LA REMUNERAZIONE ALLA POLITICA E LE TRE RECENTI DIMISSIONI

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 30 Gennaio, 2021 @ 3:22 pm

Detto altrimenti: pochi concetti che mi auguro di riuscire ad esporre con chiarezza. E  se mi sbaglio, mi corigerete   (post 4571)

La “paga” alla politica. Il primo ad inserirla fu Pericle nella sua (quasi) repubblica ateniese del V° secolo a. C.. La motivazione? Per indurre chi lavorava e anche chi avrebbe sottratto del tempo alla rìcerca di un lavoro a partecipare alla vita politica.

Durante la millenaria storia europea, la remunerazione dei politici visse vicende alterne. Cito solo l’art. 50 dello Statuto del Regno d’Italia emanato da Re Carlo Alberto “… in Torino, addì quattro del mese di marzo, l’anno del Signore mille ottocento quarantotto, e del Regno Nostro il decimo ottavo”. Testo di cui ho una copia edita nella Tipografia Salani nel 1922 dall’Editore Adriano Salani, Firenze, Viale dei Mille. Lo Statuto Albertino, all’art. 50, recita: “Le funzioni di Senatore e di Deputato non danno luogo ad alcuna retribuzione o indennità”. Mi riservo di verificare quanto segue: nel giugno 1891 il Senatore Roncalli propose il rimborso del biglietto del treno per i Senatori residenti lontano da Torino. La proposta fu respinta dal Senato del Regno con la seguente motivazione: “Servire il Paese è un privilegio, da vivere come un divere. Chi lo serve in armi rischia tutto, anche la propria vita, senza nulla chiudere in cambio”

Oggi una remunerazione ai parlamentari lineare e “a prescindere”, induce a candidarsi anche solo chi si candida per l’ottenimento di un posto di lavoro: il che
– rende disponibili a tale incarico anche persone non sufficientemente preparate: “che io sia eletto ed abbia lo stipendio, questo è ciò che conta!”
– Fa sì che queste persone siano “attaccate alla poltrona a prescindere” come chiunque è “attaccato” al proprio posto di lavoro.

Peraltro, non remunerare i parlamentari escluderebbe alla partecipazione democratica alla vita politica tutti coloro che ni si possono permettere di mantenersi, il che ci riporterebbe alla discriminazione di cui all’art. 50 dello Statuto Albertino.

Ed allora? Allora remuneriamoli, i Parlamentari (e i Ministri etc,), ma in modo parametrato
– alle   documentate esigenze di partecipazione alla politica;
– alla loro partecipazione con contributi positivi alla vita politica;
– almeno in parte proporzionalmente relazionato a quanto stiano eventualmente perdendo a causa dell’eventuale occupazione che abbiano dovuto trascurare o abbandonare a seguito dell’attività politica.

Più facile a scriversi che a farsi: concordo. Però l’attaccamento alla poltrona “a prescindere” snatura l’apporto del proprio pensiero politico. Per questo va maggiormente apprezzato chi anche di recente ha rinunciato a ben tre poltrone, pur di mantenere fede al proprio credo politico e democratico.

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