ASCOLTARE IL VICINO e poi agire responsabilmente

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 29 Novembre, 2012 @ 9:22 am

Detto altrimenti: … ascoltare il vicino, oppure? Oppure,  leggerne le riflessioni

Sto leggendo un Libro (non a caso uso a caso la “L” maiuscola), un Libro di Don Marcello Farina, “A rinascere si impara – Filosofia per tutti”, Ed. Il Margine, 2006. Un Libro da leggersi con “una matita sulla coscienza” (cioè, con una matita nella mano e la mano sulla coscienza), per evidenziarne i passaggi significativi. Un Libro composto da capitoletti corti, ognuno dei quali vi chiede di essere riletto più volte, tanto non volete perdere “quel” contenuto, “quella” riflessione che invece condividete, amate, volete che diventi anche vostra o che era già vostra, magari “a vostra insaputa”.

Mi ero riproposto di farne oggetto di un post, ma poi ho pensato che i contenuti sono tanti e tali che non ce l’avrei fatta a trattenermi e quindi ne parlo “in itinere”.

Il male. Un po’ come il gasolio rovesciato in mare: sta sulla superficie (n.d.r.). Se rinunciamo a pensare con la nostra testa, se ci limitiamo ad agire secondo i contenuti superficiali di ordini o ordinamenti, ecco che, nuotando nella superficie degli eventi, il male ci ricopre, ne diventiamo parte, dolosamente, se ci rendiamo conto di ciò; colpevolmente, se ciò avviene “a nostra insaputa”. Il petrolio stando in superficie può devastare l’intero Golfo del Messico. Il male, dilagando sulla superficie della nostra coscienza, può devastare il mondo intero (n.d.r.).

Orbene, “una società che non fa pensare, che non rende accessibile a tutti la capacità di giudizio e l’opportunità di approfondire criticamente la propria storia, trasforma donne e uomini in tanti Ponzio Pilato, cioè in esseri senza responsabilità, meschini esecutori di ordini … Eppure, la fatica del pensare e del far pensare non sembra un esercizio diffuso all’interno di una società che preferisce le frasi fatte e gli slogan ad effetto, dentro la banalità quotidiana”.

La politica del bene e quella del male. “Una politica che produce vittime, profughi, diseredati (disoccupati, n.d.r.), orfani, impoveriti, esclusi, “silenziati” è una politica sacrificale, distruttiva e pericolosa”. E’ la politica del male (n.d.r.).  Molti si dicono contro questa politica, ma alle parole devono fare seguire i fatti. “Una politica non deve essere efficace, ma feconda, cioè non deve “vincere, imporsi”, ma “portare responsabilità dove c’era irresponsabilità, riconoscimento dove c’era anonimato, dialogo dove tutto era bloccato da fanatismi e idolatrie”.

 Questo “cammino collettivo” e questa “azione politica” meglio si realizza attraverso quattro tappe:

1) Il rispetto dell’altro, cioè la restitutio in integrum dei suoi diritti
2) La sincerità anche se tutti gli altri mentono
3) La testimonianza, cioè l’assunzione di responsabilità personale senza nascondersi dietro la burocratizzazione (partiti politici, gruppi, istituzioni)
4) La solidarietà, non limitandosi a sanare le situazioni più vicine a noi ma intervenendo su tutti coloro che sono stati relegati nelle “ultime posizioni” della griglia di partenza del Gran Premio della Vita. (n.d.r.).

Oggi. Tempo di votazioni, di elezioni. E noi? Rifuggiamo dagli slogan, dalle frasi fatte, dalle frasi ad effetto. Piuttosto, pensiamo con la nostra testa, secondo la nostra coscienza, e costruiamo il “nostro” modello anche se poi, e ciò è normale,  non lo ravvisiamo integralmente nel modello di quel personaggio, di quel partito politico. Ed allora? Un partito politico per ogni nostra singola coscienza, cioè per ognuno di noi? Non credo che ciò sia nè auspicabile nè possibile. E allora? Aut-aut, ecco la scelta, ecco l’angoscia kirkegaardiana: scegliamo chi sostiene il “nostro contenuto preminente” e sosteniamo quello (n.d.r.). Salvo poi esporre e vivere concretamente tutti i nostri principi.