UNA STORIA VERA

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 17 Dicembre, 2017 @ 8:04 am

Detto altrimenti: “Carmelina”       (post 2968)

Questo è un POSTALTRUI, ovvero non è farina del mio sacco, bensì farina che ho letteralmente estorto all’autrice. Un racconto leggero ma. Ma cosa, direte voi …? Ma non tanto leggero, se lo si sa leggere. E poi c’è la neve, che se non fosse per quella citazione del mese di febbraio avrei potuto “vendervelo” come racconto di Natale, ma vabbè, fa lo stesso, va bene così … fa istess, va bin parei … visto che la storia si svolge in Piemonte!

Inizia

“E’ vero che la bellezza di una persona può favorire il suo successo in molte circostanze della vita? E se è vero, è giusto che sia così?”  Era questo il tema di un dibattito semiserio che ricordo di aver ascoltato tempo fa alla radio, durante una mattinata trascorsa in casa, mentre ero occupata in attività di non forte impegno cerebrale. A quella domanda mi ero data una mia risposta: sì, è vero ed è anche giusto, a patto però di intendere la bellezza non tanto come quella qualità che viene solo dalla natura, perché allora ben pochi (solo i nati belli) avrebbero buona sorte. Piuttosto, mi pareva che fosse importante avere cura di sé, del proprio aspetto, anche dal punto di vista estetico, così da suscitare in se stessi e negli altri una sensazione di gradevolezza. Ne ero proprio convinta, cercavo di metterlo in pratica e ci pensavo spesso, specie quando mi trovavo a trattare con chi, a mio parere, non dedicava sufficiente attenzione alla propria persona.

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Cesana Torinese e, laggiù, il Passo del Monginevro

Mi trovai a pensarci anche quel martedì di Febbraio in cui, sotto un cielo ed un sole limpidissimi, nella piazza del paese di montagna vestito di neve abbagliante, aspettavo la corriera delle tredici. Con quella avrei raggiunto la stazione ferroviaria che distava dieci chilometri ed avrei poi proseguito in treno per Milano. Accanto a me c’era una donna del luogo, che conoscevo appena di vista e sapevo chiamarsi Carmelina. Avrà avuto circa sessant’anni, ma forse cinquanta o anche meno: chi poteva dirlo? Era brutta, proprio brutta: un po’ gobba, il viso paonazzo per le troppe giornate trascorse a lavorare all’aperto e al freddo, le grosse labbra screpolate, gli occhi piccolissimi che appena si indovinavano sotto un paio di rozzi e sporchi occhiali a lenti spesse e scure. In testa portava un consunto fazzoletto di lana annodato senza alcuna grazia sotto il mento. Era avvolta in un cappottone grigio informe, troppo corto sulla gonna scura che pendeva dietro. Portava spesse calze grigie e grosse scarpe in cui aveva camminato per troppi inverni.

Certo, pensai, Carmelina purtroppo non aveva mai potuto neppure porsi il problema della bellezza! Il suo aspetto denunciava una vita fatta di fatiche, in cui non c’era spazio per certe considerazioni… La corriera tardava. Anche lei, mi disse la donna, avrebbe dovuto viaggiare sul mio stesso treno per andare a far visita ad una nipote che abitava in città. Aggiunse poi, preoccupata e piuttosto innervosita, che nei giorni lontani dalle festività l’autista, se non prevedeva clienti sulla linea, si prendeva talora la libertà di non effettuare la corsa. Mi invitò quindi a fare l’autostop insieme a lei per raggiungere in fretta la stazione.

Inutile dire quello che – lo confesso – pensai tra me e me: chi mai si sarebbe fermato? Quella donna era troppo brutta! Le risposi con garbo che c’era il rischio che a quell’ora non passasse nessuno e a mia volta le proposi di chiamare l’unica auto a noleggio del paese per farci portare a valle. Ma lei mi fece notare vivacemente che la spesa sarebbe stata eccessiva e subito dopo senza troppi complimenti si avviò a piedi, brontolando ad alta voce contro la mia follia e ribadendo la sua intenzione di cercare un passaggio strada facendo. La vidi allontanarsi col suo passo sgraziato e rimasi sulla piazza, a questo punto sola.

downloadA casa avevo impegni pressanti, non potevo non partire e mancava ormai meno di mezz’ora al treno. Fortunatamente, con l’aiuto dei gestori di un vicino bar, riuscii ad avere quasi subito il taxi ed arrivai così in tempo alla ferrovia. L’atrio della piccola stazione era affollato, perché vi convenivano viaggiatori da parecchi paesi delle valli vicine. Ebbi appena il tempo di acquistare di corsa il biglietto mentre il treno veniva annunciato e mi avviai in fretta al binario. Solo in quel momento osservai le persone che si muovevano frettolosamente insieme a me e… non vidi la donna brutta! Mi sentii un verme: non avevo più pensato a lei e non avevo guardato lungo la strada durante la discesa in taxi, occupata com’ero a spiegare all’autista che rischiavo di perdere il treno.

Salii, sedetti in uno scompartimento e con vero dispiacere immaginai la rozza montanara sfortunata ancora in corsa lungo la strada. Il paesaggio ed i colori a poco a poco mutarono: al di là del finestrino, un velo biancastro, poi grigio, si sostituì alla limpidezza dell’azzurro ed allo scintillìo della neve. I contorni si sfocarono e via via mi immersi nell’atmosfera ovattata e sgradevole della pianura invernale senza cielo.

All’arrivo scesi intorpidita e mi ritrovai tra una folla molto più numerosa e frenetica di quella della partenza e tra le mille voci anonime della grande stazione. Ad un tratto… fu come il trillo di una sveglia: “Zia! Sono qui!”. Mi volsi e vidi, barcollante nella confusione, Carmelina, la “brutta” donna dei monti, che era scesa dal mio stesso treno perché evidentemente aveva trovato un passaggio con l’autostop! Mi sbaglierò, ma… mi parve che mi guardasse e mi dicesse con gli occhi: “Povera scema, tu credevi che nessuno mi caricasse ed invece sono arrivata al treno prima di te!”

Non ho cambiato idea sull’importanza di avere un aspetto curato, ma sono davvero contenta che quella volta la mia teoria sia stata smentita.

Finisce

Vi è piaciuta? Dai, dopo il post precedente … questo  allenta un po’ la tensione!