LUIGI SARDI: “1914, DEGASPERI E IL PAPA”

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 2 Dicembre, 2014 @ 2:12 pm

Detto altrimenti: l’ultimo libro di Luigi Sardi, presentato nel … post precedente, ovvero

La Grande Guerra: la Tregua di Natale proposta dal giornalista trentino al Pontefice

(post 1783)

Estratto

IMG_2596E’ il dicembre del 1914. Si avvicina il Natale e la guerra che, scatenata il 30 luglio doveva durare poche settimane, giusto il tempo per invadere debellandola la Serbia, è una strage sul fronte occidentale e un massacro in Galizia, dove contro i russi combattono e muoiono migliaia di trentini. Alcide Degasperi sul giornale “il Trentino” scrive che ci si trova di fronte ad

” – un turbine di follia e di odio, un flagellum iracundiae –  come ha definito con una parola scultorea la presente guerra Benedetto XV”.

Il giornale, spesso profondamente segnato dalla censura, pubblica solo i bollettini diramati da Vienna e da Berlino e, ogni giorno le liste, sempre più lunghe fino ad occupare quasi tutta la seconda pagina, con i nomi dei morti, dei feriti, dei prigionieri, dei dispersi comunicati dal Ministero della Guerra al Segretariato per i Richiamati che aveva sede al numero 21 di via Roma e aveva il compito, due volte al giorno, di esporre gli elenchi davanti ad una folla silenziosa.

In quei giorni di profonda tristezza, di paura e di mancanza di cibo, i trentini lessero con sorpresa una breve notizia telegrafata da Roma da Alcide Degasperi e pubblicata nella cronaca cittadina de “il Trentino”:

“Il Santo Padre ha ricevuto in udienza privata l’onorevole Degasperi. Sua Santità, interessandosi paternamente delle nostre condizioni, impartisce con effusione, la benedizione alle famiglie, alle vedove e agli orfani dei morti in guerra, ai feriti, alle loro famiglie e a quanti soffrono più direttamente le condizioni della guerra. Benedice anche il giornale”

 e, salvo errori, quello era il primo giornale, e per giunta un quotidiano austriaco, benedetto dal Papa.

Appunto il giornale annota:

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“… fate il vostro dovere, a qualunque costo …”

“Accogliamo reverenti quest’atto di paterna sollecitudine che il Capo della Cristianità compie verso di noi in quest’ora solenne e stringiamoci con raddoppiato fervore alla Sede di Pietro, dalla quale irradia, anche tra il cozzare dell’armi, tanto raggio di pace. In particolare ai parenti dei caduti giunga, con la benedizione del Sommo Pontefice, il nostro compianto.”

Notizia breve per un avvenimento straordinario. Il Papa aveva ricevuto Degasperi il 18 novembre. I Trentini non sapevano, perché non sempre il giornale arrivava in città, che il 17 novembre 1914, il giorno prima che Degasperi fosse ricevuto in Vaticano, l’ “Osservatore Romano” aveva pubblicato una nota nella quale si dichiarava necessaria la neutralità dell’Italia e si ammonivano i cattolici italiani a bandire quei giornali che facevano propaganda all’intervento in guerra. Nel comunicato sull’udienza concessa, c’è un preciso accenno politico: appunto la benedizione del giornale che aveva seguito sin dall’inizio della guerra un indirizzo neutralista e pacifista mentre su tutta la stampa italiana cominciava a risuonare l’ inno trionfalistico alla guerra.

Tornato a Trento, Degasperi, da buon cronista, aveva scritto con il titolo “Una Sosta a Roma” alcuni pensieri su quello storico incontro. Ecco

 “l’urbe era quasi deserta. Pochissimi i forestieri che vagano come ombre pensose tra le rovine del Foro o sotto le volte arcane del Palatino. Alla fine del 1914 l’umanità non sente più il linguaggio dei secoli e non scruta i segreti della sua storia millenaria. Il piccone dell’archeologo si è arrestato”, perché adesso “tutta l’Europa è un’immensa rovina, altri palazzi cesarei crollano, altri templi, altre basiliche cadono in polvere”.

Attento alla censura che cominciava a diventare ferrea, Degasperi accenna all’Europa che crolla come le glorie dell’antica Roma

 “con il tetro spettacolo che ci offre il mondo in quest’ora d’orrore”.

 thKH6H5FPWIl giornalista arrivato dal Trentino già ghermito dalla guerra e dalla fame, in una Roma pronta a precipitarsi nella strage, parla di

 “immenso sconforto. Noi finiremo per disperare della nostra generazione, dell’avvenire, delle sorti dell’umanità e del nostro popolo… Ci sentiamo perduti oggi nel tetro labirinto di un’umanità sconvolta e travolta dall’odio. Ma per fortuna dell’umanità, discesi dal Campidoglio, noi possiamo salire ancora al Vaticano”.

Con semplicità di linguaggio e con abilità diplomatica, sottolinea quello spunto che poteva fermare la grande strage:

“E senza incarico, senza autorizzazione, ma anche senza presunzione alcuna, e per una colleganza spontanea e naturale colle fibre più intime del nostro popolo, io mi sono sentito l’interprete di tutte le nostre anime, specie di quelle che soffrono più crudelmente e l’ho detto al Vicario di Cristo, al Padre comune, a chi rappresenta nella sede apostolica il Principe della pace”.

Ecco l’articolo che poteva segnare una svolta nella storia dell’Europa raccontare le molte parole di conforto che gli disse il Papa, ripetere quanto Benedetto XV aveva già esternato attorno alla guerra nelle sue lettere e nelle sue encicliche, lo sforzo della diplomazia vaticana trasmesso in quelle sedi dei governi in guerra dove era andata smarrita la ragione.

Appunto Degasperi dopo aver suggerito al Pontefice di preparare il messaggio di pace, descrive Benedetto XV mentre s’accinge a scrivere quella supplica subito trasmessa alle cancellerie degli stati travolti dalla guerra, quella nota che li invitava a sedersi al tavolo della tregua. E sul giornale si legge:

“La figura del Papa, esile e bianca sullo sfondo damascato della sua biblioteca si agita nervosamente sotto il tormento di un desiderio vivissimo e si curva, sporgendo innanzi il viso attento, quasi a scrutare nelle tenebre d’Europa, lo spazio aperto che gli permette di levare alta la fiaccola trionfatrice della pace”.

Quelle frasi erano un invito a continuare sul tema pacifista e a seguire Benedetto XV, profeta inerme fra le grandi potenze in armi, l’uomo che definirà la guerra “inutile strage, flagello dell’ira di Dio, suicidio dell’Europa civile fatta ospedale ed ossario”: Il Papa stava per cominciare la sua campagna diplomatica nel nome della pace e per tenere il Regno d’Italia fuori dal conflitto.

 Non aveva dubbi Degasperi quando scriveva:

 “Benedetto XV è certamente il Papa che la Provvidenza ha messo a cavallo di due epoche. E quando lascerete Roma non vi sentirete più soli. Altre terre, altri templi potranno crollare, altri fari estinguersi per la violenza della bufera. Ma lassù in alto sfolgorerà ancora sul mondo umiliato il faro del Vaticano. Fortunati noi se la nostra generazione potrà ancora assistere al rinnovarsi di codesta vecchia Europa e al rifiorire di una nuova vita sulle rovine.”

Per l’uomo politico trentino è la figura del Pontefice a svettare sulle macerie dell’Europa in quel tardo autunno. Giacomo della Chiesa eletto il 3 settembre al soglio pontificio, nella sua prima enciclica “Ad beatissimi Apostolorum principis” resa pubblica il primo novembre, individua le cause della guerra nella scomparsa della saggezza cristiana dalle pratiche degli stati, condanna i nazionalismi, l’odio di razza nella convinzione che più che dai confini, i popoli sono divisi dai rancori. Il Pontefice non si limita alle enunciazioni dottrinali, ma mobilita la chiesa, fin dove è possibile, negli aiuti ai civili, ai prigionieri, ai feriti e la richiesta della tregua natalizia suggerita da Degasperi è probabilmente l’iniziativa più forte della prima fase del pontificato.

I Trentini sentirono parlare per la prima volta della “Tregua di Natale” il 18 dicembre con il lunghissimo articolo intitolato “La parola dell’amore”. Ecco, Degasperi non ha dubbi. In un’ Europa dove si era inutilmente parlato di fratellanza politica,

 “gli odii di razza sono portati al parossismo. Più che da confini, i popoli sono divisi da rancori. In seno ad una stessa nazione e fra le mura di una città ardono di livore le classi dei cittadini. L’enciclica Ad Beatissimis suggerisce all’umanità di amarsi vicendevolmente secondo la carità di Cristo. Questo sarà sempre il nostro obiettivo, l’impresa speciale del pontificato. E la proposta della tregua natalizia è una solenne manifestazione. Se fosse almeno celebrata con una sosta delle armi la festa in cui gli angeli congiunsero l’augurio di pace agli uomini di buona volontà con l’Osanna a Dio nell’alto dei cieli! Il tentativo fruttificherà. Il Papa con questa offerta nelle mani si presenta ai potenti”.

 Ecco si delinea la Tregua di Natale proposta dal giornalista trentino al Pontefice.

L’articolo non venne toccato dalla censura; a Vienna si era capito che la guerra era ben diversa rispetto a quelle combattute fino a quel momento. Più lunga. Più sanguinosa. Più costosa che coinvolgeva gli uomini al fronte, ma anche quanti erano lontanissimi dalla linea del fuoco. Si era pensato di finirla prima di Natale. Ci si era accorti che poteva durare anni. Adesso si sperava nella tregua, in un cessate il fuoco che poteva anche diventare pace.

C’è una data: il 24 dicembre del 1914, la vigilia del primo Natale di quella guerra scoppiata cinque mesi prima. Poteva essere il giorno della pace, ma c’è l’amarissimo articolo de “Il Trentino” intitolato “Natale 1914” ad infrangere la speranza.

 “Pareva che nella festa della pace e dell’Amore tutti dovessero smettere gli odii e ritornare ai propri focolari. La nostra generazione aveva sempre celebrato la ricorrenza attorno al ceppo ed all’idillio pastorale del presepio”. Invece la guerra continua feroce e la pace è sempre più lontana. Non c’è stata la tregua. Non c’è stata la pace e il 24 dicembre Degasperi scrive sfidando la censura e la possibile accusa di disfattismo: “Quando ci si è rovesciato addosso questo terribile uragano ed il corso normale della nostra vita venne spezzato dalla violenza della bufera, appena rimessi dal primo stordimento dicevamo tutti, pazienza, facciamoci coraggio, sarà per poco: al più tardi a Natale la guerra sarà finita. Invece la guerra non è ancora finita e la pace è lontana. Milioni di uomini stanno ancora nelle trincee e spiano il momento propizio per mandarsi l’un l’altro una palla omicida nel cuore, milioni di uomini guardano in faccia alla morte, come se il Redentore non fosse ancora nato. Migliaia dei nostri bravi soldati rinnovano ogni mattina – quando riprende il sibilo degli shrapnel e il martellare delle mitragliatrici – il sacrificio della loro giovane esistenza, migliaia giacciono negli ospedali dispersi e lontani, centinaia e centinaia agognano invano in mezzo ai geli della Siberia il sorriso del nostro cielo e della nostra patria e molti altri ancora sono morti in terra straniera senza l’ultimo saluto, senza l’ultima palata di terra di casa, senza l’ultimo requiem”.

“Che faremo noi quest’anno intorno a codesti deserti focolari del Natale, in cui il tizzone stesso pare faccia eco gemendo ai nostri lamenti e la fiamma va strisciando bassa e fumosa, quasi senta anch’essa l’incubo che pesa sugli animi?”

La censura ha tagliato solo una riga di quello che è un inno alla pace, una sfida “all’orribile tromba della guerra”, un articolo che riferendosi alle stelle “a cui guardano in questo momento i nostri cari pensando ai loro figlioletti, alle loro spose, alle loro mamme” spiega:

 “Ed oggi, a Natale dell’insanguinato 1914, ci pare di comprendere più che mai il misterioso linguaggio… e mentre un mondo di artifici, di menzogne e di odio ci crolla d’attorno, noi sentiamo che la loro luce fatta più vicina, risplende su di noi, divenuti più poveri e più umili, come sul nudo paesaggio di Betlemme. Il Papa aveva proposto una tregua, ma alcuni potenti della terra non l’hanno voluta”.

“Quando volgerai al tuo mezzo, o notte di Natale, noi tutti guarderemo alle tue stelle vivide che splendono sulle trincee come sui focolari, sugli ospedali e sulla poca terra di sepoltura e sentiremo rinnovarsi in noi indissolubile il vincolo dell’amore che ci lega ai nostri cari. Poi il nostro palpito si allargherà ancora più, comprendendo tutti gli uomini, anche quelli che si chiamano nemici”.

E’ dicembre. Sul Trentino si è abbattuta una bufera di vento e neve. Gelo in Galizia, tormente sui Carpazi dove i rifornimenti arrivano a fatica e si muore assiderati perché di notte il termometro scende a 35 gradi sotto lo zero e dove si è persa la speranza di una guerra breve. Il giornale “il Trentino” dà molto spazio alla “Tregua di Dio” perché in attesa del Natale, il Papa ha disposto dei sondaggi nella speranza di concludere almeno una sospensione dei combattimenti. Sul giornale, Degasperi non nasconde la convinzione che la tregua di Natale potrà sfociare nella pace mentre in tutta Europa la “Treve de Dieu” rafforza il pensiero pacifista.

Le voci di pace sono raccolte anche dal “Ruskoie Slovo”. Sul giornale russo si legge: “La guerra contro la Germania e l’ Austria ha per la Russia scarso interesse. La Russia vorrebbe approfittare del primo momento favorevole per concludere una pace onorevole contemporaneamente alla Francia e alla Serbia. Soltanto per l’ Inghilterra la prosecuzione della guerra è questione vitale”.

Era l’alba del 24 dicembre e sulle Fiandre era cessata la pioggia che mista a neve cadeva da giorni. Il freddo era intenso e nelle trincee, fango, ghiaccio, pulci, cimici, pidocchi, granate, dissenteria, topi grossi come gatti, migliaia di corpi insepolti, assalti alla baionetta, filo spinato, le mitragliatrici, i bombardamenti “tambureggianti”, avevano creato l’inferno.

La leggenda racconta che sul parapetto di una trincea tedesca si vide brillare una candela, poi un’altra e un’altra ancora. Dall’altra parte dei reticolati gli inglesi pensano che quelle luci servono per inquadrare i tiri delle artiglierie, ma invece degli inni di battaglia scanditi dalle trombe, come accadeva prima di ogni attacco, si ode un canto lieve e melanconico che pare salire verso il cielo, quell’inconfondibile “Stille Nacht” che si canta ad ogni Natale. Prima una voce sola, poi cantato con forza da tutta la compagnia che presidia un tratto di trincea. Gli inglesi rispondono con un “merry Christmas”, un soldato inglese viene fuori dalla trincea disarmato e con le mani in alto. Anche un fante germanico si leva in piedi, scavalca il parapetto, cammina lento fra i reticolati. Anche lui è disarmato.

 E’ la tregua di Natale. Nella notte, dall’una e dall’altra trincea si era gridato di non sparare e il cielo era stato solcato dai razzi illuminanti che, cadendo appesi ai paracadute, sembrano tante stelle di Betlemme.

I soldati di un reggimento di fanteria della Vesfalia si sono procurati alcuni piccoli abeti e li hanno adornati con candele, poi li hanno issati sui parapetti delle trincee mentre centinaia di uomini intonano gli antichi canti del Natale tedesco. E’ il miracolo del fronte occidentale, il miracolo del Natale raccontato, senza la mano della censura, da “il Trentino” che aveva ripreso la lettera di un soldato inglese pubblicata su un giornale di Londra.

“Alla vigilia di Natale i tedeschi pensavano alla festa dell’indomani e ci gridarono di non sparare fino a Capodanno. Poiché tutto era calmo, uscimmo fuori dalle trincee e ci mettemmo a passeggiare su e giù, giocando anche una partita di football. Quando fummo stanchi di quel gioco oltrepassammo le nostre linee dirigendoci verso i tedeschi… anche i tedeschi facevano come noi. Essi dovevano essere senza dubbio inermi e così ci siamo avvicinati loro tanto, che cinque di noi e cinque di essi si incontrarono e si misero a chiacchierare. Quasi tutti i tedeschi parlavano inglese e molti inglesi parlavano tedesco”.

I soldati si scambiarono sigarette, tabacco, conserva, marmellata, scatolette di carne. “Dopo il rancio, quasi tutti i nostri soldati uscirono dalle trincee e trovammo che anche i tedeschi si erano avanzati in grande numero. Ne risultò una folla enorme di uomini che si scambiavano sigarette e piccoli doni, che insieme seppellivano i corpi nelle fosse che tutti scavavano. Alcuni ufficiali presero delle fotografie mentre noi stavamo seduti sul terreno” e quelle immagini testimoniano le ore straordinarie dell’unica tregua che vi fu sul fronte dell’Ovest.

Sul fronte occidentale le macchine fotografiche hanno fissato i volti dei soldati della tregua di Natale. Visi severi ma sereni, giovani uomini intabarrati, i tedeschi con il loro elmetto chiodato, la sigaretta fra le labbra, il bricco del caffè in mano. Tutti sono disarmati, tedeschi e inglesi sono uno accanto all’altro per la più classica delle immagini: la foto di gruppo, una massa di uomini che ha deposto le armi, che crede e vuole la tregua, persone che invece di scannarsi, si scambiano doni.

In attesa del Natale, nel Regno Unito si era raccolta una somma enorme che aveva permesso di preparare oltre 350 mila scatolette d’ottone finemente decorate nelle quali si misero i regali: sigarette, sigari, un accendino, tabacco, dolci, cioccolato, una fotografia della giovane principessa Mary e un biglietto d’auguri scritto dal re con la frase: “Che Dio vi protetta e vi riporti a casa sani e salvi”. Un felice quanto improbabile augurio: fino a quel momento gli inglesi caduti sul campo di battaglia erano quasi 200 mila. Poi in prima linea arrivarono altri pacchi: biscotti, jam, marmellata, sardine, beef cubes, il Christmas pudding e sapone. Ecco, quei doni vengono consegnati ai tedeschi che ricambiano con salciccia, pipe, piccoli fornelletti da campo che funzionano con tavolette di resina e petrolio, pile tascabili e barattoli di miele.

Tutti i soldati avevano lasciato le trincee, quei budelli scavati nella terra che venivano abbandonati solo negli assalti notturni e si trovavano nella terra di nessuno, tedeschi e inglesi a camminare assieme e attorno ai corpi dei caduti che giacciono lì, da settimane, sui quali la brina sembra stendere un bianco lenzuolo, i militi destinati a restare ignoti per l’eternità e che, secondo la tradizione, solo Dio conosce per nome.

In quella notte di Natale, nelle trincee delle Fiandre dove non era arrivato l’appello di Papa Benedetto XV, era accaduto qualche cosa di veramente diverso. La tregua era a portata di mano perché era voluta dal popolo in armi, da uomini che insieme stavano seppellendo centinaia di corpi, i loro commilitoni morti inutilmente. Nelle retrovie i generali informati di quanto stava accadendo, gridarono al tradimento, invocarono fucilazioni immediate, corti marziali. Ma conoscevano l’appello del Pontefice, erano incerti, attendevano istruzioni dai rispettivi governi. Che tardavano ad arrivare. La voce del Pontefice era forte, i vertici politici avevano capito l’immensità del disastro, i costi dell’industria, la tragedia delle carneficine. Tentennavano, forse erano pronti alla tregua ma i generali dicevano di avere nelle casseforti piani per la battaglia necessaria per la vittoria finale e alla fine prevale la guerra.

Sul fronte delle Fiandre i soldati inglesi e tedeschi vennero richiamati brutalmente nelle loro linee, minacciati di venire sterminati dalle artiglierie pronte a sparare sulla terra di nessuno e sulle proprie trincee. I soldati vennero trasferiti ad altri reparti, ingoiati nella massa di eserciti sterminati.

Un anelito di pace, l’ultimo, arriva dalle pagine de “il Trentino”. In Galizia 247 soldati tutti trentini hanno scritto una lettera pubblica dal giornale. Applaudono le parole di Benedetto XV, soprattutto quel “bisogna amare tutti gli uomini come Gesù Cristo insegnò e fece senza distinzioni né di lingua né di classe sociale, nel vero vincolo della fraternità”. E’ una lettera breve; sono le firme che la rendono lunghissima. Sono i soldati trentini devoti alla Chiesa e fedeli all’Imperatore che lanciano il loro appello. Non possono essere né processati, né fucilati, neppure puniti. Nell’inverno della Galizia, di fronte alla massa dei russi che attaccano senza posa, serve ogni uomo, ogni fucile e a Trento, l’autorità militare non può prendersela con Degasperi perché lui ha raccolto la parola del Pontefice che in Austria era sacra. In verità, per gli strateghi, una tregua sarebbe stata utile per riordinare le file dell’esercito, decimate sia sul fronte russo che su quello serbo. Ma nessun generale osava dirlo apertamente.

Sul giornale di Degasperi le forbici della censura cancellarono il commento alla lettera firmata dai 247 trentini che dalle trincee della Galizia invocavano la pace. Le cancellerie si limitarono a garantire al Pontefice il rimpatrio di quei prigionieri così mutilati da essere inutili alle armi e dei malati di tubercolosi e la guerra riprese più violenta di prima; i soldati che avevano firmato la lettera nella speranza della pace, vennero disseminati in altre zone del fronte e così l’ idea della tregua sparì. Era l’alba del 1915. L’inutile strage continuava.

Firmato: Luigi Sardi

Che dire? Bravo Luigi, bravo! E noi, oggi … oggi siamo di nuovo in guerra, in una guerra “a rate, a capitoli” come l’ha definita Papa Francesco, in una guerra nella quale si uccide soprattutto e prima chi non la pensa come te, poi – se avanza tempo – il soldato “nemico”. In una guerra nella quale si uccide con la fame, le malattie, la deforestazione, gli investimenti in armamenti, le inaccettabili disuguaglianze sociali, le gigantesche accumulazioni di ricchezza, le speculazioni finanziarie per accumulare miliardi e  miliardi con i quali poi comperare … cosa? Il nulla rimasto.