decrescita demografica. Il problema non sono i debiti futuri, ma la sostenibilità del debito passato, stante il crollo del PIL. L’Europa si è mossa molto, ed è stato necessario un periodo, breve, di presa di coscienza da parte della politica. Ora abbiamo a disposizione vari strumenti e altri ne verranno. Io sono dell’idea che tutto ciò che può essere attinto dall’Europa, vada preso. E di fatto stiamo anche già parlando di debito europeo, perché sarà questo che di fatto finanzierà il SURE per gli ammortizzatori sociali, o il recovery fund, per la ripartenza. Ma la condivisione di un debito europeo dovrà essere basata sulla condivisione di una fiducia reciproca, altrimenti siamo morti.

4 – Potrei porre la domanda in altro modo: prima del problema della copertura finanziaria, viene l’individuazione del fabbisogno; prima ancora la definizione della strategia; prima ancora il tipo di strumento (il soggetto) che dovrò operare. Non Le pare che si stia procedendo a ritroso?

Sì, perché manca la visione di insieme. Abbiamo una politica, soprattutto in Italia, che è caratterizzata da un’assenza di visione strategica e in parte da pulsioni antisistema. Riprendendo il discorso fatto nella domanda precedente, il debito europeo ci obbligherà di fatto a rivedere il concetto stesso di Europa, superando la finzione che sia l’Euro il collante. No, l’Euro è strumento, il collante siamo noi. E considero l’Euro una finzione perché fu un compromesso, il massimo del minimo per l’Europa del futuro. I padri dell’Euro (per l’Italia Ciampi e Prodi), ritennero che l’Euro fosse l’unico punto di partenza possibile, per arrivare poi a condividere altre funzioni: la politica economica e fiscale, del lavoro, previdenziale. Pensate quanto avremmo gestito meglio questa situazione con una politica sanitaria europea. Ma come pensiamo poter di gestire una pandemia mondiale con le ordinanze regionali o addirittura comunali, siamo semplicemente ridicoli, in un delirio di onnipotenza del sindaco di turno.

5 – Il soggetto: non sarebbe utile che un soggetto internazionale, ad esempio uno Stato, provasse a fare una analisi articolata dell’ ist (l’essere) ed una del soll (il dover essere) della nostra UE? E ciò per superare la fase delle semplici affermazioni di principio. Infatti non vorrei che non si progettasse una nuova UE nel timore che poi non sarebbe realizzata; e che non la realizzi perché appena abbozzata).

Le strisce! Mettiamole le strisce! (N.d.r.)

In parte ho già risposto prima. Se chiediamo, o pretendiamo, di condividere un debito senza pensare di condividere la fiducia, non andiamo da nessuna parte. Forse è la grande occasione, o forse l’ultima occasione che abbiamo per contare ancora qualcosa. Io sono ormai tra i pochi che si considera europeo prima che Italiano, perché è la nostra dimensione, fatta di culture e tradizioni diverse, ma è la nostra dimensione. Al di là del dibattito ignorante che talvolta leggiamo, Italia e Germania hanno molto più in comune di quel che pensiamo; stesso discorso per la Francia. Però dobbiamo fidarci, smetterla di vedere complotti e giocare la nostra partita. Poi è chiaro, se i nostri rappresentanti non vanno alle riunioni, se talvolta mandiamo a giocare in Europa la nostra serie C e perdiamo, non sono gli altri ad essere cattivi, ma siamo noi che ci diamo la zappa sui piedi (si potrebbe usare un’altra espressione, ma teniamo buona questa per decenza).

6 – Dopo il fallimento dei due sistemi economici opposti, comunismo e capitalismo globalizzato, ci sarà spazio per una riconversione verso un terzo sistema non estremizzato e più equilibrato?

Io credo nel capitalismo, ma in questi anni non abbiamo vissuto il capitalismo, ma il “finanziarismo”. La finanza di breve termine anteposta alla produzione di beni e servizi ed alla dignità dell’uomo. Ecco, un capitalismo attento all’umanesimo, se vogliamo che si rifà anche alla dottrina sociale della Chiesa, che mette al centro l’Uomo e non la performance finanziaria. Forse potremmo provarci, altrimenti avremo un mondo ancora più diviso, con una clessidra sempre più sottile al centro, con molte fasce della popolazione ai limiti della sussistenza e pochi super ricchi, e al centro la scomparsa della famosa middle-class, che probabilmente scivolerà verso il basso, non salirà certo in alto.

7 – Sul piano concreto: quali saranno gli effetti della pandemia sulla struttura sociale, sulla organizzazione e produzione aziendale, sul consumo?

E’ presto per dirlo, ci sono troppe variabili in gioco. Per un paio d’anni vivremo in un mondo che consuma meno e nel quale sarà molto più costoso vivere, perché sarà più costoso produrre. Se per il distanziamento un ristorante deve dimezzare i coperti, i suoi costi fissi rimangono gli stessi, anzi, probabilmente aumentano. Stesso discorso per i viaggi di lavoro e per quei pochi di turismo. Quindi si consumerà meno e la depressione morderà e parecchio.

8 – Dopo la seconda guerra mondiale furono creati IRI e IMI. Oggi forse occorrerebbe un IRI-Istituto per la Riconversione Industriale, magari anche -UE?

Certamente bisognerà fare delle scelte strategiche ed alcuni settori potrebbero essere nazionalizzati. Si tratta di fare delle scelte. Io non ho mai creduto nello stato imprenditore, ma talvolta e per periodi limitati è necessario. Bisogna stare attenti però a non considerare l’aiuto alle imprese come strumento di politica sociale. Tenere in vita un’impresa (penso ad esempio ad Alitalia) solo per tutelare i lavoratori, non risolve il problema, lo sposta un po’ in avanti, generalmente ingrandendolo.

9 – Occorre una riconversione che parta dalle persone e non dalle aziende. Infatti se un’azienda si riconverte tout court (Unicredito), licenzia 5.000 persone che non potranno riconvertirsi.

Il discorso che ho fatto poco sopra: un capitalismo che mette al centro l’uomo, con il profitto come mezzo e non come fine. Facile a dirsi, ma molto difficile nei fatti. Unicredit, tanto per fare l’esempio, non licenzia perché i vertici sono cattivi, ma perché se non fanno così, il mercato licenzia la banca. Loro non rispondono ad un azionista con nome e cognome, ma al mercato finanziario. Se i nostri piccoli investimenti rendono meno perché è stato messo al centro l’uomo, siamo contenti o ci lamentiamo? Prima o poi dovremo anche arrivare ad elaborare le nostre ipocrisie, piccole e grandi che siano.

10 – La prima riconversione riguarda la scuola che deve dare agli alunni non solo la capacità di eseguire i lavori attuali, ma anche la conoscenza che permetterà loro di imparare i lavori futuri.

La scuola italiana non è male, ma ha perso quella funzione anche di ascensore sociale che aveva in passato. Dobbiamo credere nella bontà del nostro sistema formativo, che prepara bene, pur lavorando in un contesto molto complicato. Se solo incominciassimo a credere veramente nella formazione come investimento e non come costo da tagliare … Ma è soprattutto qui che si vede che l’Italia è un paese morto, dove non si penalizza chi lavora male e non si premia chi lavora bene.

11 – L’etica aziendale del risultato ha condotto al cinismo delle multinazionali; per converso l’etica dei soli principi condurrebbe al fondamentalismo (Norberto Bobbio, Elogio della mitezza e altri scritti morali). Può esistere un’etica aziendale frutto di un compromesso, come ci ricorda Paolo Mieli nel suo bel volume “I conti con la Storia”?

La vita è fatta di compromessi, il compromesso è il cemento che tiene assieme i pezzi della nostra vita. Guai se non ci fosse. Poi a volte lo si cerca a tutti i costi, viene visto come il mezzo per raggiungere il fine. Se invece che la parola compromesso usassimo l’espressione “punto di equilibrio”, la sensazione sarebbe migliore. Però è necessario trovare un compromesso alto tra etica e valori: in passato siamo riusciti, in molte aziende ci sono imprenditori illuminati che ci riescono. Quindi è possibile.

12 – Mi risulta che per le loro posizioni apicali molte aziende ricerchino laureati in filosofia e sociologia. Mi rifaccio al libro di Pier Luigi Celli “Il potere, la carriera e la vita – Un mestiere vissuto controvento”: Celli, un manager alla Adriano Olivetti, il quale fra l’altro fu il primo ad assumere per la posizione di DG un laureato in filosofia.

Laureati in filosofia e matematici. Per la capacità di ragionamento e per la flessibilità nell’affrontare problemi nuovi. Le tecnicalità si possono sempre imparare ed evolvono nel tempo. La capacità di analisi o la impari a scuola e all’università, o dopo è dura …

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Adriano Olivetti

13 – Ultima domanda. Democrazia e democrazia aziendale: interconnesse? Reali o fittizie? La maschera democratica dell’oligarchia (Canfora-Zagrebelksky) trova un riscontro anche nella democrazia aziendale, la quale consiste nella vittoria del funzionigramma sull’ organigramma e nella vittoria dell’intelligenza collettiva su quella individuale?

La democrazia aziendale è molto difficile da attuare. In azienda tendenzialmente ci deve essere la democrazia della responsabilità. Il processo decisionale può essere partecipato, ma alla fine la responsabilità della decisione deve cadere su poche persone. Forme di governance democratiche sulla carta, scontano spesso un bias di democrazia e di trasparenza proprio per la deresponsabilizzazione dei vertici, soprattutto nel caso di imprese di grandi dimensioni. Qui infatti il meccanismo per occupare i posti di responsabilità è spesso slegato dal merito e molto più vicino alle dinamiche dell’elezione politica, che non fa certo del merito uno dei valori prevalenti. E questa è a mio avviso la negazione della democrazia aziendale. In definitiva secondo me la democrazia aziendale deve essere basata sui valori e sulla responsabilizzazione.

Grazie professore per la Sua disponibilità e i Suoi contributi, anche da parte degli associati Restart e dei lettori dei miei post! Comunque a sentirci europei prima che italiani siamo almeno in due!

Scrive Ernesto R.: “Complimenti!  Purtroppo, con molta più competenza di me, esprime in modo articolato quanto ho compreso e penso della “depressione “ grave che seguirà ed accompagnerà la emergenza sanitaria. La Politica mi pare decisamente “balbettante “ ed incredibilmente incapace di un minimo denominatore comune. Che tempi duri ci aspettano! Buona serata con cari saluti”. Rispondo: grazie dell’intervento, Ernesto R.: la Politica siamo anche noi piccole gocce, e questo nostro agire e questa tua attenzione rappersentano piccole gocce che vanno in un ruscello che va in un fiume che va in un mare che va in un oceano!