E’ LA FINE DEL RAPPORTO DI LAVORO A TEMPO INDETERMINATO?

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 12 Marzo, 2013 @ 12:12 pm

Detto altrimenti: come cercare di reagire

Sono stato promosso dirigente dall’età di trent’anni. Oggi sto vivendo il mio 70° anno d’età. Ho sempre avuto la possibilità di assumere personale. Ho sempre assunto “in prova” o con contratti a tempo determinato. Dopo sei mesi il rapporto è stato interrotto (ciò che è accaduto raramente) oppure (nella stragrande maggioranza dei casi) è stato trasformato in contratto a tempo indeterminato.

Tuttavia credo che oggi, se fossi ancora “in servizio”, nonostante la mia buona volontà, probabilmente riceverei “indicazioni”parte degli Azionisti o “vincoli precisi” da parte del Consiglio di Amministrazione di non stipulare contratti di lavoro a tempo indeterminato.

Ed allora, cosa potrei cercare di suggerire ai lavoratori e agli amministratori di società?

Premetto che l’ideale sarebbe che ognuno venisse impiegato nel lavoro al quale aspira. Oggi purtroppo accade molto spesso il contrario: si cerca e si accetta – nel migliore dei casi – un lavoro “comunque”. Ciò premesso, occorre che il “capo” rispetti, non strumentalizzi, coinvolga e motivi quanto più possibile il dipendente. Il dipendente a sua volta deve cercare di “farsi piacere” in ogni caso il lavoro che gli è assegnato. Come fare? In entrambi i casi (capo e dipendente) si deve cercare di operare sempre “al meglio” e non come “gestori abitudinari”, si deve essere attenti al continuo miglioramento di ciò che si sta facendo, come se la società nella quale si lavora fosse propria. Occorre cioè operare come certificatori continui della propria Qualità.  Occorre cioè diventare appetibili per l’azienda nella quale si opera, senza diventare però “insostituibili” per essa, in quanto ciò rappresenterebbe un vincolo per la società è non un plus sul quale fondare la sua crescita.

 

Rimozione di un capo che non motiva i dipendenti

Tutto però deve partire dall’alto, nel senso che un capo che non sa motivare i propri dipendenti deve essere rimosso, in quanto non crea o – se volete – distrugge una componente essenziale dell’avviamento societario: la “motivazione del personale”, senza la quale nessuna società può ambire a crescere. Non ricercare o distruggere la motivazione del personale, ai fini aziendali, è come sabotare il sistema informativo della società; è come gestire male gli affidamenti bancari sino al punto di ottenerne la revoca; è come trattare male i clienti; è come parlare male della propria società, screditandola agli occhi dei terzi; è come non redigere un piani di sviluppo triennale e navigare a vista; è come basarsi sull’informazione unidirezionale anzichè sulla comunicazione bidirezionale; è come operare sulla base di un organigramma gerarchico e mai su di un funzionigramma funzionale; etc. Né più, né meno.

Una volta che il capo abbia fatto la sua parte, sta al dipendente fare la sua. Viribus unitis, dall’azione di queste due forze unite, nascerà ciò che più di ogni altra cosa – oggi – possa assomigliare per entrambi (capo e dipendente) ad un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

Fine del post

Ceterum censeo … e poi penso che non sia accettabile che parlamentari del secondo partito di maggioranza relativa del paese, violando le regole di accesso (controlli elettronici compresi, tanto per capirsi), invadano il tribunale di Milano cercando di forzare l’andamento della giustizia e interferendo nel principio costituzionale della separazione dei poteri. Inoltre, così come non approvo chi nel passato ha definito il parlamento un possibile “bivacco di manipoli”, non approvo oggi chi lo definisce “una scatola di sardine”. Prendo infine atto che oggi due persone sono purtroppo di ostacolo all’esercizio della democrazia: una, per i suoi problemi giudiziari; l’altra, per la indisponibilità a “partecipare” al governo del paese, essendo disponibile solo al “proprio” governo, benche’ in minoranza, aspirando inoltre essa – nel frattempo – non a raggiungere la maggioranza dei consensi, ma la totalità.