SIMBOLI AL POTERE O POTERE SUI SIMBOLI?

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 6 Novembre, 2016 @ 7:48 am

Detto altrimenti: il simbolo, da bene individuale a bene collettivo           (post 2511)

imagesIl simbolo: un’idea, una bandiera, un nome di una associazione, di un partito politico … è un po’ come una poesia: non appartiene a chi l’ha scritta, ma a tutti coloro che la leggono. Questo vale anche per un libro: esso nasce quando viene letto, non quando viene “semplicemente” scritto. Ogni simbolo riunisce tutti coloro che vi si riconoscono: i sostenitori della stessa squadra di calcio, i lettori dello stesso libro, gli associati alla stessa Associazione musicale, gli ex allievi della stessa Università, etc.. Infatti tutti costoro si sentono uniti dal simbolo, se ne sentono comproprietari. Simbolo come elemento di unione, quindi. Simbolo al potere, il “potere di riunire” chi vi si riconosce.

Lo stesso vale per un partito politico simboleggiato da una sigla, un’idea, un modo di raccogliere e fare sintesi delle istanze dei titolari della democrazia: i cittadini, fonte di ogni politica.

Ma … quale è la “durata”, la “vita” di ogni simbolo come elemento di unione? Esso può cessare di esistere per morte naturale, ad esempio per sua mancata utilizzazione: gli ex universitari di cui sopra di fatto smettono di incontrarsi, il libro di essere letto. In questo caso possiamo parlare di estinzione naturale. Tuttavia esiste anche l’ “uccisione” del simbolo, che avviene attraverso la sua sostanziale trasformazione da elemento di unione in fattore di divisione e di guerra. Ciò accade quando qualcuno – fosse anche il suo ideatore e creatore – vuole impadronirsi in modo esclusivo di un bene – il simbolo appunto – che ormai è comune a molte persone. Ecco, in questo caso, il “potere sul simbolo” genera una ribellione da parte di chi si sente ingiustamente derubato di un valore che ormai era anche suo. Ed è la divisione, la guerra fra i vecchi comproprietari ed il nuovo unico suo “rapinatore”.

images-1Vi è poi la “variante aziendale del simbolo”. Prendiamo una SpA. Il capo coinvolge, informa i collaboratori (che non chiama dipendenti), ne cura la formazione professionale e la crescita, attribuisce loro potere e responsabilità, li rende consapevoli del funzionamento complessivo della società. In una parola: li motiva, in quanto ogni collaboratore sente la società in cui lavora come cosa propria. Ciò rende più forte la società e ne garantisce la vita anche se e quando quel capo, un vero capo, dovesse venire a mancare. Al contrario un altro “capo” azienda (scrivo “capo” virgolettato, perché vero capo costui non è) non motiva i propri “dipendenti” (… v. sopra), non si preoccupa della propria successione: dopo di me il diluvio, mi sono reso indispensabile. I “dipendenti” vivono male questa situazione, la società è a rischio, ricattata da quel “capo” che la vuole fare “tutta e solo di sua proprietà”. Ed ecco la rapina, la frattura, la divisione fra quel “capo” e tutti gli altri.

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Variante musicale. Proviamo ad immaginare un Mozart, un Piovani, un Piazzolla, i quali, dopo avere composto le loro meraviglie musicali e dopo che le stesse siano state più volte rappresentate pubblicamente, improvvisamente decidessero che le loro ulteriori esecuzioni avrebbero dovuto essere riservate solo a loro stessi e a pochi intimi. Ne sarebbe derivata la sollevazione di tutti coloro che si sarebbero sentiti privati di un bene che ormai consideravano anche proprio: la loro contrapposizione ai “rapinatori del simbolo”.

Buona Musica a tutte e a tutti! E buoni simboli, s’intende!

P.S. lessico familiare, della famiglia delle mie lettrici e dei miei lettori: bene individuale, quello che appartiene ad una sola persona. Bene collettivo, pubblico, quello che appartiene a molte persone, alla collettività. Bene Comune, quello “costruito”, “realizzato” con il contributo di tutti. Ecco, l’evoluzione della specie dei simboli: da bene individuale a bene collettivo a Bene Comune. La loro regressione? Da Bene Comune a proprietà privata.

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