IL MIO 250° POST: OMAGGIO A FABRIZIO DE ANDRE’

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 1 Settembre, 2012 @ 7:14 am

Detto altrimenti: voglio festeggiare in modo adeguato …

Questa mattina … mi sono alzato … “Bella ciao” … ho detto a  mia moglie  “sai che il mio post odierno è il 250° ? Voglio celebrare la ricorrenza scrivendo qualcosa di diverso …” Qualcosa che abbia un significato per un Genovese come me, trapiantato – sia pur felicemente – in Trentino. Genovese che ogni tanto la nostalgia della sua Liguria la sente. Ed allora ecco l’idea: ricordare De Andrè riportando il testo di una sua splendida ed enigmatica canzone, Creuxa de ma’, testo difficilmente comprensibile anche per gli stessi Liguri, visto che il dialetto usato è quello di tanti anni fa, arcaico, non alla piortata di tutti, diciamo. Figuriamoci poi per i miei amici Trentini … ed allora vi ho aggiunto la traduzione, che ho voluto letterale per aiutare a far comprendere, riga per riga, vocabolo per vocabolo, il significato di ogni parola. Si tratta di una “poesia”, cioè di una “creazione” visto che “poesia” deriva dal greco “poieo”, creo, faccio, realizzo. Frasi monche, pennellate in libertà che ognuno può leggere in modo personale. Immagini che evocano immagini, ricordi, sogni, gusti, sapori, profumi, desideri, nostalgie. Nostalgia, il dolore del ritorno … mancato.  L’unico termine che non ho tradotto è “creuxa”, croesa … è difficile scriverne la pronuncia. La creuxa è una stradicciola serrata fra alte mura di sassi, sassi più che pietre. Mura sormontate da offendicoli di vetro a difesa delle “ville”, cioè dei terreni coltivati in poderi spesso urbani. Mura  elevate a secco che accompagnano lo sguardo verso il mare, visto che più frequentemente le creuxe seguono percorsi perpendicolari alla costa. Infatti gli stessi diversi appezzamenti di terreno, sino a ieri agricoli ed oggi spesso trasformati in eleganti quartieri urbani a causa dell’espandersi della città, sono orientati perpendicolarmente al mare, in quanto non sarebbe stato concepibile l’esistenza di un singolo appezzamento parallelo al mare che ne interdicesse l’accesso agli altri, un po’ come invece fa il Cile nei confronti dell’Argentiva verso l’Oceano Pacifico e come fa la  Croazia  nei confronti della Bosnia verso il Mare Adriatico. (Si, lo so, il 20 gennaio scorso avevo già pubblicato questo testo, ma tant’è …)

Creuxa de ma’

Umbre de muri muri de mainè
dunde ne vegni duve l’è ch’anè.
De ‘n scitu duve a lun-a a se mustra nua
e a neutte a n’a puntou u cutellu a
ghua.
E a munta l’ase u gh’è restou Diu
u diau l’è in ce e se ghe faetu u niu.
Ne sciurtimu da u ma’ pe sciugà e ossa da u Dria
a funtan-a di cumbi nta ca’ de
pria.

E in ta ca’ de pria chi ghe saia’
in ta ca’ du Dria che u nu l’è
mainà.
Gente de Luganu facce da mandilla’
quei che de luassu preferiscian l’a.
Figge de famiglia udù de bun
che ti peu ammiale sensa
u gundun.

E a ste panse veue cose ghe daia’
Cose da beive cose da mangià.
Frittua de pigneu, giancu de Portufin
cervelle de bae ntu u meiximu vin.
Lasagne da fiddià ai quattro tucchi
paciughi in agrouduse de levre
de cuppi.

E’ n sca barca du vin ghe navughiemu
‘n sci scheuggi
emigranti du rie cu’ i cioi
‘nti euggi.
Finchè u matin crescià da pueilu recheugge
praticament fre du ganeuffeni e de figgie.
Baccan da corda marsa d’aegua e de
sa
che a ne liga a ne porta nte ‘na creuxa de ma.

Creuxa di mare

Ombre di facce, facce di marinai
da dove venite dov’è che andate.
Da un posto dove la luna si mostra
nuda
e la notte ci ha puntato il coltello alla
gola.
E a montare l’asino ci è rimasto Dio
il diavolo è in cielo e ci si è fatto il nido.
Usciamo dal mare per asciugare
le ossa dall’Andrea
alla fontana dei colombi e nella casa di pietra.

E nella casa di pietra chi ci sara’
nella casa dell’Andrea che non è
marinaio.
Gente di Lugano facce da tagliaborse
quelli che della spigola preferiscono l’ala.
Ragazze di famiglia odore di buono
che le puoi guardare senza
il preservativo.

E a queste pance vuote cosa gli dara’
cose da bere cose da mangiare.
Frittura di pesciolini, bianco di Portofino
cervella di agnello nello stesso vino.
Lasagne da tagliare ai quattro sughi
pasticci in agrodolce di lepre
delle tegole (gatto, n.d.r.).

E nella barca del vino ci navigheremo sugli scogli
emigranti della risata con i chiodi
negli occhi.
Finchè il mattino crescerà da poterlo raccogliere
praticamente fratello dei garofani e delle ragazze.
Padrone della corda marcia d’acqua e di sale
che ci lega e ci porta in una creuxa di mare.