IL MIO GIORNALE 3

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 26 Gennaio, 2018 @ 4:51 pm

(a seguito dei due recenti post “Il mio giornale 1 e 2”)

Detto altrimenti: Il simbolo di un partito, da elemento di unione a fattore di divisione (post 3047)

Oggi ho inviato questa lettera ai tre quotidiani locali:

Inizia

D.C. lascia l’… Lo lascia dopo esserne stata segretaria, averne raddoppiato il numero degli iscritti, averne azzerato il debito. Lo lascia dopo avere reintrodotto la democrazia reale al suo interno e soprattutto dopo avere riavvicinato molta gente alla Politica. Lo lascia perché la sua azione di Persona nuova e di Donna che “pretendeva” di fare Politica non poteva essere accettata dalla casta dei politici a vita e al maschile. D. C., come tanti altri, si era riconosciuta nel simbolo … e non solo in quello grafico, ma in ciò che esso rappresentava. Simbolo che come tutti i simboli non appartiene a nessuno singolarmente bensì collettivamente a tutti coloro che vi si identificano. Ora, bene evidenzia Gustavo Zagrebelsky nel suo prezioso libro “Simboli al potere”, quando taluno – foss’anche il suo stesso ideatore – vuole far diventare un simbolo sua proprietà privata, esso da elemento di unione diventa fattore di divisione. Così è accaduto per il simbolo …, sin da quando gli si è voluto affiancare il simbolo “…/2” come strumento per iniziare a (ri)farne una proprietà privata. Ed ecco la prima divisione: “io …/2″, “tu …/1”. Adesso è maturata la seconda divisione, anzi una lacerazione: esce dall’… una Persona che lo aveva amato, che aveva investito tanto tempo e denaro (sottratti alla sua professione e alla sua famiglia), che aveva dedicato autentica passione in quell’idea e che aveva conseguito importanti risultati. Risultati, si noti, in favore di tutta la Politica: quelli contro l’antipolitica. D. C. esce e con lei tanti altri, ognuno per la sua strada.

Peccato. Peccato perché immaginate quale diverso successo avrebbe avuto l’Idea … e l’intera Politica se la vecchia guardia … avesse accettato di sostenere chi aveva vinto al congresso; se costoro avessero accettato di contribuire con la propria esperienza alla vitalità di una generazione più giovane, di un genere diverso (il femminile) portatrice di idee nuove, più aggiornate, di una democrazia più vera e soprattutto fondata sulla libera e autonoma maturazione del pensiero di ognuno, non più a rimorchio dell’ ipse dixit di turno. Peccato.

Si obietta che all’interno dell’… (residuo, n.d.r.) vi è unanimità nel valutare questa uscita. Ebbene, io diffido dell’unanimità, dei grandi numeri, se non altro perché – per dirla con il Premio Nobel  Josif Brodskij (“Il canto del pendolo”), “all’interno dei grandi numeri più facilmente può nascondersi il male”. Oggi l’UPT (residuo) può celebrare una vera e propria sconfitta, non una vittoria.

Finisce

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