COGITO ERGO SUM!

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 21 Febbraio, 2017 @ 8:53 am

Detto altrimenti: oppure … “vivo, ergo cogito?” O ancora: “vivo ergo cogito!”       (post 2649)

images

Cartesio (1596-1650)

.

La locuzione cogito ergo sum! significa letteralmente «penso dunque sono!» ed è la formula con cui Cartesio esprime la certezza indubitabile che l’uomo ha di se stesso in quanto soggetto pensante. Questa consapevolezza è già un traguardo ragguardevole: dal momento che io sono un essere pensante, mi rendo conto di esistere. Tuttavia … riteniamo di essere capaci di raggiungere un secondo più difficile traguardo, quello rappresentato dalla risposta alla domanda “vivo, ergo cogito?” (io esisto, vivo, quindi penso”?)

.

.

download

F. Nietzsche (1844-1900) riteneva difficile riuscire ad apporre quel punto esclamativo …

.

Per spiegarmi mi sono preso l’arbitrio di terminare le due locuzioni con un punto esclamativo, la prima; con un punto interrogativo, la seconda. Infatti nel primo caso, io constato in me l’esistenza del pensiero e ne dedico automaticamente la mia stessa esistenza, in senso affermativo. Nel secondo caso, dopo avere constato di esistere  mi pongo una domanda: sono vivo, d’accordo, ma sono anche capace di pensare, di riflettere? Infatti non credo che valga la pena di vivere “a prescindere”, ovvero senza nutrire utopie, ovvero senza “porsi il raggiungimento di traguardi non ancora raggiunti”. E – notate – il mio non è certo un “invito al suicidio”, bensì un incitamento a cercare di attribuire alla propria vita un significato. Quindi se da un qualunque pensiero io facessi semplicemente derivare una vita qualunque, non sarei per nulla soddisfatto di me stesso.

.

A questo punto è ancor più chiaro che io preferisco la seconda locuzione. Io vivo (e questo è un dato di fatto) quindi “devo” pensare, riflettere, devo dare un senso a ciò che faccio, alle mie utopie, e pertanto trasformo il “vivo ergo cogito?” in “vivo ergo cogito!”

L’importanza della punteggiatura. Un maestro di scuola la negava. Il suo dirigente lo chiamò e gli sottopose una  stessa frase diversamente punteggiata: a) “Il maestro dice: il dirigente è un asino”. b) “Il maestro – dice il dirigente – è un asino!