LA POLITICA FATTORIALE

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 5 Novembre, 2019 @ 3:29 pm

Detto altrimenti: ci vuole una buona capacità di calcolo …         (post 3689)

Non basta questo …

Le penne nei cassetti. In quanti modi diversi si possono distribuire 12 penne uguali in 5 cassetti? Se si indicano i 5 cassetti con le lettere a, b, c, d, e i modi in cui si possono distribuire le penne può essere rappresentato da una sequenza di lettere prese una per ogni penna inserita nel corrispondente cassetto, ad esempio la aa, bbb, ccc, dddd, orbene questa sequenza  indica che sono state messe 2 penne in a, 3 in b, 3 in c, 4 in d e zero  in e. Ma quante sono le possibili altre combinazioni? Molte, lasciamo ai matematici del calcolo fattoriale il compito di calcolarne il numero già di per se’ elevato e che aumenta notevolmente ove le penne siano diverse fra di loro!

Il caffè al bar. Tazza grande o piccola; in vetro; nero; macchiato caldo o freddo; corto o lungo; con caffeina o decaffeinato; americano etc. … quanti sono i clienti che possono ordinare ognuno un caffè “diverso” da tutti gli altri? Per fare bene il barman occorrerebbe una laurea in matematica!

… e nemmeno questo, perchè non sa ponderare il valore sociale e morale di ogni scelta

La Politica. Volendo fare un po’ di polemica, potrei dire che le palline sono politici da “sistemare” con un buon posto e i cassetti sono le società o gli Enti disponibili. Una volta, in modo molto più empirico, aveva provato a risolvere questo problema tale sig. Cencelli (si consulti “Manuale Cencelli”). Ma invece no. Il mio intento è serio. Le palline sono i diversi singoli possibili obiettivi di ogni partito, le idee di base sulle quali esso si regge. I cassetti sono i partiti esistenti, in numero molto inferiore a quello degli obiettivi-idee. Orbene, è molto difficile che l’elettore trovi un partito nel quale siano riposte – come tante penne diverse nello stesso cassetto – tutte le idee che egli stesso condivide. Ed allora quell’elettore ha tre possibilità: 1) non andare a votare (soluzione peggiore) oppure 2) egli dovrà scendere ad un compromesso con se stesso e votare per il cassetto … ops, scusate, per il partito che contenga il maggior numero di idee da lui stesso condivise oppure  3) quello che pur contenendo un numero inferiore di idee condivise, tuttavia contenga le idee che hanno per lui il maggior peso specifico.

Un esempio: ammettiamo che per un elettore l’idea che ha il massimo peso specifico sia quella della democrazia vera. Su quest’altare costui può ben votare per una coalizione che tenda a difendere questo valore anche se – ad esempio – una componente di quella coalizione vorrebbe l’acqua pubblica e gratuita o l’abolizione degli inceneritori per lo smaltimento dei rifiuti indifferenziati (cfr. Post n. 3687 “Cambiamenti climatici”).

La critica. Dice … ma quel tale scende a compromessi! Certo, rispondo, la Storia e la Politica sono state fatte sempre da compromessi (v. “I conti con la Storia” di Paolo Mieli nel post n.  3680 “Democrazia e politica”): guai a chi propugna idee assolute, a chi reclama l’unanimità, i pieni poteri, a chi è tutto d’un pezzo, a chi “me ne frego e tiro dritto”, a chi prima noi. 

Prima noi? E gli altri? Guai se tutti, anzi, se ognuno dicesse “prima noi!”. E’ un po’ come quando siamo in coda, fermi in un ingorgo del traffico e ce la pigliamo con tutti quegli “altri” che intasano le strade. State pur certi che lo stesso ragionamento lo sta facendo l’ognuno al volante di ciascuna di quelle altre vetture! Ed allora, cosa risolvete con il vostro atteggiamento?  Date forse un contributo alla soluzione del vostro problema? No di certo!

I problemi, anche quelli “politici” si risolvono discutendo, confrontandosi democraticamente e seriamente numeri alla mano  e scendendo a compromessi (v. sopra, Mieli, op. citata) e non insultando la controparte, ponendo aut aut agli alleati, o peggio utilizzando armi di distruzione di massa (rectius: della massa cerebrale di ogni elettore e quindi della democrazia vera) quali la retorica, la demagogia, il populismo, il sovranismo, la cosiddetta democrazia diretta (“diretta” è il participio passato del verbo dirigere della seconda coniugazione ed ha sempre significato passivo: orchestra diretta da …; riunione diretta da …; società diretta da ….; democrazia diretta da … etc.).

O no?

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