UN GIORNO DEVI ANDARE ovvero “Dal Trentino all’Amazzonia”

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 3 Aprile, 2013 @ 3:49 pm

Detto altrimenti: un film (di Giorgio Diritti), ma un giorno (ci) devi andare … a Trento, in Trentino e dal Trentino in Amazzonia!

Film. Trento. Diverse Inquadrature. Piazza del Duomo, Via Mazzini … il bellissimo centro storico. E poi una nevicata sulla città, la Funivia di Sardagna, i nostri lindi ospedali cittadini e – last but not least – lo splendido Santuario di San Romedio in Val di Non. Già questo giustifica il biglietto Ma poi c’è la protagonista la quale – “alla ricerca di se stessa” – “per riflettere su se stessa” – si sposta in Amazzonia. E qui comincia il bello, anzi i molti aspetti “belli”. Infatti, a mio avviso … il film è diversi film in uno. Quello introspettivo della protagonista; quello naturalistico, dei fiumi e delle foreste amazzoniche; quello umano. Soprattutto quest’ultimo.

Il film “umano”. Innanzi tutto i “nostri” nelle scene con il “locali” parlano come loro: in portoghese (sottotitolato in italiano). Ma questo è solo un aspetto esteriore. L’interiorità la si coglie dal raffronto fra personaggi ed attori “nostrani” e personaggi (forse solo tali, non veri attori) locali, sia indios della foresta che “cittadini” delle favelas di Manaus. Nel modo di recitare (i nostri) e di essere (loro).
Gli indios della foresta rifiutano di lasciare il loro povero villaggio (dove sono amorevolmente seguiti da una suora (Missionaria di tipo “A”) per trasferirsi a lavorare, “pagati, alloggiati, mangiati e curati”, in un nuovo cantiere nella foresta, dove – con l’approvazione del missionario locale (missionario di tipo “B”) – si costruisce una Chiesa finanziata da imprenditori italiani che – guarda caso – bontà loro vi annettono anche una residence/resort con piscina. E che poi te li fanno anche lavorare extra … gli indios: chi conosce le danza locali potrà danzare per i turisti … retribuito, s’intende! E se no che le conserviamo a fare ‘ste tradizioni locali?

I “cittadini” della favela che cercano di non farsi “deportare” in agglomerati di casermette anonime, allineate, tristi come quelle dei campi di concentramento nazisti, dove il governo della città li vuole traslocare come fossero oggetti per “far posto alla “civiltà che avanza” (supermercati, grattacieli, etc.). Povera gente che, quando va bene, lavora di notte a ripulire le super lussuose palestre dove i “già civilizzati” vanno di giorno a smaltire l’eccesso di calorie ingurgitate; e quando va male si prendono l’aids o vedono i loro figlioletti rapiti o venduti a turpi trafficanti di moderni, piccoli schiavi. Povera gente che si affida ad un rudimentale sistema di altoparlanti per invitare se stessa a restare unita, a non disperdere la “comunità”. Grandissima lezione di civiltà per tutti noi, moderni incivilizzati.

Dolcissima la preghiera funebre dei brasiliani, recitata imponendo le mani sulle varie parti del corpo del defunto, per ringraziarle di quanto di buono ognuna di esse ha fatto nella vita in favore dei suoi congiunti.

Ecco, queste vicende mi hanno colpito ben più della storia della nostra protagonista, che pure ha una evoluzione, un senso, una morale. Ma questo genere di sensazioni e percezioni sono lussi che la gente delle favelas e della foresta amazzonica non si può permettere.