SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE N.199 DEL LUGLIO 2012: I SERVIZI PUBBLICI LOCALI (SS.PP.LL.) NON SI POSSONO PRIVATIZZARE – Quarta ed ultima puntata (le prime tre puntate sono state pubblicate il 23, il 30 e il31 luglio scorsi)

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 5 Agosto, 2012 @ 4:52 pm

Deto altrimenti: la “motivazione” del personale dell’Ente Pubblico e della SpA

La motivazione del personale. Una delle principali risorse di un ambito di lavoro, sia esso un ufficio pubblico, sia una SpA. Spesso la si trascura. E invece, senza la motivazione del personale non esiste crescita economica, sociale, culturale. Non esiste sviluppo. Non si va da nessuna parte. Chi non capisce questo semplice fatto non dovrebbe essere ammesso a gestire personale, in una SpA come in un ente pubblico.

C’era una volta … il vecchio modo di gestire una SpA, top-down, io raccolgo molte tutte le informazioni, le dispenso a spizzichi, stabilisco le regole, i dipendenti devono obbedire, devono eseguire, rispettare le prescrizioni della “libretta”. Non importa se non capiscono quello che stanno facendo. Anzi, meglio. IT, Information Technology, ecco cosa mi serve. E poi, il cottimo, che bello! Tutti erroneamente credono che sia “pagare il dipendente sulla quantità del lavoro prodotto” e invece, correttamente è “pagare il dipendente se rispetta le regole, perché tanto il risultato è garantito dal sistema, soprattutto se sono in monopolio”.

Io ordino e tu esegui. In silenzio. Non mi importa se non sei motivato. La motivazione? Non serve a nulla. Ma io ho bisogno di collaboratori. Ed allora chi mi scelgo? Quelli più ossequiosi, quelli che mi dicono sempre si, quelli che non discutono le mie decisioni, quelli che non mi sottopongono né problemi veri né soluzioni vere. Da encefalogramma creativo piatto. L’organigramma? Verticale: tutto fa capo a me che delego una sola persona a me fedele, tutto fa capo a lui, sotto di lui la piatta assoluta, tutti uguali, a ricevere input dall’alto, settore per settore, parcellizzati, divisi, in vasi non- comunicanti (comunicazione? Guai a Dio!). E Dio … no, scusate, ed Io, innanzi tutto lavoro a parte chiuse e sono disponibile solo per il mio fedelissimo. Gli altri? E’ inutile che cerchino di contattarmi: tempo perso. La società ha bisogno di me, depositario di tutto. Mi rendo insostituibile. Se io me ne vado, se ne accorgeranno cosa succede … I dipendenti come si sentono? I “fedelissimi” bene: sono deresponsabilizzati, li copro sempre e comunque. Gli altri stanno male, soffrono, si deprimono. Per loro l’andare in ufficio è una sofferenza. Ma se a loro non va, se ne possono sempre andare via. Anzi …

Io stesso, all’inizio della mia carriera lavorativa, ricordo, lavoravo in banca. Lei è laureato il legge? Bene, a “battere” (alla macchina da scrivere, n.d.r.) assegni circolari. Ok, batto. Chiesi cosa voleva dire l’espressione “la fiche (contabile, lo appresi dopo, n.d.,r.) è già a quadro” (quadro di controllo, una sorta di ufficio prima nota contabile, lo appresi dopo, n.d.r.). Mi risposero: lei lavori, non è pagato per capire. Andai alla Direzione Centrale a protestare: fui inserito in un ciclo molto serio di istruzione sul lavoro. Quando fu terminato lasciai la banca e da impiegato di banca divenni dirigente in società e finanziarie private e pubbliche. Ma se fossi rimasto in silenzio a “battere” assegni circolari?

Ma torniamo a noi. In un ambiente simile le persone non crescono professionalmente, la società entro la quale lavorano è a rischio in quanto dipende dalla capacità, incapacità, umori e ricatti dei pochi fedelissimi. Questo tipo di capo non riceve e non stimola l’apporto creativo da parte dei dipendenti e la società non cresce se non nella misura nella quale poche persone vogliono e/o sanno farla crescere: i limiti di queste persone diventano i limiti della società. Le persone migliori sono scartate, emarginate, si deprimono, si disamorano, non producono più idee, non innovano. Questa società è perdente di fronte ad altre società che invece si comportano diversamente, come vedremo qui di seguito.

Altro tipo (opposto, agli antipodi del primo) di gestione societaria. Il capo promuove riunioni collettive; fornisce una visione di insieme ai propri collaboratori e colleghi (non li chiama dipendenti); concorda con loro i loro obiettivi; delega loro potere e responsabilità; stimola l’adozione di comportamenti creativi e di qualità; chiede loro di trasformare ogni loro singolo intervento correttivo o migliorativo in una serie di interventi per correggere e migliorare non il singolo fatto ma l’intero sistema; chiede ed ottiene che loro operino come se la società fosse una loro proprietà privata; promuove l’operatività per obiettivi e per progetti; per ogni progetto, stabilisce la leaderschip del capo progetto funzionale rispetto alla scala della gerarchia aziendale; stimola le loro proposte, le discute, le accetta anche se sono migliori delle proprie; crea diversi settori, promuove la loro collaborazione e la loro interscambiabilità, assicurando comunque la continuità aziendale anche nel caso di dimissioni di qualche collaboratore. Il capo stimola e premia l’efficacia ( = raggiungimento di risultati) piuttosto che la sola efficienza  ( = rispetto delle regole operative); è disponibile per tutti, nel rispetto della funzionalità del “sistema dei sistemi” che ha creato ed organizzato. Il capo lavora a porte aperte. E’ reperibile sempre, per tutti. La tecnologia e la scienza di cui ha bisogno e di cui si serve non è la IT (Information Technology), ma la ICT, Information Communication Technology. Cioè, ha inserito nel processo gestionale la COMUNICAZIONE, cioè la communis actio, l’azione comune il dialogo la compartecipazione, la condivisione, il rispetto e lo stimolo della persona, della sua intelligenza, scienza e apporto creativo. Il capo ritiene che il personale sia la prima risorsa aziendale e quindi ritiene che demotivarlo equivalga a distruggere la componente più preziosa dell’avviamento e dei beni aziendali.

Il suo obiettivo è quello di creare una società capace di crescere anche oltre il limite del proprio apporto personale, capace di funzionare e crescere anche quando egli ne sarà uscito. I collaboratori che “premia” sono quelli più “onesti”, cioè quelli che accettano la sfida di misurarsi su problemi seri, quelli che si esprimono come egli stesso si esprime, collaborativi con i colleghi, creativi, comprensivi del sistema. Per questi collaboratori, l’andare in ufficio è una gioia. Non un tormento.

Tutto questo è molto più facile da realizzare in SpA di diritto privato. Nel settore pubblico vige l’obbligatorietà del rispetto della “libretta”, cioè si premia soprattutto l’efficienza, il rispetto delle regole. Molto meno l’efficacia, il raggiungimento di risultati. Infatti ogni Comune è monopolista all’interno del suo territorio e quindi manca lo stimolo della concorrenza. Nessun Comune potrà mai venire a sottrarre “clienti” al mio Comune …

Per concludere

  • una legge (Berlusconi) imponeva la privatizzazione delle SpA pubbliche dei servizi pubblici locali;
  • un successivo recente referendum popolare aveva vietato queste privatizzazioni;
  • una successiva legge (Monti) le ha re- imposte;
  • la Corte Costituzionale ha cancellato le due leggi;
  • ora, il “rischio” non è più che i servizi pubblici locali “cadano” in mano privata, ma che le SpA pubbliche “cadano o restino” in una palude gestionale che di SpA ha proprio poco o nulla.

P.S.: gutta cavat lapidem …. “Hai visto mai” (dicono a Roma) che adesso la Corte Costituzionale abroghi anche la seconda legge sul finanziamento pubblico dei partiti, visto che la prima legge era stata cancellata anch’essa da un referendum popolare?