CARABINIERI FERITI ED UCCISI

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 29 Aprile, 2013 @ 12:09 pm

 

 

Il mio babbo … quando i carabinieri si chiamavano “I Reali” (Carabinieri, s’intende!)

Detto altrimenti: io sono figlio di un maresciallo maggiore dei CC.

Il mio babbo era toscano, Montalcino classe 1912. Avrebbe sofferto molto alle ormai frequenti notizie del ferimento e della uccisione di suoi colleghi. Molto, forse più di chi non è legato all’Arma.

Ma la condivisione del dolore espressa da tutti noi e anche (oggi! N.d.r.) da tutte le forze politiche, non basta. Occorre, quanto meno, che le famiglie delle vittime siano assistite innanzi tutto economicamente dallo Stato. E poi, cosa ancora più importante, che nessuno, a cominciare dai politici, si comporti in modo violento, inneggi alla violenza, raccolga consensi con la violenza, fisica o verbale che sia.

La violenza (politica) fisica al momento ci è stata risparmiata (non quella “sportiva” negli stadi). Infatti dobbiamo risalire agli anni ’20 per trovarne abbondanti, sconcertanti e incredibili tracce. Si legga, uno per tutti, il saggio di Gaetano Salvemini “Lezioni di Harvard” tenute in quella Università dal Salvemini, titolare della cattedra della civiltà italiana e riguardanti il periodo storico fra le due guerre mondiali e l’ascesa del fascismo.

Ma quella verbale … la violenza verbale … quella è stata ed è ancora troppo attuale e ugualmente pericolosa. Frasi del tipo “Tutti a Roma!”, “Al golpe!”, “Siete assediati”, “Mobiliteremo le piazze”, “La folla dei nostri elettori non lo permetterà”, “Siete morti”, “Branco di comunisti”, “fascisti!” etc., su quale terreno cadono? Su menti mature, equilibrate, che sanno sfrondare l’esteriorità dell’espressione e coglierne il significato strumentale, o non anche su menti più deboli in quanto – sia pure incolpevolmente – non allenate a riflettere, prive di autonomo spirito critico, facile preda del populismo di turno, prive di idee e ideali propri e ben maturati? O ancora, più semplicemente … su menti disperate?

E poi, che dire di quell’altra violenza, quella dei furti e degli sprechi del denaro pubblico, dell’ingiustizia sociale, dei privilegi delle tante caste … di una ubris (dal greco, “tracotanza”), che offende e travolge chi non ha di che vivere, chi non ha un futuro, chi vede distrutto il lavoro di una vita, solo perché chi avrebbe dovuto occuparsi del contesto entro il quale egli sperava, viveva ed operava, era “in altre faccende affaccendato”, preso com’era ad accumulare milioni (di euro), a raggiungere posizioni di comando (“cumannari è megghiu che futtiri”) sistemare i congiunti o i compagni/colleghi/camerati/amici/co-cittadini di partito!?

Che fare? Innanzi tutto impariamo a misurare le parole (“Le parole sono pietre”, firmato Don Lorenzo Milani), a misurare le nostre emozioni, le nostre reazioni, a prevedere le conseguenze di ciò che diciamo e facciamo, e soprattutto seguiamo la morale del Re Hammurabi del 2200 a. C.: “Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te; fai agli altri ciò che desideri sia fatto a te”, morale ripresa e testimoniata da Gesù, morale che è unica per laici e per cattolici, e che si riassume in quattro parole. “Ricerca del bene comune”.

Perché no? Perché altrimenti chi semina vento raccoglie tempesta. E sulla nave “Umanità” siamo imbarcati tutti e quindi tutti abbiamo il comune interesse a che essa non faccia naufragio.