IRAN 2 – RICORDI DI TEHERAN (40 anni fa)

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 3 Gennaio, 2018 @ 8:06 am

Detto altrimenti: segue dal post precedente         (post 3006)

imagesTeheran, una città molto estesa, in genere costruzioni non molto elevate (a causa del rischio sismico), su una “pianura leggermente in discesa”, dai 2000 metri della residenza dello Scià, ai piedi della catena montuosa di 6000 metri, innevata anche in estate, che la divideva dal Mar Caspio, fino alle poche centinaia di metri di altitudine della down town dove si trovava il bazaar.  A nord, alberi di rose come fossero di ciliegie, data la dimensione. A sud, il caldo. Gli hotel: da sud a nord la qualità ed il prezzo cresceva. La città era attraversata, da nord verso sud, da molti piccoli rivoletti d’acqua a cielo aperto, “multiuso”. Man mano che si scendeva, qua e là bidoni metallici contenenti acqua pretesa potabile alla quale si dissetava il “popolino”, mediante una tazza comune assicurata al bidone da una catenella. Noi no. Noi turisti per affari si stava negli hotel all’aria condizionata. Erano i nostri “uffici”, dotati di (vecchi) apparecchi telescriventi azionabili solo dagli addetti (quando c’erano!) con tempi biblici.

Per muoversi in città, i taxi o più spesso le auto dei passanti ai quali gridavi la tua meta: se era compatibile con la sua destinazione, l’automobilista si fermava e ti caricava e tu ti trovavi insieme ad altri sconosciuti compagni di viaggio. Traffico, caotico: velocità media commerciale delle auto in città: 2 kmh. Per chiedere all’autista di accelerare “Buro, buro … Fittipaldi!”. Per farlo rallentare “iavasci”. Un paio di volte: squadre di poliziotti in motocicletta, traffico fermato, strade liberate e presidiate dalla polizia, passa lo Scià.

Una bella ragazza prosperosa. Con ammirazione fra i maschi veniva definita “labagnat” che letteralmente significa “latteria”.

I controlli della polizia (politica, la terribile SAVAK): fui avvicinato in hotel da un giovanotto che parlava ottimo italiano (si era laureato in Italia) il quale ci chiese le ragioni della nostra permanenza in Iran: affari, commercio .. ok, buon lavoro.

downloadIl lavoro e lo svago. Cercai il migliore commercialista per organizzare il pagamento delle imposte locali: mi disse che occorreva organizzare il non-pagamento delle imposte! Il lavoro: anche il sabato. Solo la domenica ci si fermava … per fare cosa? Ad esempio un volo ad Esfahan; la visita al Tesoro dello Scià; una visita al bazaar; una gita in auto fuori città (nel deserto).

Uno scippo evitato. Tentato ai danni di un mio collega italiano. Gli si affianca un’auto e in inglese il passeggero gli chiede quanto egli debba pagare all’autista per un certo tragitto. Fa finta di non capire la risposta e chiede che gli siano mostrate le banconote. Il mio amico sta per farlo. Io gli grido di fare un passo indietro. L’auto fugge via.

I ristoranti. Spesso andavamo al ristorante del Teatro Roudaki, ne ricordo il prezzo: pranzo a base di caviale e champagne, l’equivalente di 5000 lire. Ma spesso non pagavamo nulla perché avevamo fatto amicizia con il cameriere (spagnolo) al quale avevamo regalato un paio di blue jeans e il nostro conto – su sua iniziativa – veniva “diluito” all’interno del mega conto del pranzo sociale di turno (i medici di Teheran, gli ingegneri di Teheran, etc.). Ah … questi italiani …

Il caldo. Molto ma secco, all’ombra di stava abbastanza bene, la sole no. L’aria sempre … condizionata.

images (1)Il bazaar. La “cosa” più vera che vidi. Un mercato molto esteso, stradine ricoperte, un odore di olio bruciato (quello delle lampade), illuminazione elettrica abbagliante da semplici lampadine appese a fili elettrici. Improvvisamente sento un grido “Paisà …paisà!”. Mi fermo: possibile? Che qui ci sia un napoletano e che per di più mi abbia riconosciuto come italiano e che mi chiami “paesano”? Mi giro: si trattava di un venditore di banane, a cinque (pai) sa (centesimi di rial) cadauna!

I miei soci iraniani. S’era nel 1976.I miei soci – parlando molto riservatamente – davano al regime solo altri cinque anni di vita al massimo (lo scià cadde poi nel 1978), e si lamentavano con i propri genitori che li avevano mandati a laurearsi negli USA: giudicavano infatti quel periodo una “perdita di tempo” rispetto alla “corsa all’arricchimento” che stavano facendo.

Considerazione finale. Tutte le maggiori imprese mondiali (IBM e Lockheed in testa) e italiane erano presenti in Iran, anch’esse come i miei soci privati iraniani per partecipare alla corsa all’arricchimento, reso possibile dall’elevatissimo grado della corruzione. Un esempio, banale ma significativo: poco sopra, parlando dei ristoranti, ho ricordato il dono di un paio di blue jeans ad un cameriere. Be’ … la loro importazione era vietata: poi, improvvisamente, per una settimana tale divieto cessava (per legge) e nel paese entravano alcuni TIR carichi di blue jeans che poi venivano rivenduti a prezzi molto elevati in negozi gestiti dalle mogli di alti funzionari di stato. Se tanto mi dà tanto …

Come finì la mia avventura imprenditoriale iraniana. Ben prima della rivoluzione, ricevetti l’offerta della dirigenza in una grande SpA finanziaria pubblica italiana: avevo famiglia … non ebbi il coraggio di rinunciare al certo per l’incerto e smisi (in tempo, per mia fortuna!) di fare l’imprenditore italo-iraniano.

(continua)