LA FINANZA DEL DOPO VIRUS

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 3 Giugno, 2020 @ 5:52 am

Detto altrimenti: “… ma i soldi chi te li dà …?”      (post 3921)

Una vecchia canzone di Renato Carosone, “Tu vuo’ fa’ l’americano” … E continua: “Ma i soldi chi te li dà? La borsetta di mammà”: e in questi giorni per noi quella borsetta è l’UE. In questi stessi giorni ho ascoltato attentamente gli interventi di esimi professori, esperti e affermati economisti, di imprenditori, politici i quali tutti mostrano di avere grandi idee, una visione ampia dei problemi, indicano la strada per la “ricostruzione”, questa volta non di edifici bombardati ma del sistema economico e sociale “bombardato” dal virus. Tutte ottime parole, ottimi intenti, ottimi progetti.

Tuttavia fra i tanti devo dire che il pensiero di gran lunga più valido, concreto e convincente è quello di un vecchio “collega” di banca (all’inizio della mia carriera io ho lavoravo cinque anni in quella stessa grande banca), lui poi che in quella banca c’è rimasto fino ad arrivarne al vertice, e cioè che ad iniziare dal prossimo anno l’Italia deve assolutamente dimostrare alla politica e soprattutto alla finanza mondiale che riduce il debito pubblico, anno per anno, gradualmente. Sia pure un poco alla volta, ma che lo riduce (“Qual è la preoccupazione? Che in un recente passato non siamo stati capaci di ridurre questo debito sia pure in presenza di un avanza primario!”). Orbene, se non riuscissimo a diminuire – ma anzi, ove continuassimo ad aumentare il nostro indebitamento pubblico – probabilmente l’UE ci metterebbe alla porta, oppure potremmo essere noi stessi ad uscire da quella porta, su decisione di un governo “forte”, un governo di quelli che il popolo reclama ed acclama nei momenti di maggiore difficoltà; il governo degli uomini della provvidenza; quello di uomini che tutto il mondo ci invidia di mica tanto antica e di tanto triste memoria. In una parola: un governo sovranista!

Osservo: uscire dall’UE? Abbandonare quella che sarebbe invece la nostra vera soluzione (l’UE), e tornare alla lira, molto svalutata a causa di una fortissima inflazione; tornare al divieto di possedere valuta estera; di investire all’estero, alla feroce stretta creditizia e valutaria degli anni ’70; all’obbligo per gli importatori di finanziare in divisa le loro importazioni e di versare la metà dell’importo vincolato e infruttifero per sei mesi alla Banca d’Italia; tornare ai tassi bancari nominali del 25%, costo effettivo annuo del 35%; tornare a rendimenti dei titoli di stato a livello superiore a costo del denaro bancario. E’ questo che vogliamo? Ma già … molti attuali politici odierni negli anni ’70 non erano ancora nati, mica è colpa loro se non conoscono questi precedenti …

Quindi: la riduzione del debito pubblico è il primo obiettivo che ci dobbiamo porre, ridurre il debito e restare in UE. Ciò comporta di adottare tutti gli strumenti che possono contribuire a tale scopo, fra i quali le emissioni di Titoli di stato Irredimibili di Rendita, come più volte da me scritto in molti post precedenti. Al riguardo un affermato economista, il professore Marco Fortis (economista, docente universitario, editorialista del Il Sole 24 Ore) li ha citati come possibili/utili se emessi dall’UE, ma non se emessi dall’Italia in quanto sarebbero una sorta di “patrimoniale”, trascurando egli il fatto che la proposta che è stata fatta nel libro qui a fianco prevede espressamente che gli irredimibili italiani siano sottoscritti dai risparmiatori tassativamente solo su base volontaria, iniziando con la sostituzione volontaria di tranche di debito pubblico redimibile in scadenza. Ecco, una frase inserita quasi per inciso in un discorso molto ampio, rischia di condannare a morte il nascituro quando ancora è nel grembo materno: un nascituro, il Titolo Irredimibile Rendita, che NON è un debito e che invece contribuisce alla riduzione del debito pubblico.

Ma il da-me-non-espressamente-citato-vecchio-“collega”-di-banca ha aggiunto un’altra considerazione importantissima: il livello di rendimento degli irredimibili, superiore a quello dei titoli redimibili ad esempio di 1,5-2 punti, potrebbe/dovrebbe sì essere fisso per cinque anni,  ma rivedibile di quinquennio in quinquennio secondo una formula che garantisse il mantenimento del rispetto del reciproco interesse inziale delle due parti in causa: l’ente emittente ed il risparmiatore: una formula “onesta” che – nel tempo – non risultasse di danno a nessuna di esse.

Ma non basta: infatti – aggiunge l’amico – occorre che permanga la fiducia nello Stato da parte degli Italiani e dei soggetti esteri: fiducia nel fatto che il debito pubblico diminuisca e che lo Stato sia in grado di continuare a corrispondere gli interessi sui propri titoli. Ciò quale condizione necessaria a mantenere il valore del titolo irredimibile intorno a 100.

A questo punto mi permetto di aggiungere che il calcolo da fare sarebbe il seguente: redigere la situazione di tutte le scadenze dei titoli redimibili (circa 400-500 miliardi l’anno); iniziare ad offrire la sostituzione volontaria di titoli redimibili con titoli irredimibili, calcolare – nelle varie ipotesi – l’andamento dei flussi finanziari degli interessi e dei rimborsi/mancati rimborsi in linea di capitale e il conseguente effetto sulla diminuzione del livello del debito pubblico. Ivi compreso il calcolo dei possibili riacquisti graduali di irredimibili da parte dell’ente emittente.

Ah … dimenticavo: un’ulteriore considerazione del mio amico: il denaro deve avere un costo, non può essere “regalato”. Anche in questo mi sento di dargli ragione. E’ il pensiero che ho sempre maturato ogni volta che sento una promozione di un bene – ad esempio di un’auto – che viene offerta a rate senza interessi: infatti gli interessi sono compresi nel totale delle rate! Affermare che il denaro può non produrre interessi sarebbe come dire che può esistere l’acqua asciutta.