NADIA TINTA DI ARIA

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 10 Maggio, 2015 @ 5:50 am

Detto altrimenti: quando un libro e un’autrice piacciono, appassionano, “catturano” …  (post 2045)

thDIKNM7HV“Io tinta di aria” è l’anagramma del suo nome, del nome di Nadia, Nadia Ioriatti.  Amica di famiglia da poco tempo, come se lo fosse da sempre. Nadia scrive. Scrive su QT-Questo Trentino, scrive racconti, scrive libri. Uno di questi ha già trovato ospitalità sul mio blog, in occasione della sua presentazione da parte di Don Marcello Farina (V. post del 5 e 28 febbraio e del 5 marzo). Al riguardo, senza nulla togliere a quello di Nadia, mi permetto di dire che da quel momento, le letture assolutamente da non perdere sono due: il libro di Nadia ed il commento di Marcello (riportato integralmente in uno dei miei post).

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La Nadia "raccontata"

La Nadia “raccontata”

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Ma tant’è … ora “siamo reclamati” da altre sedi per altre presentazioni … Dico siamo perché Nadia è “nostra” amica, “una di noi”, e noi siamo “orgogliosamente sui amici”. Nadia, fonte di una umanità e di una spiritualità difficile da raccontare – come ha scritto Marcello – ha presenziato, venerdì scorso, ad una ulteriore presentazione del suo libro, fatta da Maria Teresa (per le lettrici che non mi conoscono di persona, da Maria Teresa Perasso, mia moglie).

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Ci ha accolti la Biblioteca Comunale, presso la Sala G.M. Spaur nell’omonimo palazzo in Piazza delle Erbe a Mezzolombardo, il saluto della bibliotecaria Nadia (omonima di Nadia) e di un Assessore uscente candidata sindaco (ne ometto il nome per legge, perché oggi che scrivo … si vota!). Prima di riportare l’intervento di maria Teresa, vi segnalo le prossime presentazioni del libro di Nadia:

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19 maggio 2015, ore 20,30 – Lavis, (probabilmente presso la) Biblioteca Comunale, presenta Don Marcello Farina.

20 maggio 2015, ore 20,00 (aperitivo) ed ore 20,30, Vezzano, Foyer del Teatro Valle dei laghi, presenta Maria Teresa Perasso.

Premessa importante: la relazione di Maria Teresa è stata impreziosita da numerosi interventi “in diretta” di Nadia, parole spontanee e quindi ancora più belle, le quali ci hanno mostrato come la sua “bella scrittura” sia  lo specchio autentico della sua bella interiorità. Parole le sue che io ho registrato, devo solo trovare il tempo di sbobinarle …

Ed ecco stralci della presentazione di Maria Teresa. Scrivo “stralci” a bella posta, in quanto in teoria dovrei riportare anche i brani letti estratti di volta in volta dal libro. Non lo faccio per solleticare il vostro interesse a procurarvi il libro!

Inizia

MezzNadia Ioriatti è trentina, ha due figli ed ha lavorato 35 anni in Provincia come funzionario amministrativo occupandosi di argomenti assai “freddi” rispetto alla sua sensibilità. Grande lettrice, è anche scrittrice e collabora da dieci anni alla rivista Questo Trentino con racconti mensili. Molte persone, apprezzando le sue pagine, l’hanno esortata e convinta a pubblicare questo libro Io, tinta di aria che è uscito nel novembre 2013 ed è stato ristampato nei primi mesi di quest’anno perché esaurito e tuttora molto richiesto. È un libro così bello, che il sacerdote filosofo don Marcello Farina – che molti di voi sicuramente conoscono – nel presentarlo ha detto testualmente di non essere “all’altezza di percepire tutta la ricchezza in esso contenuta”! Il volume porta una preziosa prefazione di Piergiorgio Cattani ed ha avuto diverse lusinghiere recensioni su Questo Trentino e su quotidiani locali.

Oggi ve ne parlerò io che mi chiamo Maria Teresa Perasso, sono un’insegnante di lettere ormai in pensione, ma soprattutto mi considero un’amica di Nadia.

IO, TINTA DI ARIA è un libro così bello, che si legge volentieri e si ha voglia di rileggerlo. Del resto, la struttura scandita in brevi racconti ne facilita lettura e rilettura. Sono infatti 30 racconti – che don Farina ha definito corsivi esistenziali – legati dal filo dell’autobiografia (ma non solo, come vedremo) che ricostruiscono la vita di Nadia con le sue esperienze intense, soprattutto per la difficile prova della malattia, come avete sentito all’inizio e diremo ancora. Troviamo riferimenti all’infanzia, con gli affetti più cari tra i quali spicca il padre, all’adolescenza e via via fino al passato più recente.

Maria T. e NadiaQuello che caratterizza molto questo libro e lo rende così bello ed avvincente è di certo il contenuto, ossia lo svolgersi degli avvenimenti raccontati pagina per pagina (vicende anche dure, temi anche forti), e parallelamente il linguaggio che Nadia usa. Voglio dire che ci troviamo frequentemente davanti ad espressioni assai originali, che colpiscono al pari dei fatti narrati e che non raramente arrivano ad essere poetiche. Quindi chi si immerge in queste pagine viene catturato dal racconto degli avvenimenti e nello stesso tempo rimane colpito dalla ricchezza linguistica, dalle personalissime immagini espressive di cui la narrazione è nutrita.

Provo a fare qualche esempio…

  • In Premaman leggiamo…(p. 53): qui il classico vestito premaman è visto con la metafora del chador, immagine di chiusura e di oppressione di fronte a cui i liberi pancioni rotondi esprimono libertà e gioia.
  • In Giardino d’inverno troviamo una bellissima immagine… (p. 74): trovo molto bella e soprattutto spiritosa la metafora della digestione.
  • E c’è un momento molto intenso a Villa Rosa, che Nadia frequenta per fisioterapia. Dice di se stessa che si è indurita per non far traboccare l’emotività. Ma ad un certo punto… ( p. 88). Ancora una bella metafora: la diga che si rompe perché c’è una forza grandissima che la fa crollare.

In questo bellissimo libro prevalentemente autobiografico il discorso spesso si allarga, va al di là della vita vissuta da Nadia in prima persona e allora troviamo anche momenti corali, soprattutto quando Nadia parla della casa in cui viveva da bambina. Qui il discorso si allarga davvero e quella strada in cui la sua casa si trovava, che è via Chini a Trento, diventa il simbolo di un confine tra due mondi diversi: da una parte la zona residenziale borghese, dall’altra quella operaia. Nadia, abitando su questo confine, ha conosciuto presto i contrasti e le ipocrisie che le differenze generavano.

Sia in riferimento a questo contesto, sia a proposito di altro, in queste pagine troviamo pennellate efficaci che svelano la variegata realtà intorno alla vita dell’autrice e di conseguenza i pensieri e le riflessioni che dalla realtà vissuta ella ricava. Trovo molto bello un breve brano che parla semplicemente di finestre e biancheria stesa, ma che Nadia con la sua sensibilità prende a spunto per una serie di osservazioni molto azzeccate ed anche “gustose” (p. 83). A volte in queste pagine si arriva persino a considerazioni che hanno un valore universale, ossia che sono valide per tutti, in ogni tempo e in ogni luogo. A questo proposito dico subito che, anche al di là dell’autobiografia, l’autrice ci regala talora alcuni camméi e ne è un esempio la figura di Carletto, il famèi, ossia il famiglio, il servo di casa. Era una figura tipica della società contadina fino alla prima metà del ‘900. Carletto è un personaggio mite, buono, struggente, che si ammala invecchiando nella casa dei “padroni” amato come un figlio e cha dà l’occasione a Nadia per dire che non contano solo i legami di sangue nella vita: questa è un’affermazione di valore universale, come dicevo prima.

Della sua infanzia Nadia rivela molte cose belle, a partire dal suo nome: Nadia appunto, che deriva dal russo Nadezhda e significa speranza, ovvero “Nadia”.

Biblioteca MezzolombardoDel suo vissuto di bambina ricorda intensamente il padre Aldo, che ha un posto importantissimo nella sua vita e nel suo cuore. Al padre è dedicato interamente il racconto Croci, in cui veniamo a sapere che egli fu internato a Mauthausen. Tornò così mal ridotto che i familiari non lo riconobbero finché non parlò, con una ferita di 10 cm alla caviglia che si vedeva bene, mentre… “quelle dell’anima non si vedevano”, dice Nadia e aggiunge “ucciso dentro, perché non si può mai sfuggire a un campo di sterminio”, anche se si ha la fortuna di tornare a casa (p. 29 e 31). In molti altri racconti la figura del padre torna, riemerge, continua ad essere una presenza intensa per Nadia, che da piccolina si addormentava… sentite come (p. 75): “Mi prendeva in braccio, appoggiavo la testa sulla sua spalla, lui lentamente contava uno… due… al tre già dormivo. Sono certa di non essermi mai più sentita così: abbandonata ma protetta”. Un amore grandissimo dunque, tanto che dopo la sua morte i ricordi legati a lui (p. 76) “…fanno ancora un gran male. Un dolore naturale e buono che non voglio passi o si diluisca con il tempo”.

Tornando all’infanzia e poi all’adolescenza Nadia ci racconta di incertezze, insicurezze, sensi di colpa … anche talora per atteggiamenti e parole da parte degli adulti– insegnanti compresi! – (tranne il papà) … atteggiamenti che oggi farebbero inorridire non solo gli esperti di pedagogia, ma qualunque persona di buon senso. Ma Nadia ci racconta tutto così bene e troviamo episodi che strappano persino il sorriso:

  • 17 la confessione
  • 26 il disegno
  • 38 il mancato invito alla festa
  • 40 lavare i piatti
  • 45 ginocchia da calciatore “ci sono cose che nell’adolescenza lasciano un segno dal quale non ci si rialza più” (= valore universale)

La giovinezza è presto contrassegnata dal matrimonio, di cui Nadia parla definendolo matrimonio mosso… non solo per il mare agitato in viaggio di nozze… Ma pur nelle difficoltà affrontate, sono stupende, come tutto del resto, le pagine dedicate alla nascita dei figli: un maschietto, seguito pochi anni dopo da una bimba, amatissimi.

IMG_3094E poi… arriva la malattia! La malattia che si è fatta presto sentire ma non presto riconoscere, per cui è passato … (p. 62) un lustro di sospetti, false diagnosi, pareri contrastanti, esami innocui, altri dolorosissimi che vissi come sospesa… intanto facevo la superdonna: figli, lavoro in Provincia, casa da gestire e nessun ascolto del mio corpo, alle sue grida di gabbiano mutilato. Questo è un momento intenso, intensissimo e Nadia ce lo racconta in tutta la sua durezza, ma anche con queste parole così belle, poetiche, quando dice …il mio corpo, le sue grida di gabbiano mutilato. È una metafora intensa e molto bella, qui c’è davvero poesia, come in molti altri passaggi di questo libro che, non mi stancherò mai di dirlo, è stupendo anche per le parole che Nadia sceglie di usare.

Dunque attesa, sospensione… finché si arriva ad una data precisa: otto marzo! Anche qui, nel dramma durissimo che ormai sta per rivelarsi, Nadia ci accompagna con espressioni intense e poetiche: “Quel mattino Milano svela un intimo grigio antracite e autoreggenti che fasciano l’aria”. È un paesaggio-stato d’animo: il grigiore della città accompagna la tensione di chi va da un medico importante per sentire la diagnosi. È un grigiore che pare preannunciare la notizia forte che Nadia riceverà quel giorno (p. 64). Dunque, la sentenza è inappellabile, la vita cambia, tutto appare da un punto di vista diverso. E Nadia ne parla, lascia che noi lettori entriamo e sappiamo, capiamo, vediamo come lei si pone di fronte a questa realtà ormai definita, senza più dubbi.

MezzolÈ sorprendente (e lo dice anche Cattani nella prefazione) il realismo di Nadia, che ci racconta i fatti esattamente come sono e non tralascia nulla, nemmeno la sua rabbia quando esprime con chiarezza quello che ha dentro e lo fa senza vittimismo, perché quello sarebbe un atteggiamento di chi come vittima si abbandona, si lascia andare. No, qui c’è assolutamente una reazione forte, senza mezzi termini, con parole esplicite: (p. 90) “Sicuramente non sono degna di rientrare fra i tanti eroi delle malattie degenerative… andate a quel paese tutti voi alla ricerca di esempi e di eroi. Trovatevelo altrove un eroe, ho già dato abbastanza… rivendico il diritto al lamento”.

Sono davvero tante le osservazioni che si possono fare su questo bel libro e penso che chi di voi lo leggerà potrà assaporare, a seconda della propria sensibilità, un aspetto o l’altro. Non volendo leggere troppi altri passi per non togliere il piacere della scoperta (ma il libro è una miniera, più si legge e più si trova), mi limito a citare alcuni degli argomenti importanti, dove si trovano espressi quei valori universali di cui ho già detto e che vanno dai temi che possono apparire spiccioli, come può essere quello dell’enurèsi notturna dei bambini, ad altri che appartengono a sfere più impegnative: la Giornata della memoria, il tempo, che è indispensabile per sanare ferite, allontanare ricordi amari, cristallizzare i dolori ed estrarne saggezza, lentezza e nuovo Rinascimento che liberi le persone dal ruolo passivo nella crescita economica (anche a questo proposito Nadia si riferisce al padre, che camminava con passo lento, piano e sicuro tra i boschi).

Non mancano in questo libro momenti che, pur legati al dramma, sono connotati da pensieri positivi, addirittura a volte da ottimismo, o anche autoironia ed umorismo: segni di grande intelligenza, di mentalità comunque positiva, di rifiuto di lasciarsi andare al vittimismo, come dicevamo prima.

Ad esempio una notte di mezza estate, quando tutto il parentado era in vacanza, Nadia viene assalita da nausea, oppressione sul petto, difficoltà di respiro. Forse inconsciamente vuole fare prove generali di soccorso, perché – dice lei con un’immagine bellissima e ancora una volta poetica – la solitudine estiva passa attraverso porte disabitate, s’insinua tra gli spazi vuoti. E arriva un medico… ( p. 81).

Nadia si dichiara agnostica, ma si trova a fare un viaggio a Lourdes e ne trae un’esperienza spirituale intensa… (p. 97).

Mi piace chiudere con una frase che pure è a conclusione di uno di questi corsivi esistenziali, in cui Nadia parla del suo essere arrivata sempre troppo presto o troppo tardi agli appuntamenti del destino… (p. 68).

Finisce

Ed io … che altro dire se non “leggete questo libro”? Leggerlo è come ricevere un grande dono: una iniezione di umanità e anche, sia pure “a insaputa dell’autrice” , di profondissima spiritualità.

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