PALESTINA: LA STRAGE DEGLI INNOCENTI

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 31 Luglio, 2014 @ 6:45 am

 (vedi anche mio post del 8 luglio 2014)

Detto altrimenti: non si può retare indifferenti. Non ci stiamo indignando abbastanza di fronte a queste “morti di serie “B”. Già, perché vi sono moti di seria “A” (olocausto) e morti di serie “B”: la strage degli Armeni, quella degli Indiani e degli Indios d’America, le continue stragi africane, la strage palestinese, quelle degli immigrati affogati nel Mare Nostrum, le stragi per fame e malattie nel mondo … (post 1614)

th7N98A9YYPalestina. Non sono antisemita, sia per una convinzione morale sia se non altro anche perché non si può essere “anti-“ una cosa che non esiste, cioè la “razza ebraica”, in quanto la razza umana è una sola: quella umana, appunto, ed io non sono ovviamente contro la mia stessa razza.

Non sono contro l’ebraismo se non altro anche perché io non sono contro alcuna religione.

Sono contro la guerra e le stragi, soprattutto se si tratta di stragi di innocenti.

ZOM1[1].

Dice: ma anche gli USA bombardavano le città tedesche pur di accelerare la fine della guerra. Sì, dico io, ma il tempo matura inutilmente? La cultura della guerra, del colonialismo sono – o almeno dovrebbero essere – cose del passato. Il colonialismo? Per certi aspetti la creazione dello Stato di Israele  a danno dei palestinesi rappresenta un episodio di colonialismo permanente, stante il continuo espandersi degli insediamenti dei coloni israeliani. Suggerisco la lettura di un libro: “Con il vento nei capelli – Una Palestinese racconta” di Salwa Salem (giunti Editore). Poi ne riparliamo. E adesso copiamo un po’ da un altro blog trovato in internet …

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 Inizia

 I Palestinesi possono morire tutti

 10 morti – Non posso parlare del conflitto Israelo-palestinese. Non ne so abbastanza.

 40 morti – Posso parlare, però, dell’opinione pubblica italiana, nella quale sono immerso da lungo tempo.

64 morti – Non parlerò, però, delle fazioni tifose, che puntualmente saltano fuori in mancanza di altre competizioni che consentano loro di schierarsi da qualche parte. Non credo sia necessario spendere parole per chi difende Israele in nome del suo status di democrazia persa nel mondo brutto e cattivo dell’Islam o per chi indossa una kefiah e solidarizza con un fronte armato a vocazione religiosa di cui in realtà non condivide (e non sa) quasi nulla. Considero queste posizioni ugualmente cretine e dei cretini non parlo.

115 morti – Parlo più volentieri di una terza categoria. Gli osservatori. I politologi da toilette, quelli che seduti sulla tazza sfogliano l’Espresso, Limes, il Corano (comprato il giorno prima perché avere in casa solo la Bibbia, in questa fase, li faceva sentire sporchi dentro) e dopo aver azionato lo sciacquone escono dal bagno nella sardonica e amara consapevolezza d’essersi affrancati dalla litigiosa superficialità del mondo.

120 morti – Li chiameremo “accademici”. Gli accademici non parteggiano. Scuotono la testa perché sanno che la loro preziosa visione delle cose, basata su un approfondito esame della posta in gioco, è minoritaria per definizione. Cosa sanno realmente del Medio-Oriente? Praticamente nulla, in realtà. Ma si stanno documentando e, scambiando i mezzi con il fine, eleggono il documentarsi a obiettivo primario della civiltà.

140 morti – È un vero peccato che Palestinesi e Israeliani, dopo tutto, non si fermino un momento per andare al bagno e documentarsi un po’ su loro stessi.

 150 morti – Ovviamente gli accademici parlano malvolentieri dei morti, perché fare retorica sul dolore non sarebbe degno.

160 morti – E allora parte il pippone solonico su quanto sia facile tifare per questo o per quello e su quanto invece sia più difficile, ma doveroso, comprendere le ragioni profonde che stanno dietro a quel conflitto. A questo punto il fiume si sta già ingrossando ma la piena arriva in fretta: la geopolitica, gli USA, i califfati, le primavere arabe, il Mossad, la Russia, la crisi Siriana, lo scenario iraniano in veloce mutamento, e la Giordania? Oh ma la Giordania?, la Bibbia, il Corano, Hamas, il Likud, l’Olocausto, la guerra dei sei giorni, il Sionismo, la diaspora, la fuga dall’Egitto, Mosè, il ruolo perduto dell’Italia nell’area mediterranea, ti ricordi Craxi e la crisi di Sigonella?, D’Alema che dopo tutto, Andreotti che con Arafat si andava via che era una meraviglia, e spiace – alla fine – non trovare un’ultima rubrica che metta in evidenza come il regime alimentare osservato dalle due fazioni non aiuti a fornire al cervello le giuste vitamine per attivare l’enzima della pace.

230 morti – Facile dire no alla guerra. Facile condannare Israele. Facile gettare fango su Hamas. Per carità. L’accademico – se solo gli prospettate una di queste cose – se ne ritrae schifato che manco un gelato alla cacca e torna subito a leggere qualcosa sugli sport praticati nel tempo libero dagli arabi israeliani, un aspetto della vicenda che in questo clima da stadio rischiava di passare sotto silenzio e che invece è ovviamente fondamentale per capire di cosa stiamo parlando. E giù letture. Alla fine bisogna ricorrere al Guttalax per avere di che chiudersi in bagno senza destare sospetti. L’unica voce di spesa che supera quella delle riviste specializzate, in questa fase, è quella per la carta igienica.

250 morti – Ora, volete mettere in crisi un accademico? Chiedetegli una priorità. Andate lì e gli dite: “Tesoro, senti, puoi uscire un attimo dal bagno? Allora, qua ormai siamo a 300 morti. Ho capito che ancora non abbiamo analizzato il DNA dei capelli trovati sulle spiagge di Gaza, ma fra tutte le questioni che sollevi con tanta ponderazione ti dispiacerebbe indicarmi una priorità? Ti dispiacerebbe dirmi qual è, secondo te, la cosa che va fatta per prima?”

302 morti – La priorità è piuttosto facile da individuare: interrompere il massacro, evitare che il numero dei morti aumenti. E visto che quei morti sono al 98% palestinesi, la priorità è fermare Israele. Punto. Non perché si debba tifare per Hamas ma perché i morti li fa Israele. Priorità, appunto. Facile metterla così, dirà l’accademico, ormai sommerso dai suoi approfondimenti e costretto, in emergenza, ad usarne alcuni come carta igienica.

340 morti – Magari fosse facile metterla così. Non è facile per niente. Anche il Papa – che non ha un elettorato davanti al quale farsela sotto – si limita a dichiarazioni generiche, cose del tipo: basta alle violenze e no alle cose brutte. Nessuno fra quelli che contano qualcosa, in Europa e tanto meno negli Usa, si azzarda a chiedere che Israele sospenda l’eccidio. Tutti quanti sappiamo che si tratta di questo: un eccidio, un genocidio, uno sterminio scientifico e programmato. Al massimo, tuttavia, capeggiati dalla nostra tribù di accademici, siamo disposti a manifestare amarezza per la tragedia umana (stando ben attenti a non darle colore o identità), salvo poi tirare i remi in barca quando si tratterebbe di individuare i responsabili e mandare loro un messaggio chiaro. Perché?

350 morti – A questa domanda, per piacere, non fate rispondere l’accademico che dentro di voi si passa la mano sotto il mento. Chiudete il saggio sulla crisi armena e sulla latitanza diplomatica della Turchia e ammettete a voi stessi una cosa. Ammettete a voi stessi quello che nessuno dice. Quello che non si può dire. E cioè che alla fine, a noi, noi italiani europei occidentali americani atlantici come ci pare, a noi insomma, va bene così. Ammettete a voi stessi che sotto sotto, fra le pieghe di un inconscio collettivo nemmeno troppo inconscio, il nostro cuore batte forte per i missili che con tanto eroismo si schiantano su Gaza, facendo piazza pulita di morettini dall’aria poco raccomandabile, grandi o piccini che siano. Ammettete a voi stessi che Israele campeggia nel vostro immaginario, anzitutto, come avamposto occidentale nella terra del burqa, un avamposto a cui tutto è concesso perché tutto ciò che l’attornia appartiene a un modello di civiltà che non è il nostro e di cui, in fondo, non ci può fregare di meno. Ammettete a voi stessi, a voi stessi accademici, a voi stessi osservatori, a voi stessi teorici da toilette, a voi stessi geopolitologi in botta di guttalax, ammettete a voi stessi che i Palestinesi possono morire tutti, dal primo all’ultimo.

370 morti – Ammettete a voi stessi che l’attitudine a questo patologico e compulsivo approfondimento è un modo per prendere tempo e consentire alla tragedia di consumarsi come meglio crede. Nella peggiore delle ipotesi, in fondo, sarete colti a studiare e nessuno potrà accusarvi di nulla. Ammettetelo. E provate a pensare, per averne la riprova, a che reazione avreste se la situazione fosse a parti invertite, con Hamas che massacra gli Israeliani con bombardamenti a tappeto e incursioni di terra. Le navi di mezzo mondo sarebbero schierate davanti a quelle coste a spolverare i Palestinesi dalla faccia della Terra, e col cavolo che perdereste tutto questo tempo a documentarvi, ad approfondire e a nascondervi dietro le clamorose foglie di fico di cui in questi giorni amate addobbarvi. Saremmo tutti ebrei, altro che Kennedy che fa il berlinese. Perché i morti non sono tutti uguali. E i loro, i morti di quelli lì, non contano niente. Ammettetelo, su. Per questo possiamo perdere tempo a fare gli accademici. Per questo rinunciamo a darci una priorità.

 400, 450, 480 morti – Fate un favore a voi stessi. Ammettetelo e finitela di prendervi in giro. L’unica cosa peggiore di un crimine è l’incapacità, sottoscrivendolo, di averne il coraggio e la faccia.

 1300 morti – “Fatti loro“: il riassunto dei vostri studi, fondamentalmente, è questo.

 Finisce

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