POST 1029 – LA CERTEZZA DEL DIRITTO E LA RIFORMA DELLA GIUSTIZIA

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 14 Ottobre, 2013 @ 5:34 am

Detto altrimenti: ragioniamone insieme

Uno Stato di diritto è basato su regole predeterminate: in Italia, su leggi scritte; nel mondo anglosassone, sulle sentenze. In entrambi i casi vi è l’esigenza che si arrivi all’accertamento della verità entro il più breve tempo possibile. Questa è la necessità della “certezza del diritto”.

Ma a quale verità si deve e si può arrrivare? Alla verità “giudiziale”, cioè all’unica possibile in sede giudiziale, la quale talvolta potrebbe anche essere diversa dalla “verità vera”. E ciò perchè nelle contrapposizioni delle parti (fra privati o fra un privato e lo Stato), di “verità vere” spesso ne esistono più d’una, tutte diverse fra di loro. Ed allora, in tal caso, non si arriverebbe mai alla “certezza del diritto”.

L’uomo è fallibile. Proprio per questo sono stati stabiliti ben tre gradi di giudizio: due di merito: Tribunale e Appello; ed uno di pura legittimità, la Cassazione. Inoltre vi è la tutela costituzionale della Corte Costituzionale e l’eventuale ricorso alla Corte di Giustizia Europea pe la salvaguardia dei diritti umani.

Pertanto, preso atto della ricca serie di strumenti di garanzia predisposti dai sistemi democratici europei, alla fine occorre rispettare le sentenze passate in giudicato. Contestarle significa violentare il sistema della democrazia. Né varrebbe a giustificazione la continua affermazione che la verità giudiziale non corrisponde alla verità vera: il sistema della democrazia vive della verità giudiziale. Del resto già i nostri antichi Padri, gli antichi Romani, avevano affermato “Summa lex, summa iniuria” e anche “Dura lex, sed lex” espressioni che tradotte suonano così” Per quanto sia perfetta una legge, tuttavia essa può anche recare ingiuria a taluno” e “Una legge va sempre rispettata, per quanto essa possa essere severa”.

Che poi la nostra Giustizia vada riformata, siamo tutti d’accordo. Ma questo è un altro problema. Al riguardo mi permetto di sottoporre all’attenzione delle lettrici e dei lettori il mio punto di vista, non certo come “verità vera” ma come base per una discussione:

1) la necessità di una riforma della Giustizia non significa che sia riformabile il principio di cui ai capoversi precedenti né che sia “rifiutabile” una specifica, recente sentenza …
2) che si debba riformare il sistema delle pene, diversificandole – per i reati minori – verso una serie di misure diverse dalla carcerazione tout court, anche nel rispetto del dettato costiuzionale del recupero del condannato
3) che si debba intervenire sul sistema carcerario
4) che si debba riequilibrare la posizione dell’accusa rispetto a quella della difesa
5) che si possa definire la responsabilità dei giudici per dolo e colpa grave
6) che non si debba sottoporre la funzione dei Pubblici Ministeri al Governo
7) che non si debba eliminare l’obbligatorietà dell’azione penale
8) che si debba rivedere il rapporto fra procedimenti “fiscali” e procedimenti “penali”, anche nella direzione di abolire i concordati fiscali, da sempre a vantaggio dei soli grandi evasori
9) che si debba automatizzare il meccanismo operativo della Giustizia. Infatti non è concepibile che un Giudice sia costretto a verbalizzarsi da solo “a penna” un interrogatorio, mentre il sistema fiscale è (giustamente, n.d.r.) automatato al punto da registrare e perseguire anche mancanze di pochi euro. Il che, tradotto, significa: là dove abbiamo voluto automatizzare, ne siamo stati assolutamente capaci. Ed allora, la gestione della Giustizia, dei diritti, della vita e della libertà delle Persone, vale forse meno della gestione delle imposte?