FINANZA PUBBLICA E … CRIPTO FINANZA

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 30 Aprile, 2021 @ 11:31 am

Nella fase di emergenza che stiamo vivendo è naturale e doveroso erogare finanza per ristori e investimenti. Ciò ovviamente comporta un continuo aumento del nostro debito pubblico, con una progressione maggiore di quanto non potrà essere l’aumento delle disponibilità finanziarie derivanti dagli attuali interventi con denari (debiti) “nostri” diretti e a mezzo UE. Fino a quando potrà reggere questa situazione?

A questo punto a mio avviso occorre mettere mano a tutti gli strumenti che possono concorrere a rallentare, fermare e invertire la crescita del nostro indebitamento, ad esempio convogliando volontariamente (questa è la caratteristica fondamentale!) la ricca finanza privata italiana (che oggi vale circa 4421 miliardi, di cui 1746 depositati nei conti correnti bancari) ed estera (!) verso il nostro settore pubblico, con l’emissione di Titoli Pubblici Irredimibili di Rendita non-di-debito. Si tratta di titoli a rendimento superiore ai titoli di debito, rispetto ai quali lo Stato non ha l’obbligo di rimborso anche se si mantiene un’opzione per il loro riscatto e che il privato quando voglia disinvestire può vendere sul mercato. Ove questi titoli fossero offerti in sostituzione volontaria delle tranche di titoli di debito in scadenza …

PRIMO BENEFICIO

diminuirebbero di uguale ammontare il nostro debito pubblico. Se poi a fossero emesse anche tranche non sostitutive di tranche di redimibili,

SECONDO BENEFICIO

si genererebbe una ulteriore liquidità per il Tesoro, senza alcun aumento del debito pubblico. Il 25 agosto 2020 Banca Intesa S. Paolo ha emesso 1,5 mld di propri Irredimibili, ricevendo offerte di acquisto per ben 6.5 miliardi!

TERZO BENEFICIO

A sua volta lo Stato potrebbe erogare alle imprese meritevoli anche contributi a fondo perso, ovvero senza interessi e senza la necessità di un rimborso.

QUARTO BENEFICIO

Infine, le emissioni di Titoli Irredimibili poi farebbero fronte ad un altro “pericolo” finanziario: la corsa dei risparmiatori verso l’acquisto di cripto-valute, in misura tale da far parlare ormai di cripto-finanza. Questo fenomeno – ove non controbilanciato per tempo – rischia di produrre gravi conseguenze, quali:

1 – il drenaggio dei conti bancari per l’acquisto di cripto valute e quindi il venir meno del ruolo delle banche ( = raccogliere il risparmio e finanziare famiglie e imprese);
2 – la sottrazione di finanza dalla sottoscrizione di titoli pubblici di debito;
3 – la creazione di nuove disuguaglianze: alcuni nuovi ricchi a fronte di molti nuovi poveri (le operazioni su criptovalute sono ad altissimo rischio);
4 – l’enorme concentrazione di denaro (vero) in mani sconosciute per fini sconosciuti;
5 – la creazione di nuovi centri di potere finanziario in grado di annullare il potere politico.

LE TRE OBIEZIONI AGLI IRREDIMIBILI

1) Sarebbero classificate come debito. Io replico che la sostanza di una emissione determina la sua classificazione e il suo trattamento contabile, non viceversa: quindi, se la classificazione fosse errata, semplicemente la si modifica.
2) Il loro costo per lo Stato sarebbe superiore, in termini di maggiori interessi corrisposti, rispetto al costo dei titoli di debito.
Al che ribatto che i maggiori flussi finanziari in uscita sarebbero assai più che compensati dai minori flussi per i rimborsi in linea capitale non effettuati. Ancora, osservo che si sta parlando di problemi e soluzioni finanziari, non economici.
3) Nel tempo il rendimento potrebbe non essere più conveniente per l’investitore: al che rispondo che il rendimento può essere in parte a tasso fisso e in parte a tasso variabile parametrato, ad esempio al PIL.

OLTRE ALLA EMISSIONE DI TITOLI IRREDIMIBILI …

… un altro strumento da attivare per ridurre il debito pubblicio è la vendita del patrimonio immobiliare degli enti pubblici che oggi non sono a reddito. Dal documento conclusivo di un’indagine conoscitiva della Commissione Finanze della Camera dedicata agli immobili pubblici emergerebbe che la situazione delle unità immobiliari del solo Stato (escluse cioè quelle degli altri enti pubblici territoriali ed Enti del parastato!) è la seguente: 543.000 unità pari a 222 milioni di metri quadrati. Il Dipartimento del Tesoro dell’Economia e delle Finanze, sulla base dei valori medi rilevati dall’Osservatorio del Mercato Immobiliare dell’Agenzia del Territorio (valori OMI, prezzi medi per provincia) ha stimato un loro valore fra i 239 e i 319 miliardi di euro.

Si potrebbe costituire un fondo immobiliare per la vendita a scaglioni annuali di 15-20 miliardi l’anno (per non deprimere il mercato con vendite unitarie troppo elevate!) e mirare a ridurre il debito pubblico del 10-15%. Banche, privati e investitori istituzionali italiani e stranieri (!) potrebbero acquistare quote del fondo, di fatto acquistando gli immobili. Il fondo venderebbe gradualmente gli immobili pagando in tal modo i detentori delle quote per capitale e interessi. Inoltre il fondo potrebbe emettere proprie obbligazioni garantite dagli immobili, il cui ricavato andrebbe a favore del Tesoro. Il costo delle cedole sarebbe inferiore a quello ordinario, potendo i titoli beneficiare di un rating elevato, grazie alla loro solidità immobiliare.

L’ALTERNATIVA DA UTILIZZARE SOLO COME ULTIMISSIMA RATIO E’ UNA IMPOSTA PATRIMONIALE, LA QUALE PERO’ INDIRIZZA VERSO IL SETTORE PUBBLICO LA SOLA FINANZA PRIVATA ITALIANA E PER DI PIU’ LO FA IN MODO FORZOSO.

Con questo mio intervento intendo sollecitare un approfondimento di questi temi.

Riccardo Lucatti, Trento – Presidente dell’Associazione Restart Trentino, già capo della Finanza Italia della STET – Società Finanziaria Telefonica per Azioni, Torino/Roma.