POST 1085 – ITALIA, PROBLEMA POLITICO O ANTROPOLOGICO?

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 11 Novembre, 2013 @ 4:23 pm

Detto altrimenti: riusciamo ancora ad essere una Res Publica?

Dice … senza i partiti non si arriva a nulla. Concordo. Ma quali partiti? Per arrivare ad avere una “visione d’insieme” e quindi a “soluzioni d’insieme”, occorre una visone europea, al cui interno ciascun partito si riconosca come “partito europeo”. Si riconosca, ma soprattutto si strutturi ed agisca come tale. Il solo riconoscimento non basta.

 

Il Filosofo antropologo Claude Levy Strauss (1908 – 2009), fra l’altro Professore di antropologia sociale

Ma veniamo all’antropologia. Cioè “parliamo dell’uomo. degli uomini”. Spesso noi ci domandiamo come mai il popolo italiano (cioè tutti noi) non “reagisce” (democraticamente, s’intende!) alla mancanza di una visione d’insieme da parte della politica; alla mancanza di un riordino delle priorità; alla presenza di tanti scandali; al mancato superamento della (anche attuale!) visione e concezione “ragionieristica” della politica (soprattutto economica)?

Provo a rispondermi. Forse, l’Italiano fa fatica a pensarsi in una prospettiva pubblica. Cioè, non si sente parte della Res Publica, ma al contrario la interpreta come ciò che “sta intorno a se stesso”. In altre parole: lo Stato è ciò che circonda il mio privato, e quindi uno scandalo (ad esempio, il furto del denaro pubblico) non è un danno arrecato a me, bensì ad un soggetto diverso da me, allo Stato, appunto. Lo scandalo attacca ciò che non mi riguarda.

Questo atteggiamento mentale spiega come sia stato possibile, nella storia più recente, che l’Italiano si sia affidato al guru di turno (Mussolini, Berlusconi, Bossi, Grillo, tanto per non fare nomi). In questo modo, infatti, si è bypassato il problema della immedesimazione del privato nel pubblico, per cui io “lavoro, non faccio politica” e rimetto tutto nelle mani dl guru. In tal modo io non sono più tenuto a farmi carico di alcunchè. “Ghe pensi mi”, anzi lu, cioè lui.

Questo è inoltre il motivo per cui nei dibattiti interni ai partiti si fa molta fatica a guardare i programmi, i quali sono le cornici che definiscono la misura del riconoscimento della persona nella Res Publica, e ci si concentra invece sui nomi e sulle “pose” dei candidati, riducendo l’opzione politica ad una intesa fra privati: il votante ed il votato, l’elettore e l’eletto, il cittadino delegante e l’amministratore locale delegato.

Contro questo stato di (mentale) di cose si erano mossi alcuni Politici (la maiuscola non è utilizzata a caso): Moro con la sua DC; Pertini con il suo PSI; Berlinguer con il suo PC. Tutti costoro si posero il problema di riagganciare la politica al circuito della corresponsabilità fra Stato e Cittadini. Ma commisero un errore, quello di credere che il processo potesse essere condotto dall’alto e fallirono, in quanto non si accorsero che nel frattempo, dalla base, l’antropologia della pancia stava riprendendo il sopravvento. Infatti in vario modo affermarono che “La lega non durerà” (Craxi); “Il Berlusconi ’94 non durerà” (Occhetto); “Noi del PD abbiamo stravinto, Berlusconi è finito” (PD, inizio 2013).