CATULLO

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 19 Aprile, 2016 @ 12:52 pm

Detto altrimenti: a scuola di classici da Maria Lia Guardini, la nostra “Prof senza puntino”, presso la Biblioteca Comunale di Trento   (post 2347)

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Catullo, chi era costui? Nato a Verona intorno al 85 a. C., crebbe fra la Valle dell’Adige e il Garda (di formazione, quindi, anche un po’ trentino-gardesano!). I suoi erano ricchi e amici di Cesare che durante la campagna di Gallia andava a svernare a casa loro. La sua fu una vita da bohèmienne. Casa a Roma, villa a Sirmione. Un grande amore: Lesbia (in realtà, Claudia). Lesbia non era una prostituta, ma una tizia che faceva innamorare di se’ molti, che faceva perdere la testa a molti, soprattutto a Catullo che ne risulta innamorato come un ragazzino sa fare alle prime cotte.

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Catullo, il primo poeta per il quale la pratica della letteratura diventa una esperienza soggettiva e personale (prima di lui la letteratura era “solo” educativa, formativa). Ad esempio,quando tratta dei valori fondamentali del matrimonio fides, pietas, castità (della donna!), li rielabora e li interiorizza. Esalta la differenza fra l’amore fisico e il “volersi bene”. Il suo è uno dei “tempi” dell’amore greco: Omero, Saffo, Catullo.

Alla stessa età di poco più di 30 anni, Orazio era un uomo maturo, Catullo un ragazzino assolutamente trasparente ed innamoratissimo di Lesbia. La sua poesia è “interiorizzata”, come i valori della civiltà della sua epoca. Scrive della famiglia, dei suoi amori, dell’amore, dell’amore per Lesbia. Muore giovane a 33 anni. Io, da velista gardesano, amo riportarvi una sua poesia, quella famosissima, su Sirmione (carme 31):

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Come seconda casa al lago, mica male …

Paene insularum, Sirmio, insularumque

ocelle, quascumque in liquentibus stagnis

marique vasto fert uterque Neptunus,

quam te libenter quamque laetus inviso,

vix mi ipse credens Thyniam atque Bithynos

liquisse campos et videre te in tuto.

O quid solutis est beatius curis,

cum mens onus reponit, ac peregrino

labore fessi venimus larem ad nostrum,

desideratoque acquiescimus lecto?

hoc est quod unum est pro laboribus tantis.

salve, o venusta Sirmio, atque ero gaude

gaudente, vosque, o Lydiae lacus undae,

ridete quidquid est domi cachinnorum.

Sirmione, perla delle penisole e delle isole,

di tutte quante, sulla distesa di un lago trasparehnte o del mare

senza confini, offre Nettuno delle acque dolci e salate,

con quale piacere, con quale gioia torno a rivederti!

A stento mi persuado d’avere lasciato la Tinia e le contrade della Bitinia,

e di poterti guadare con sicura pace.

Ma c’è cosa più felice dell’essersi liberato degli affanni,

quando la mente depone il fardello e stanchi

di un viaggio in regioni straniere siamo tornati al nostro focolare

e ci stendiamo nel letto desiderato?

Questa, in cambio di tante fatiche, è l’unica soddisfazione.

Salve, amabile Sirmione, festeggia il padrone

festoso, e voi festeggiando, onde del lago di Lidia, voglio da voi uno scroscio di risate, di tutte le risate che avete.

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Foto oggi collocata ai piedi del mio letto …

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Vi chiederete perché ho usato il grassetto in alcuni passi. Perché sono quelli che ho sempre amato e ricordato: perdonatemi quindi questa debolezza. Infatti sono i versi che mi sono venuti alla mente quando stavo per iniziare una traversata mediterranea in notturna sulla mia barchetta a vela da regata (non abilitata a tali navigazioni!) e pensavo sì alla bellezza del viaggio, ma anche alla pace che avrei avuto dopo che avessi finito la traversata senza incontrare venti di tempesta.

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Un altro passaggio famoso è il carme 85, di sole due righe:

Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris. / Nescio, sed fieri sentio et excrucior.

Odio e amo. Forse mi chiedi come io faccia. / Non so, ma sento che questo mi accade: è la mia croce.

Odi et amo, espressione entrata nel lessico dei nostri tempi. Una nota su quel “excrucior”. Al tempo di Catullo non esistevano ancora i verbi riflessivi, che ci consentirebbero di tradurre meglio quel passivo “sono crocifisso” con un “mi crocifiggo io stesso”. L’espressione “è la mia croce” rende l’idea, ma non il fatto che è lui stesso che si mette in croce.

Parole … Catullo talvolta utilizza quelle usate dal popolo. Ad esempio per dire “bella” (contrario di brutta) usa il termine latino “bella” e non “pulchra”. Ma questi sono dettagli.

Della vita pubblica, Catullo disprezza ed evita la politica. Il suo modello è l’opposto dell’Enea virgiliano, tutto dedito alla patria. Critica fortemente Cicerone (“disertissimus” nipote di Romolo, ovvero arido campagnolo) e a seguito di sue probabili rimostranze, rafforza ironicamente la dose con quanto segue: “Ma come? Ti offendi per quanto scrive contro di te il più misero dei poeti, tanto più misero io quanto più tu sei grande?” In realtà, confermando il suo giudizio negativo su Cicerone, a contrario esaltava se stesso, ovvero. “Poichè in realtà io ti reputo infimo, parallelamente cresce il mio valore”.

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Catullo, mille altre cose da dire, ma questo mio, si sa, è solo un post … ah … dimenticavo: gli hanno dedicato un aeroporto, quello di Verona! Prossimo appuntamento: martedì 3 maggio, ore 10,00 presso la Biblioteca Comunale di Trento, primo piano, aula a fianco della sala degli Affreschi.

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