NESSUN ALTRO CONTRATTO CON GLI ITALIANI, BENSI’ LA GIORNATA ONU PER LA GIUSTIZIA SOCIALE

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 19 Gennaio, 2013 @ 10:17 pm

Detto altrimenti: la Questione Sociale in Italia comincia dalla Giustizia Sociale. E la Giustizia Sociale comincia dalla Morale Sociale. E allora risolviamo innanzi tutto la Questione Morale (Sociale) Italiana. L’inadeguatezza di un “Contratto con gli Italiani”.

Gli oratori e le moderatrici

Alcune associazioni religiose, cattoliche e valdesi (il MOVIMENTO DI RINASCITA CRISTIANA, che ospita Don Marcello Farina relatore centrale, e  il CENTRO EVANGELICO ECUMENICO nella persona del Presidente Salvatore Peri), nella prima giornata della “Settimana per l’unità dei cristiani” hanno promosso una serata di riflessione sul tema “Praticare oggi la giustizia”. Il dibattito si è svolto nella Sala Rosa della Regione Trentino Alto Adige a Trento, la sera del 18 gennaio 2012.

Il 20 febbraio ricorrerà la Giornata Mondiale della Giustizia Sociale, un concetto promosso e riconosciuto dall’ONU come un “principio sotteso per la coesistenza pacifica tra i popoli. Per le Nazioni Unite “la ricerca di una giustizia sociale per tutti è al centro della nostra missione globale volta a promuovere lo sviluppo e la dignità umana”. Sono parole che non lasciano spazio ad alcun dubbio sull’importanza del concetto, che dal 2007 ha una Giornata Mondiale dedicata.

Questione Morale “Sociale”, in quanto ormai, purtroppo, è ormai coinvolta un’ intera “Società”: infatti una prima parte di essa viola le leggi morali ed una seconda parte non si indigna e non reagisce abbastanza di fronte al susseguirsi giornaliero degli scandali. E “scandali” non sono solo i furti, ma anche disuguaglianze retributive e fiscali, innanzi tutto disallineate rispetto alle medie europee.

(Qual è il rapporto fra l’iniziativa religiosa ed una esigenza innanzi tutto laica? Lo scrivo alla fine della mia premessa).

Premessa

Don Marcello Farina

Giustizia, giusto, secundum jus, conforme al diritto, conforme alla legge. A quale legge? Umana, Divina, Morale? Nel corso del dibattito è stato costante il riferimento alla morale cattolica ed alla morale. Orbene, la religione “ha” una morale, non “è”  una morale (in quanto la nostra religione è soprattutto “Creazione” e “Resurrezione”, n.d.r.). La morale è innanzi tutto un “valore laico”, preesistente alla venuta di Cristo. Il Codice di Hammurabi, 1850 a. C. stabiliva:  “non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te; fai agli altri ciò che vuoi sia fatto a te”. Cristo, con la sua venuta, ha testimoniato quei valori, che erano già insiti nella natura umana.

Giustizia, quindi, non nel senso di conformità alla legge umana: un famoso filosofo del diritto, l’austriaco Hans Kelsen, ebreo, fuggito dalla Germania, riconosceva “giusto”, cioè legittimo secondo la legge (tedesca) il regime nazista in quanto “voluto dal popolo”, mentre quel regime è la negazione della “giustizia innata, morale” e della “giustizia religiosa”.

Don Lorenzo Milani affermava: non è sempre virtù l’obbedienza (alle leggi umane, all’ordine costituito, n.d.r.). Giorgio La Pira, sindaco di Firenze assegnava case popolari secondo criteri di “giustizia innata”. I suoi collaboratori gli fecero notare che le leggi (umane) prevedevano criteri di assegnazione diversi. Rispose: “Io assegno le case. Voi andate a cambiare le leggi”.

La sala della conferenza: tutto esaurito! (La poltrona vuota è la mia!)

La mia conclusione? Se una legge umana è contraria alla “morale innata”, (che è stata successivamente ribadita dalla morale religiosa, non viceversa: quindi siamo in campo laico, non confessionale, così tranquillizzo tutti i lettori!), essa non va violata: va cambiata!

Si è affermato che non vì è giustizia senza l’uguaglianza di ogni uomo, senza una “economia (planetaria, n.d.r.) dell’uguaglianza”, laddove invece la Banca Mondiale ha stimato che nella statistica degli esseri umani, circa un miliardo di persone sono “inutili” (sic). Usando la terminologia nazista, si potrebbe dire: un miliardo di “pezzi” inutili!

Nella vita quotidiana parliamo spessissimo di uguaglianza, concetto non pienamente realizzato nel nostro paese nel tessuto sociale del Paese, benchè esso sia anche (“anche”, non “solo”) un impegno costituzionale: l’art.3 della Costituzione Italiana specifica “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana” (ma la norma non è sanzionata, quindi spesso, purtroppo, è inefficace, n.d.r.).

Le 191 nazioni aderenti hanno l’ONU a che entro il 2015 sia dimezzata la povertà nel mondo: Ma, a mio sommesso avviso, questo obiettivo sembra non raggiungibile, se non altro per la intervenuta globalizzazione, che ha aggravato la situazione, decentrando produzione e discariche di rifiuti d’ogni genere in paesi nei quali non sono rispettati i diritti umani, civili e le regole per la salvaguardia della natura. La globalizzazione quindi ha accentuato gli squilibri preesistenti.

Per arginare i danni creati da queste problematiche, nel 2008 l’International Labour Organization pubblicava una serie di linee guida nella Dichiarazione dell’ILO sulla giustizia sociale e sull’equa globalizzazione, oggi rilanciata dalle Nazioni Unite.

(Nel frattempo nel mondo vi sono ben 30 guerre in corso. Il che ci fa dedurre la inscindibilità dei concetti di “non povertà”, “libertà”, giustizia sociale”, “pace”).

Rispondo all’interrogativo sul rapporto fra una iniziativa religiosa ed una esigenza innanzi tutto laica: nel corso della serata si è affermato che “solo una Cristianità unita in Concilio può richiamare il mondo alla piena attuazione dei valori di “libertà”, giustizia sociale”, “pace”. Comunque la “giustizia sociale” è una esigenza innanzi tutto autonomamente laica che a sua volta è “anche” religiosa in via concomitante: il che non la trasforma da esigenza laica in imperativo religioso, ma semplicemente allarga la platea dei suoi sponsor.

Intervento di Don Marcello Farina
(mi scuso con Don Marcello per l’inesattezza e l’incompletezza del mio modesto report)

Il problema della ingiustizia-disuguaglianza sociale riguarda ugualmente tutti i continenti: cambia solo l’enfasi con la quale si approccia il problema. Il profeta Michea (737 – 690 a.C.) nacque in un piccolo villaggio a sud di Gerusalemme e crebbe nell’ambiente di una classe sociale di poveri lavoratori, una piccola comunità rurale e fu il primo a difendere i diritti sociali (proprietà del campo e della casa) contro le classi dominanti ed “esproprianti”: nobiltà e sacerdoti, fonte primaria dell’ingiustizia sociale. La giustizia sociale di Michea “parte dal basso”, è quella reclamata dalla gente, non quella “elargita” dall’alto dell’ordine costituito, ordine peraltro “costituito” su ben ordinate disuguaglianze!

Michea prosegue: non basta parlare della ingiustizia sociale, occorre non tollerare, denunciare, “indignarsi”, come millenni dopo hanno fatto gli indignados spagnoli (15 maggio 2011), i gruppi di disoccupati, gli occupanti di Wall Street. Al riguardo decisiva è la lettura del libro di Stephane Essel “Indignatevi” edito a Torino nel 2011. Tensioni che la chirurgia d’urgenza delle misure di austerità ha aggravato. Scandali, disuguaglianze e relative reazioni sono in crescita esponenziale. La domanda che sorge è: quando e dove inizierà l’ “inaccettabile” sia in campo laico che in campo ecclesiale. Un Tale, duemila anni fa, denunciava: “Guai a voi che caricate gli uomini di pesi insopportabili, pesi che voi non toccate nemmeno con un dito!”

Un altro contratto con gli Italiani? No, grazie …

Il ‘900 è stato il secolo della elaborazione dottrinale del concetto di giustizia. La si è identificata con “uguaglianza”, “condivisione”, “solidarietà”. nel secolo successivo (2011) con “equità”. Orbene, tutte queste parole sono “pietre” (direbbe Don Milani), ma non bastano, perché sullo sfondo c’è la “crisi delle relazioni umane”, nel senso che il positivo rapporto di alleanza si è trasformato in un “rapporto di contrapposizione contrattuale”: firmiamo un contratto, io di qua, tu di là del tavolo delle trattative. Contrapposti, non alleati. Un contratto, una legge fra privati che – al pari della Legge “pubblica” aiuta a separare anziché ad unire: “La mia libertà finisce dove inizia la tua”? Una grande stupidaggine! Infatti, o  si è tutti liberi o si è tutti servi. Non vanno bene le leggi scritte non per “stare insieme” ma per “dividere” gli uni dagli altri: da una parte i “diritti acquisiti” e dall’altra i “doveri acquisiti” (io ho diritto acquisito alla mia pensione d’oro di decine di migliaia di euro al mese; tu hai il dovere acquisito della tua pensione minima di 500 euro al mese. Lo dice la Legge dello Stato. Io, Stato Occidentale, compero a prezzo conveniente dal tuo Governo le ricchezze naturali del tuo territorio, e tu, popolo di quel territorio, muori di fame: lo dice la Legge degli Accordi Internazionali. N. d.r.).

Viviamo in un sistema (anche politico, n.d.r.) di “interessi contrapposti” anziché di “contributi anche diversi ma convergenti al perseguimento del bene comune”.

E. Lévinas

Don Marcello prosegue citando Emmanuel Lévinas (1906 –1995), filosofo francese di origini lituane, secondo il quale giustizia è il “volto” dell’altro, la sua “alterità”. Il “volto” che ti guarda e che tu – di rimando – osservi, conduce alla “signoria dell’altro”. Il “volto” ti guarda, paralizza il potere del tuo “io” e come prima cosa ti dice: “Non uccidermi”. Quindi, il “volto” ti chiede di “sapere rispondere” (anche se tu, poi, rispondi sempre in ritardo: questa è una caratteristica della risposta al “volto”); ti rende suo ostaggio; infine il “volto” ti porta alla scoperta dei “terzi”, fra lui e te stesso: l’epifania del “volto” attesta la presenza del “terzo”: l’Umanità Intera. Partendo da queste basi, Lèvinas attribuisce alla giustizia il primato sull’amore: l’amore fagocita, annulla se stesso o l’altro. La giustizia rispetta l’altro anche se lo ama. Amate i vostri nemici, disse quel Tale, perdonate le offese (Don Milani affermava: “Perdonare è da cristiani, dimenticare è da bischeri”, n.d.r.). Per Lévinas il perdono non è una concessione dell’offeso all’offensore, ma è l’offeso che si mette a disposizione dell’offensore per aiutarlo a rinascere. Per Lèvinas la giustizia “precede” l’amore perchè rivendica l’ “alterità”, mentre l’amore rivendica il possesso. Prima dell’amore viene la “responsabilità” che si ha nei confronti del “volto”. I due momenti, il volto che ti guarda e tu che rispondi, sono asimmetrici, non è un do ut des, non è un contratto (fra un politico e gli Italiani, n.d.r.): non ci sono limiti alla mia responsabilità verso il “volto”. Ecco che anche la giustizia non è solo distributiva o commutativa: è infinita, illimitata. Infine: “fare giustizia” oggi viene erroneamente inteso come giudicare e punire, mentre il “fare giustizia” è rendere l’altro giusto, far sì che sia giusto.

Infine, mi permetto di sottoporre al Vostro giudizio alcune sottolineature

Esiste un partito politico che in questa campagna elettorale abbia espressamente ed esplicitamente posto ai primi punti del suo programma la piena realizzazione dei principi fondamentali (morali, quindi socialmente giusti) della nostra Costituzione? Altro che un secondo “contratto”!

La Corte Costituzionale potrebbe intervenire contro una legge (elettorale) che di fatto viola il principio che stabilisce che “il potere appartiene al popolo” …

E noi, ma soprattutto i nostri “politici”, tutti noi che abbiamo ed usiamo il computer, abbiamo la forza e l’onestà morale di guardare e di rispondere al “volto” del padre di famiglia, disoccupato, che a sua volta non riesce a guardare e a dare risposte al “volto” dei suoi familiari?

Infine, quando accadrà che, di fronte al nostro stesso “volto” che ci interroga da uno specchio,  sia pure tardivamente gli risponderemo con la nostra indignazione verso la non-giustizia?