LA STRAGE DELLE T–SHIRT IN BANGLADESH

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 27 Novembre, 2012 @ 7:57 am

Detto altrimenti: la mancata globalizzazione della (nostra) “responsabilità occidentale”: alcuni precedenti (segnalo solo i morti. Poi vi sono centinaia di feriti e mutilati)

• Febbraio 2010. Bangkadesch. Brucia la Garib & Garib. 21 morti. Vende soprattutto alla svedese H&M.
• Dicembre 2010. Bangladesch. Brucia la That’s it Sportwear. 29 morti. Vende soprattutto ai gruppi USA Gap, Abercrombie-Fitch,  IC Penney.
• Settembre 2012. Pakistan. Bricia la Ali Enterprises. 289 morti. Vende soprattutto alla tedesca Kik.

Novembre 2012. Bangladesch. Uno dei paesi più poveri al mondo. Secondo esportatore mondiale di vestiti dopo la Cina. TF – Tazree Fashion. Una fabbrica. Un edificio di nove piani. 1600 schiave al lavoro. Giorno e notte. Turni massacranti. 37 dollari USA al mese. Fatturato annuo 35 milioni di dollari USA. La TF Vende i suoi prodotti a Wal Mart (USA); Carrerfour (F); KIK (D); C&A (GB): Ce n’è per tutti. Un corto circuito. Un incendio. Ennesima strage.

L’ipocrisia occidentale. La nostra. Globalizziamo la produzione ma non la responsabilità

Per le società che operano in Italia vogliamo i “durc”, le misure di sicurezza, i certificati antimafia, la tracciabilità del prodotto. Bene. Ma non vogliamo queste cose per tutte le società. No. Nemmeno in Italia, figuriamoci in Bangladesch. In Italia vi sono molte società “in nero”, gestite da Pakistani, Indiani, Italiani, etc., le quali operano quasi come in Bangladesch. I proprietari sono “nullatenenti”. Se li scopri e li arresti, dopo pochi giorni sono fuori e ricominciano, in altra sede, con altri prestanome. Andate un po’ a vedere cosa succede a Prato. Li costringete a metter in regola i dipendenti? A pagare i dipendenti secondo una corretta “busta paga”? Nessun problema: “Se vuoi continuare a lavorare per me, vai i banca, riscuoti la tua paga, vieni da me e me ne riversi la metà. Altrimenti sei fuori.”

Ma non basta. Avete letto “Gomorra”? Avete visto come fanno le grandi case della moda a farsi realizzare le migliaia di capi griffati che poi noi “furbi” acquistiamo a prezzi stratosferici? Facciamo qualche conto … cioè, altri li hanno fatti. Io li cito. Su di un paio di blue jeans che acquistate a 100 euro, solo 1 è andato al lavoratore che li ha realizzati.

Ma se un capo che è stato realizzato con un investimento minimo poi applichiamo un marchio famoso, ecco che può essere venduto a 500, visto che c’è chi lo compera a quel prezzo (cioè noi!). Ma allora le mafie riflettono e si dicono: “Facciamo anche noi come certe catene di negozi italiani: in vie cittadine diverse, in negozio diversi, vendiamo gli stessi capi di abbigliamento a prezzi diversi: i ricchi vorranno andare nel negozio centrale, “vorranno” spendere di più, ci mancherebbe altro! I meno ricchi saranno contenti di non doversi privare di quel capriccio e andranno a comperare quello stesso capo nel negozio periferico, risparmiando”. Detto, fatto. Ed ecco che le mafie mettono in vendita li stessi capi, a prezzi ridotti, sulle bancarelle, sui canali internet, etc.. Doppia delinquenza.

Non possiamo restare indifferenti a questo “grido di dolore”. “L’indifferenza non concede spazio allo scandalo del male, anche se talvolta accetta di crogiolarsi nell’emozione che deresponsabilizza. L’indifferenza opera perché il male venga rimosso, allontanato, coperto, mimetizzato. E se, con astuzia, essa lo esibisce, lo offre in pasto alla gente anche in forme insistite e truculente è proprio perché sa che svuotarlo della sua presa è il modo più diabolico per occultarlo” (Marcello Farina, “A rinascere si impara” Ed. Il Margine, Pagg. 108-109).

Cosa fare? Possiamo e dobbiamo risvegliare la nostra singola, fragile ma importantissima “coscienza individuale”, visto che le grandi mobilitazioni di massa sono fenomeni sempre più rari presso una comunità “civile, occidentale troppo distratta da se stessa”. Domandiamoci quali sono i successivi prezzi di vendita della nostra T-schirt nei vari passaggi, dove si forma l’utile, quanto è questo utile, e scopriremo che in qualità di “acquirenti finali” siamo la causa ultima di quelle morti.

Si obietta: “Ma comunque quella gente ha bisogno di lavorare …” Eh già, in questo modo allora non se ne esce più: “Ti tengo nella più squallida miseria, poi ti sfrutto perché tanto sei nella più squallida miseria … ma un tozzo di pane te lo dò: almeno .. ringraziami, no?”

Cosa fare? Reclamiamo regole europee per la certificazione dei sistemi di produzione delle merci che l’UE importa. Per il rispetto delle condizioni di sicurezza dei lavoratori, per il rispetto dei diritti umani.

Utopia? Forse. Ma nella vita guai a non averne, di utopie!

Nel frattempo, a livello personale, non acquistiamo più capi di abbigliamento firmati e griffati o anche semplicemente “made in chissadove”.