BANCHE CAPITALIZZATE E NON

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 9 Giugno, 2012 @ 8:42 am

Detto altrimenti: cosa vuol dire?  Vediamo di spiegare la cosa alla gente “comune”, cioè alla maggior parte della gente, alle famiglie, al cui interno si vive, si lavora, si cerca il lavoro, si risparmia o si utilizzano i risparmi … ma che però nessuno, mai “capitalizza”!

Quando si costituisce una SpA anche bancaria la si dota del capitale sociale, cioè – semplificando – del denaro che le serve per avviare e gestire la propria attività Per capirsi meglio, supponiamo che si tratti di una SpA Immobiliare e che il capitale sociale sia 100. La SpA in questione acquista un immobile per 100. A bilancio, nella situazione patrimoniale, iscriverà al passivo il capitale sociale di 100 ed all’attivo un immobile che vale 100. Se poi l’immobile si rivaluta di 20 o viene venduto a 120, la SpA registra un utile. Se succede il contrario, registra una perdita che può essere anche tale da azzerare il capitale sociale. Solo per cercare di capirsi.

Una banca, operando, può generare utili che possono essere passati a riserva e la riserva può essere poi trasformata in ulteriore capitale sociale (ecco la capitalizzazione), il quale, crescendo, consente alla banca di operare su volumi d’affari sempre maggiori. Questa è una capitalizzazione “preventiva”

Può capitare poi che la banca sviluppi comunque volumi maggiori di affari senza avere prima aumentato il capitale sociale, il quale risulta ex post insufficiente a garantire i terzi di fronte ai rischi di volumi d’ affari crescenti. In tal caso si ha una “crisi da crescita” (ben vengano queste crisi!) e gli azionisti della banca decidono di investire altri denari nella loro banca e sottoscrivono il necessario aumento di capitale (capitalizzazione a posteriori). Oppure si lancia un aumento di capitale aperto al pubblico. Oppure à la banca d’Italia che obbliga gli azionisti ad operare come sopra descritto.

Fino a qui si tratta di capitalizzazioni “buone”. Ma ci sono anche le capitalizzazioni “cattive”, per intendersi così come esiste il “colesterolo “buono” e quello “cattivo”.

Infatti se una banca registra perdite, a fine anno esse determinano una diminuzione del suo patrimonio, che viene registrata sino ad arrivare alla diminuzione o all’azzeramento del capitale sociale. Ed ecco che sorge la necessità di una sua capitalizzazione a posteriori, di quelle “cattive”, cioè generate da perdite.

Ora, se una banca italiana od estera necessita di una capitalizzazione cattiva, a farla sono gli Stati o l’Europa, cioè, sia pure indirettamente, ogni cittadino, ognuno di noi. Ed allora è lecito imporre alle banche – visto che siamo noi che “le paghiamo” – di rivedere i livelli delle remunerazioni milionarie del loro top management, di non investire in titolo ad alto rendimento ma rischiosi, di fare lavorare il cervello per investire nell’economia reale, anche se ciò costa più fatica che non comperare BOT greci o argentini.

E poi, care banche, che dire delle buonuscite, milionarie e pagate a vista!? Pensate un po’, la Corte dei Conti si riserva ben 10 anni di tempo per verificare l’operato dei funzionari pubblici e voi, banche,  pagate  a vista, cioè immediatamente al termine del loro mandato, buonuscite milionarie a top manager che hanno realizzato utili nel breve termine con operazioni che uno o due anni dopo rischiano di mandarvi in fallimento a meno che noi nion vi “ricapitalizziamo”?! Ma si può?

Qual è il danno maggiore? Non solo o non tanto gli esborsi effettuati al top management, quanto i ben maggiori effetti negativi dell’azione “perversa” di quel top management, la quale sarà tanto più ampia (e deleteria) quanto più è “premiata” da simili remunerazioni.

Perché scrivo questo post proprio oggi? Perché è di questi giorni l’esigenza di “ricapitalizzare” con fondi europei (cioè anche nostri, di ognuno di noi) banche spagnole per 40 miliardi di euro, a fronte di operazioni del tipo mega finanziamenti alle società calcistiche spagnole che hanno pagato miliardate di euro ai loro giocatori, società che poi non sono in grado di ripianare il proprio debito bancario, mandando in crisi le loro banche, quelle stesse banche che ora noi, attraverso l’Italia e l’Europa, siamo chiamati  a “ricapitalizzare”.