DALLE PRIVATIZZAZIONI STATALI ALLE PRIVATIZZAZIONI INTERCOMUNALI TRENTINE

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 29 Dicembre, 2013 @ 10:07 am

Detto altrimenti: Comni Trentini, come  trasformare una necessità in un’opportunità – Dal “privatizzare” al “to go public”.                    (post 1240)

Il Governo centrale potrebbe essere condotto a privatizzare molte società pubbliche, per “fare cassa” e per non essere costretto a comprendere nell’ammontare del debito pubblico anche i debiti di tali SpA, il che farebbe crescere di molto il rapporto debito pubblico-PIL.
Ma alcuni settori non si possono privatizzare, come la gestione dell’acqua, sia per la natura “strategica” del servizio sia perché così dice un referendum popolare. Altre attività producono utili, ed allora perché privatizzarle? Altre sono in perdita, ed allora chi se le comprerà mai? (A meno di scaricare il tutto sulle spalle degli utenti attraverso fortissimi aumenti tariffari). Ed allora?

Ma questa è un’altra storia. Infatti intendo portar la discussione sul terreno dei Comuni Trentini.

La soluzione potrebbe consistere nel sistema già adottato di Spa a capitale misto pubblico-privato a maggioranza pubblica, gestite da imprenditori privati secondo le tecniche che essi – e non i funzionari pubblici – conoscono, con l’Ente Pubblico che interviene solo quale regolatore delle tariffe, della qualità dei servizi etc… Ma al riguardo il legislatore non ha adeguato in modo armonico e completo la relativa legislazione, generandosi situazioni di incertezza ad ogni livello, sia esso gestionale che giurisprudenziale e giudiziario. Un esempio? Se un sindaco “ordinasse” ad una Spa di cui possiede la maggioranza azionaria di applicare tariffe fallimentari, i responsabili di tale società cosa dovrebbero fare, se non dare in blocco le dimissioni? L‘alternativa sarebbe o non ubbidire, ed allora essi violerebbero l’impegno di “adeguarsi alle direttive del Comune” che è stato fatto loro sottoscrivere all’atto della loro nomina, oppure “ubbidire” e far fallire la società. No. Così non può’ andare … almeno fino a quando esistano Sindaci che non riescano a considerare le loro SpA come SpA (v. codice civile), appunto, e non come “uffici” del loro Comune.

Ma torniamo alla SpA interamente pubblica.

In italiano il termine “società pubblica” indica una società posseduta da un Ente Pubblico. Nel mondo anglosassone, il termine “public company” significa esattamente il comntrario, e cioè una “società posseduta dalla collettività dei cittadini” e “privatizzare” si traduce con “to go public”.

 Ed allora proviamo ad immaginare la situazione seguente, che ipotizziamo relativamente ad un Comune facente parte di un ambito territoriale funzionale intercomunale. Il nostro Comune non attende di essere costretto a vendere ai privati (“privatizzare”) una sua Spa per “necessità” o, entro una data fissa, per ottemperare ad un probabile “dictat” legislativo, se non altro perché il prezzo della vendita scenderebbe di molto di fronte ad un compratore consapevole di tale obbligo a scadenza. Ed allora, ben prima di quel momento, il nostro Comune trasforma una necessità in una opportunità. Infatti esso stipula con la sua Spa adeguati contratti di servizio che gli garantiscano comunque il controllo della qualità e dei costi del servizio. Indi il Comune apre il capitale della Spa ai cittadini propri ed a quelli dei Comuni confinanti, uscendo egli stesso dal capitale della sua Spa. La Spa diventa interamente privata, “dei cittadini locali” i quali sono innanzi tutto interessati ad avere servizi efficienti e a costo contenuto, più che, almeno in questa prima fase, a ricevere dividendi azionari. A quel punto i Comuni interessati si consorziano e lanciano un unico bando intercomunale per la gestione del servizio pubblico a livello unificato intercomunale con rilevanti migliorie funzionale e forti economie di scala. La Spa vi partecipa con ottime probabilità di vittoria, in quanto, essendo già operante sul territorio ne conosce ogni aspetto di criticità e di opportunità e può formulare l’offerta di gran lunga assai più tempestiva e favorevole.

Oltre a ciò, la Spa, essendo a capitale interamente privato, potrebbe liberamente operare anche al di fuori dei confini dei Comuni d’origine, partecipando a bandi pubblici lanciati da altri Comuni ed anche stipulando contratti gestionali con soggetti privati. Il suo fatturato aumenterebbe, essa potrebbe assumere altro personale locale; praticare condizioni sempre migliori ai suoi Comuni d’origine; produrre utili e ritorni fiscali ed infine distribuire dividendi ai suoi azionisti. Un esempio? In Trentino, terra dei moltissimi Comuni di difficile reciproca fusione, stiamo già assistendo a Comuni che, per ragioni funzionali ed economiche, hanno riunificato le proprie Polizie Locali. Ed allora, gli stessi Comuni potrebbero riunificare anche la gestione della sosta e della mobilità attraverso un’unica Spa della Mobilità strutturata come sopra descritto.

In sintesi: si può ben dire “no” alla privatizzazione che preveda la cessione delle azioni di un SpA pubblica comunale dal Comune ad un singolo imprenditore privato ma si può dire “si” ad una privatizzazione che preveda un azionariato popolare, locale e diffuso. Mi pare che l’Alto Adige abbia già fatto una scelta del genere in materia di energia.

Nulla vieta che l’operazione descritta, utile e conveniente sotto ogni profilo, debba e possa essere attuata anche a prescindere da una sua eventuale “necessità”, bensì anche sulla base della sua semplice convenienza, funzionalità ed economicità.

Inoltre, last but non least, operazioni del genere hanno un forte contenuto antropologico e sociale, portando gli utenti a sentirsi “Cittadini”, padroni in Casa Propria e più sensibili al perseguimento del Bene Comune.