SKI STORY: AMARCORD, MI RICORDO …

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 10 Marzo, 2023 @ 9:02 am

E ORIGINI. Io sono del 1944. Ho iniziato a sciare “tardi”, all’età di 17 annì, da Genova, quando frequentavo la seconda liceo classico. Tralascio le mie primissime origini, con sci d’epoca di icory, recuperati da una soffitta, cartavetrati, oliati, adattati da me con lamine, attacchi nuovi col formaggio Marker di sicurezza, soletta casalinga verniciata da me sul legno vivo. Poco dopo sci nuovi di pacca, tanto belli che li facevo “abitare” in camera mia, in un angolo ma ben visibili. Erano di metallo, i Devil Rosso della Persenico, attacchi francesi a cinghia lunga, quelli con sue “siluri” di metallo color bronzo: quello anteriore orizzontale; quello posteriore che si bloccava in verticale sullo scarpone. Quando camminavi con gli sci in spalla, era importante lasciare che le cinghie ricadessero ben distese dietro la schiena a testimoniare che eri un vero figo!

IL VIAGGIO. Da Genova andavamo a sciare inizialmente solo a Limone Piemonte, 180 km di cui solo una minima parte in autostrada, su pullman noleggiati da me e “riempiti” via telefono da amici. La mia sveglia era alle 03,50. Il pullman aveva il garage a Rapallo. Io salivo per primo nella zona est della città e poi, via via, una decina di fermate in successione est-ovest per raccogliere gli amici in zona vicino a casa loro. Tutti con scarponi da sci ai piedi l’intera giornata. Ognuno, man mano che saliva, riceveva un cartellino con il numero da 1 in avanti, ad indicare l’ordine secondo il quale i propri sci avrebbero dovuto essere stivati al rientro, gli uni sopra gli altri, nei cassoni laterali portabagagli del pullman: in tal modo si agevolava il ritrovamento e lo scarico degli sci di ognuno nelle varie fermate al ritorno a Genova a sera tarda. Era già bellissimo il viaggio. Molti amici insieme, molti amori nascevano, qualcuno anche poi sbocciato in matrimonio, qualche altro finiva. Si cantava molto, tutti i canti della montagna e anche quelli goliardici.

LE SCIATE. Iniziavano a sciare alle 10,30, dopo una lunga coda e salite su una seggiovia e sklift monoposto. Sosta pranzo? Quando mai! Un panino in tasca o un meno ingombrante tubo di latte condensato e via … chi si ferma è perduto! Poche le piste. La neve …  spesso  tanta, raramente poca, battuta o meno non importava, così come non ci fermava una forte nevicata, nebbia, vento e freddo intensi. Le primissime volte si pagava ogni risalita in contanti, poi con i tesserini bucati dall’addetto, infine con l’abbonamento giornaliero: negli anni ’60 il festivo costava 2.500 lire, il viaggio 1.500 lire a testa: insomma con 5.000 lire (una bella sommetta, all’epoca, soprattutto per noi studenti) ci usciva la giornata sulla neve.

OGGI. Se penso a queste mie origini, oggi che vivo a Trento, mi pare di essere sceso dalla luna sulla terra. Quando proprio mi voglio togliere lo sfizio di sciare per primo sulla neve battuta dai “gatti”, la sveglia non serve, tanto alle 06,30 sono già sveglio da solo.  L’abbigliamento è molto caldo e leggero, gli scarponi non sanno nemmeno cosa sono le stringhe delle triplici chiusure dei famosi “Munari”. Mezz’ora di auto e sono in Paganella o in Bondone. Se poi voglio “esagerare”, con poco più di un’ora arrivo sulle piste dolomitiche. Conosciamo ben prima che tempo farà, la temperatura, lo stato della neve. Una serie infinita di piste perfettamente battute, chalet per il ristoro, ovunque: “massa fazil” troppo facile, per dirla in dialetto trentino! Giunti sul posto, sci ai piedi, ci permettiamo di scegliere via via la pista sulla quale sciare, in relazione alla sua esposizione, all’ora del giorno, alla sua altitudine: insomma, siamo proprio viziati!

AMARCORD. Mi ricordo … che vi avevo detto?