POST 1050 — BICENTENARIO DELLA NASCITA DI GIUSEPPE VERDI

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 20 Ottobre, 2013 @ 2:55 pm

Detto altrimenti: il nostro circolo privato Accademia delle Muse celebra: Viva V.E.R.D.I. !

Lunedì 7 ottobre 2013: Cristina Endrizzi al pianoforte e Giovanna Laudadio voce “componente e recitante”. La musica non posso inserirvela, ma i testi sì.  Giovanna dice: “No, è solo un riassuntino … sono cose risapute …non ne vale la pena …”. E invece no. La difficoltà che Giovanna ha brillantemente superato è proprio il fare sintesi. La serata è stata fa-vo-lo-sa! Grazie alle due Accademiche, Cristina e Giovanna, appunto! E la musica? Cristina ha scelto ed eseguito i vari brani, ne ha suggerito l’intercalare con l’esposizione … giorni di prove con Giovanna. E che dire del soprano Letizia Grassi? This is Trento too, Trento è anche tutto questo!  Ed eccovi il testo:

GIUSEPPE VERDI (in breve, n.d.r.)

L’infanzia

Giuseppe Fortunino Francesco nasce a Roncole di Busseto, nel Ducato di Parma, il 10 ottobre 1813 da Luigia Uttini, filatrice, e Carlo Verdi, oste.  Giuseppe fin da bambino prende lezioni di musica dall’organista della chiesa, Pietro Baistrocchi, esercitandosi su una vecchia spinetta che gli ha regalato il padre. Gli studi musicali proseguono grazie ad Antonio Barezzi, commerciante, amante della musica e presidente della locale Filarmonica.

Gli studi

Verdi aiutato da Barezzi, decide di iscriversi al Conservatorio di Milano, che oggi porta il suo nome. Non riesce tuttavia a superare l’esame di ammissione per “raggiunti limiti di età” (ha 18 anni e di solito l’età massima per essere ammessi era di 14 anni), per la sua tecnica pianistica imperfetta, ma soprattutto perché era “straniero”, in quanto Roncole di Busseto non faceva parte del Regno del Lombardo-Veneto. Non si dà per vinto e grazie a una borsa di studio del Monte di Pietà di Busseto e all’aiuto economico di Barezzi, comincia a frequentare il mondo della Scala.

Gli inizi della carriera

Nel 1836 rientra a Busseto da vincitore del concorso per Maestro di musica del Comune, lo stesso anno sposa la figlia del suo benefattore, Margherita Barezzi, da cui ha due figli: Virginia e Icilio. Verdi vuole però tornare a Milano e lo fa con la famiglia.  Del 1839 è la rappresentazione al Teatro alla Scala della sua prima opera, che riscuote un discreto successo, offuscato irrimediabilmente dalla morte dei figli e poi di Margherita.

G

Cristina, Letizia e Giovanna

li anni di “galera”

L’impresario della Scala, Bartolomeo Merelli, gli fa leggere il libretto del Nabucco. Verdi se ne appassiona e in pochissimo tempo l’opera è pronta ed è trionfo (1842). Il coro del Nabucco ha un successo popolare strepitoso tanto da venir cantato e suonato perfino per le strade. Sempre in quel 1842 Verdi conosce due donne importantissime nella sua vita: la soprano e pianista Giuseppina Strepponi, che sarebbe diventata sua compagna e poi sua seconda moglie, e la contessa Clarina Maffei, grazie alla quale gli si aprono le porte dei salotti milanesi.
Iniziano anni di lavoro durissimo e indefesso, grazie alle continue richieste e al sempre poco tempo a disposizione per soddisfarle, anni che Verdi chiamerà “gli anni di galera”. Dal 1842 al 1848 compone a ritmi serratissimi. In questo periodo si consolida la sua discussa relazione con Giuseppina Strepponi.

La trilogia popolare: un successo nato in Emilia

Nel 1849 torna a Busseto insieme a Giuseppina. Molte le voci su questo rapporto (la soprano aveva avuto due figli da una precedente relazione), e sulla convivenza ufficializzata con il matrimonio nel 1859.  Nel 1851 è finalmente pronta la villa di Sant’Agata, a Villanova d’Arda, dove Verdi e Giuseppina si trasferiscono definitivamente: una dimora circondata da un grande parco, curato da Verdi stesso.  In questi anni, nella calma della pianura padana, Verdi scrive la trilogia popolare: Rigoletto (1851), Il Trovatore (1853), e La Traviata (1853). Ottiene un successo clamoroso.

Gli anni dell’impegno politico e sociale

Nel 1861 Verdi si sente chiamato all’impegno politico, sollecitato da Cavour. Viene eletto deputato del primo Parlamento italiano e nel 1874 è nominato senatore.  Verdi trova anche il modo e il tempo di dedicarsi agli altri, di pensare a chi ha più bisogno: nel 1888 inaugura un ospedale a Villanova D’Arda, da lui interamente finanziato e nel 1880 compra il terreno per costruire quella che ancora oggi è la Casa di Riposo per musicisti, la sua “opera più bella”, dirà, terminata nel 1899 ma chiusa finché Verdi, che non desidera essere ringraziato da nessuno, è in vita.

L’addio al teatro

Nel 1887, all’età di ottant’anni, scrive Otello e nel 1893 dà l’addio al teatro con la sua unica opera comica, il Falstaff.  Quattro anni dopo muore Giuseppina Strepponi.

L’addio dell’Italia al Cigno di Busseto

Verdi ci lascia il 27 gennaio 1901. Colto da malore spira dopo sei giorni di agonia, giorni in cui le strade di Milano sono state cosparse di paglia perché il rumore degli zoccoli dei cavalli non disturbi gli ultimi giorni del Maestro. I suoi funerali si svolgono come aveva chiesto, senza sfarzo né musica. Una folla silenziosa segue il feretro. Un mese dopo i corpi di Verdi e della Strepponi vengono portati alla Casa di Riposo per Musicisti. Arturo Toscanini in testa all’orchestra della Scala e ad un coro di ottocento persone disposte sulla gradinata, intona il “Va pensiero” del Nabucco, l’addio dell’Italia intera al Cigno di Busseto.

Gli anni cinquanta segnano l’inizio della maturità artistica di Verdi, che si concretizza nella trilogia popolare formata da “Rigoletto”, “Il Trovatore” e “La Traviata”. Questi capolavori vennero alla luce in soli due anni e mezzo e contribuirono notevolmente a consolidare la fama del maestro. Per Rigoletto, il cui titolo originale era “Il Triboletto, ovvero il buffone di corte” Verdi si ispira all’opera teatrale di Victor Hugo Le roi s’amuse, perchè è convinto che si tratti di un “tema grande, immenso, e che per il suo carattere sia una delle maggiori creazioni teatrali di tutti i paesi e di tutti i tempi”. La furia della censura veneziana è violenta e interviene pesantemente sul libretto, ma Verdi afferma in una lettera al presidente della Fenice di Venezia: “Osservo infine che si è evitato di fare Triboletto brutto e gobbo!! Per qual motivo? Un gobbo che canta dirà taluno! e perchè no? Io trovo bellissimo rappresentare questo personaggio estremamente defforme e ridicolo, ed internamente appassionato e pieno d’amore. Scelsi appunto tale sogetto per tutte queste qualità e questi tratti originali, se si tolgono io non posso più farvi musica.” Verdi quindi preferisce non rappresentare l’opera al posto di accettare di apportare cambiamenti inconciliabili con le sue idee artistiche. E alla fine, avrà la meglio: i tratti essenziali della storia restano inalterati, cambia però l’epoca e il luogo in cui si svolge l’azione, e il re di Francia diventa un anonimo duca del Rinascimento italiano. “Rigoletto”, su libretto di Piave, debutta l’11 marzo del 1851, ottenendo un successo strepitoso, destinandola ad essere una delle più popolari opere di Verdi e di tutto il repertorio italiano.

Pianoforte: Rigoletto

La genesi della “Traviata” è strettamente vincolata a quella del “Trovatore”. Verdi ebbe l’opportunità di vedere nel 1852, al Theatre du Vaudeville de Paris, un dramma di Alessandro Dumas figlio, “La dame aux camélias”, che si basava sulla novella omonima dello stesso autore. Era la storia d’amore di una celebre cortigiana di Parigi e di un giovane di famiglia benestante. Quando Verdi firma un nuovo contratto con il teatro la Fenice di Venezia, nel mese di maggio 1852, per produrre un’opera che si sarebbe dovuta rappresentare durante il Carnevale successivo, è inevitabile per lui pensare all’opera di Dumas: lo attrae la sua carica sovversiva, la sua accusa ad una società che sacrifica, secondo una convenienza morale, una donna, la cui unica colpa è quella di amare.

Pianoforte: Traviata

Il Trovatore è un dramma in quattro atti su libretto di Salvatore Cammarano tratto dalla tragedia spagnola di Antonio Garcia Gutierrez. In una sua lettera Verdi scrive: L’argomento che desiderei e che vi propongo è El Trovador di Gutierrez. A me sembra bellissimo; immaginoso e con situazioni potenti. Io vorrei due donne: la principale le Gitana, carattere singolare, e di cui ne trarrei il titolo dell’opera; l’altra ne farei una comprimaria”. Si tratta della seconda opera della trilogia popolare; la musica è certamente di livello elevatissimo per quel che riguarda la capacità di sottolineare i caratteri dei personaggi: in particolare è di grande effetto la rivelazione finale del personaggio della zingara: Azucena, che ha covato per tutta la vita il suo odio, ritrova accenti di accorato amore quando rievoca la vicenda drammatica di cui suo figlio è stato involontario, innocente e tragico protagonista.

Pianoforte: Trovatore

IL CORSARO


E’ un melodramma in tre atti su libretto di Francesco Maria Piave tratto dall’omonima novella di George Byron. L’opera debuttò a Trieste nell’ottobre del 1848.
Corrado, corsaro in esilio in un’isola dell’Egeo, è stanco della sua prigionia. Pur vivendo con l’amata Medora, decide di andarsene e di sconfiggere l’odiato pascià Seid a Corone, con un attacco di sorpresa. Durante una festa a Corone, cui partecipa Gulnàra, prediletta di Seid, che lei odia, Corrado, sotto mentite spoglie, irrompe nel bel mezzo della festa, combattendo contro Seid, mentre i suoi corsari tentano d’incendiare le navi ottomane. Ma l’impresa fallisce: sconfitti i corsari, Corrado è condannato a morte. Gulnàra, però, innamoratasi di lui, durante la notte uccide Seid e libera il corsaro. I due tornano sull’isola dove trovano Medora che, alla falsa notizia che l’amato era morto, si è avvelenata. Quando Medora muore, Corrado, ignorando le preghiere di Gulnàra, si suicida gettandosi dalla scogliera.
Verdi scrive all’editore Lucca: “Ella avrà tutte le ragioni del mondo, ed io mi sarò ingannato ingannatissimo, ma io faccio Il corsaro o niente. Le sue ragioni non m’han fatto che parer più bello questo soggetto. La Ginevra? Sarà bella, come lei vuole, ma a me piaccion le cose che non piacciono agli altri. Diffatti il Nabucco fu rifiutato; i Lombardi era un cattivo libro. L’Ernani non era musicabile, ecc.”
Il corsaro è immeritatamente considerata un’opera minore di Verdi, ed è poco rappresentata.
Suoi altissimi pregi sono le stupende arie, gli straordinari finali del II atto (dove l’Autore raggiunge i vertici del grande concertato operistico per soli, coro e orchestra) e un’appassionata “inquietudine” melodica e armonica.
I suoi “difetti” si possono ricondurre alla squilibrata architettura narrativa, e quindi musicale, dovuta sia al libretto (che pure aveva grandemente appassionato Verdi all’inizio) sia al fatto che, durante la composizione de Il corsaro, Verdi stesso si invaghì di un nuovo testo che, evidentemente, si confaceva di più alla nuova espressività che ne Il corsaro appare già con chiarezza ma ancora in nuce.
Ma lo strano destino di quest’opera continuò con la seconda rappresentazione, tenutasi ben 115 anni dopo e organizzata da Franco Ferrara in seno alle “Vacanze Musicali Veneziane” in forma di concerto, all’aperto, nel cortile di Palazzo Ducale, il 31 agosto 1963, con la voce di Maria Battinelli (Medora), sotto la direzione del polacco Piotr Wolny. La sera dell’unica rappresentazione alla Battinelli mancò la voce, sicché, non essendo stati previsti i sostituti, a metà del terzo atto il maestro Wolny dovette fermare l’esecuzione, non solo perché la Battinelli ormai non emetteva più suono, ma anche perché al pizzicato dei violini (“Oh mio Corrado appressati”) si sovrapposero i dodici rintocchi del campanile di S. Marco che era stato bloccato solo fino alle 23,30. Ne seguì un pandemonio generale fra le violente proteste del pubblico, la fuga degli orchestrali e degli artisti e l’intervento dei carabinieri. Per fortuna, di questa seconda, tragica rappresentazione, la RAI aveva effettuato la registrazione la sera precedente nel Teatro la Fenice, che fu in seguito regolarmente trasmessa. Dopo pochi anni, però, Il corsaro fu riproposto in eccellenti edizioni.

LETIZIA GRASSI, soprano, canta la difficile Aria di Medora “Non so le tetre immagini” tratta dal Corsaro.

AIDA

Alla fine del novembre 1869 Verdi inizia le trattative per un’opera da rappresentare al Cairo nel corso dei festeggiamenti per l’apertura del Canale di Suez. Gliela commissiona il Vicerè d’Egitto, Ismail-pasha, un amante dell’arte, che per l’occasione vuole un’opera nuova, di argomento locale e patriottico. L’egittologo Auguste Mariette ne scrive il soggetto, che piace a Verdi per la grandiosità e la drammaticità che lo caratterizzano.
Vengono redatti due libretti: Ghislanzoni scrive la versione italiana, Du Locle quella francese. In pochi mesi Verdi completa lo spartito, ma la messinscena viene ritardata di un anno a causa della guerra franco-prussiana e dell’assedio di Parigi, dove si stavano realizzando le scene e i costumi dell’opera.
La prima di Aida ha luogo domenica 24 dicembre 1871 e riscuote un successo clamoroso e unanime sia di pubblico che di critica. Nel contratto Verdi si era riservato di mettere in scena l’opera a Milano subito dopo la rappresentazione al Cairo e ciò accade nel febbraio 1872, riscuotendo uno splendido successo.

L’opera provocò però qualche sporadica protesta individuale. Nel libro di Arthur Pougin, storico e critico musicale francese, dal titolo Vita aneddotica di Verdi, se ne citano due: la prima è una lettera che il melomane Prospero Bertani indirizza a Verdi, nella quale lamenta la sua insoddisfazione nei confronti dell’ Aida e chiede al Maestro un risarcimento delle spese sostenute per aver assistito due volte alla sua rappresentazione. Verdi incarica il suo editore Ricordi di soddisfare la richiesta del Bertani, facendogli però firmare sia una ricevuta che un’obbligazione contenente la promessa di non andare più a sentire le nuove opere di Verdi.

L’altro episodio curioso ha come protagonista Vincenzo Sassaroli da Tolentino, compositore e musicista, “al quale la cattiva opinione che aveva dei suoi confratelli [musicisti] non impediva d’essere pieno di ammirazione pel proprio genio”. Il Sassaroli non aveva gradito il successo né della Messa da requiem né dell’Aida: per questo scrive una lettera a Tito Ricordi, nella quale gli propone una sfida: chiede il permesso di musicare il libretto dell’Aida e di istituire poi una commissione composta da sei musicisti che avrebbero giudicato quale delle due versioni fosse la migliore, la sua o quella di Verdi. La sfida non viene raccolta dal Ricordi e tutto finisce così.

Pianoforte: Aida

Ora facciamo un passo indietro, chiudiamo gli occhi e ci immergiamo nell’atmosfera della Traviata.
Siamo all’inizio del Terzo Atto, nella camera da letto di Violetta. Sul fondo c’è un letto con cortine mezzo tirate, una finestra chiusa da imposte interne e presso il letto uno sgabello con sopra una bottiglia d’acqua, una tazza di cristallo e diverse medicine. A metà della scena c’è un canapè e nel camino arde il fuoco. Violetta dorme sul letto e Annina, la sua governante, seduta presso il caminetto, è pure lei addormentata…

Pianoforte: Preludio del Terzo atto di Traviata

Sul trillo finale: Ora Violetta sta morendo… ma ci ricordiamo com’era nel primo atto?

Pianoforte: Brano finale dal Primo atto

NABUCCO

Per terminare il nostro omaggio al massimo compositore d’opere italiano, parliamo del Nabucco.
Composta su libretto di Temistocle Solera, Nabucco fece il suo debutto il 9 marzo 1842 al Teatro alla Scala di Milano.
L’opera venne realizzata dopo un periodo travagliato della vita di Verdi, in quanto non solo egli era andato incontro al fiasco di una sua opera, ma aveva anche dovuto affrontare la morte della moglie Margherita Barezzi e dei loro figli Virginia e Icilio. Ciò lo aveva condotto ad un rifiuto totale di comporre brani musicali, se non che l’impresario teatrale Bartolomeo Merelli gli propose un libretto composto da Temistocle Solera. Si trattava del Nabucco, che convinse Verdi ad accettare di musicare l’opera.
Il Nabucco è stata spesso letta come l’opera più risorgimentale di Verdi, poiché gli spettatori italiani dell’epoca potevano riconoscere la loro condizione politica in quella degli ebrei soggetti al dominio babilonese. Questo tipo di lettura è incentrata soprattutto sul famosissimo coro Va’ pensiero sull’ali dorate, intonato dal popolo ebreo e che ora intoneremo anche noi.

Pianoforte e voci di tutti noi: Coro Va’ pensiero

THE END