COLLETTA ALIMENTARE

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 27 Novembre, 2018 @ 8:17 am

 

Detto altrimenti: da un contributo impersonale ad uno personale       (post 3412)

thColletta alimentare. In genere la maggioranza di noi si limita ad acquistare qualche genere alimentare e a lasciarlo in dono agli addetti alla raccolta all’uscita del supermercato. Un contributo impersonale. Così è stato anche per me, da sempre. Ieri sera no. No, perché una Persona amica che ogni 15 giorni si reca al magazzino di raccolta per prelevare una notevole quantità di alimenti per poi distribuirli in serata alle famiglie che assiste direttamente, be’, ieri sera quella persona non aveva la disponibilità della propria auto e mi ha chiesto un aiuto. Ok, ho detto, andiamo con la mia.

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davIl magazzino: molti scaffali ben ordinati, molti scatoloni già predisposti e contrassegnati con i numeri 2, 3, 6 riempiti diversamente a secondo del numero dei destinatari di ogni pacco. E poi cibi freschi: latte, frutta, verdura, pane, biscotti etc. In un angolo si intravede una mini cucina, per i pasti dei volontari addetti al lavoro di immagazzinaggio e distribuzione, che operano diretti da una signora molto ben organizzata e decisa: su di un foglio costei ha l’elenco di chi ha richiesto aiuto e in che misura e in quattro e quattr’otto il portabagagli della mia auto è completamente riempito. Fatto il carico, inizia il nostro giro di distribuzione: Italiani, Kossovari, Pakistani: ecco i nostri destinatari finali di ieri sera. Dalle 17.30 alle 19.30, casa (mia) – casa.

mde.

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Nel frattempo osservo i vari clienti del magazzino: alcune persone di colore, molti  Trentini. Tutti in fila ordinata in attesa del proprio turno. Quale diverso modo di affrontare il problema questo, rispetto ad una recente decisione della Provincia di togliere i pasti e l’asilo diurno a 40 immigrati Pakistani, perchè “Se ne deve accertare lo status e poi si deve evitare che ne arrivino altri” (sic).

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th9QMEE3XSPerché ho scritto questo post? Perché esiste anche “questa realtà” e viverla – vi assicuro – è assolutamente diverso che leggerne o parlarne. Dovremo fare tutti un esperimento del genere, ogni tanto, per capire cosa vuol dire avere bisogno e quanto ci si sente arricchiti dal Bene che si fa agli altri! Multa paucis, direi, molti atti di bontà con veramente pochi sforzi! E allora, perché no? Io credo che qualcuno possa essere trattenuto dal timore che si instauri un rapporto personale con l’assistito, teme che da un contributo impersonale si passi ad un contributo personale, cosa che invece è assolutamente da ricercare: e cioè non solo “guardare” ma anche “vedere” il Volto dell’Altro, il Volto più volte richiamato dal Filosofo del Volto, Emmanuel Lévinas: “Il Volto dell’Altro ti guarda e si aspetta una risposta da te”.

P.S.: In questo tipo di assistenza occorre anche una certa cautela: innanzi tutto occorre non farsi coinvolgere emotivamente:  paradossalmente occorre restare quasi un po’ “freddi” rispetto a certe situazioni, altrimenti alla lunga si rischia di  non reggere psicologicamente il ruolo e di abbandonarlo. Occorre inoltre evitare che ogni assistito si senta di avere maggiori diritti rispetto ad ogni altra persona bisognosa: il che si traduce da parte sua  in una pretesa di “prelazione” sulla scelta della qualità e quantità dei beni che gli vengono offerti. E questo vale anche e soprattutto per quanto riguarda la distribuzione degli abiti.

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