INTERVALLO INGLESE

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 4 Dicembre, 2012 @ 5:00 pm

Detto altrimenti: domani sarà la viglia del mio primo bloggeanno. Infatti il primo post è del 6 dicembre 2011.  Il post del Celebration day uscirà il 6 dicembre 2012, nel pomeriggio. Quando lo leggerete, capirete quanto sia ben valsa la pena di adeguarmi alle esigenze altrui  quanto alla data del 6 anzichè del 5 dicembre! Nel frattempo, un po’ di poesia. Questa volta inglese. Infatti ho rispolverato la mia vecchia antologia inglese. Pensate, avevo 15 anni (1959) ed ho amato tanto quel libro che ancora lo conservo. Si tratta di “Antologia Letteraria inglese – Con cenni della letteratura americana” di I. Lori, F. Mariani Editore, VI ed., 1956, Lit. 1.000. Antologia, raccolta di fiori che potessero essere accessibili ad acerbi studenti … eppure gli acerbi studenti di allora oggi hanno imparato ad amare quelle pagine, orgogliosi come sono di poter dire: io c’ero, io le ho lette, studiate, imparate nella lingua originale …. Dal mazzo, alcuni fiori:

To be or not to be: that is the question:
Whether ‘tis nobler in the mind to suffer
The slings and arrows of outrageous fortune,
Or to take arms against a sea of troubles,
And by opposing end them?
……
Attualissimo Shakespeare (1564-1616). Solo che la sua alternativa non mi convince: infatti egli dice: “chinare la testa e accettare tutto o farla finita e suicidarsi”. Questa per me non è una alternativa, in quanto l’“accettare tutto è già un suicidio: il suicidio della nostra coscienza. Quindi quel “by opposing end them” io lo interpreto come “opporsi alla crisi ed al malcostume attuale e porre fine agli scandali del nostro tempo”. Ma sentiamo altro Shakespeare:

Friend, Romans, country men, lend me your ears:
I come to bury Caesar, not tom praise him.
The evil that men di lives after them;
The good is oft interred with their bones;
So let it be with Caesar.

Il male che gli uomini fanno vive dopo di loro. Il bene spesso è sepolto con le loro ossa. Un mio amico un giorno mi disse: “la riconoscenza umana è la speranza di avere nuovi favori”.

Passiamo ad altro autore: Alexander Pope (1688-1744), Ode on solitude:

Happy the man whose wish and care
a few paternal acres bound
content to breathe his native air,
in his own ground.

Felice quell’uomo i cui desideri sono racchiusi in pochi acri di terra paterna, felice di respirare l’aria del paese natìo. Ecco, di fronte allo sfascio della globalizzazione, oggi forse noi apprezziamo più di Pope la vita al paese natìo.

E che dire di Robert Burns (1759-1796) con la sua “The Highlands”? (Le terre alte)
My heart’ s in the Highlands, my heart is not here
My heart ‘s in the Highlands a-chasing the deer …
…
Farewell to the mountain high covered with snow
Farewell to the straths and green valleys below
,….
Wherever I wander, wherever I rove
The hill of the Highlands for ever I love
…..
Pope e Burns, per certi aspetti, si somigliano: grand amore per la terra natìa.

Terra natìà? Dove seppelliamo i nostri cari. Pensate, William Wordsworth (1770-1850) ci racconta di una bambinella che insiste nel dire “Noi siamo sette fratellini” anche se poi due di essi sono sepollti lì, nel vicino cimitero. Lei li sente ancora come presenti, ancora “suoi” e dice:

We are seven

A simple Child,
that lightly draws its breath,
and feels its life in every limb,
what should it know of death?
….
How many? Seven in all she said
…..
E la piccola racconta dei due fratellini sepolti nel church yard. Il suo interlocutore ribatte:

But they are dead: those two are dead!
Their spirits are in heaven!

E la piccola:

‘Twas throwing words away; for still
The little Maid wound have her will
And said “Nay, we are seven!”

E’ la volta di un grande: George Gordon Byron (1788-1824)

Childe Harold’s adieu

Adieu, adieu! My native shore
Fades o’er the waters blue;
The night-winds sigh, the breakers roar,
And shrieks the wild sea-mew.

L’addio al lido natio, ricalcato anche dall’addio al lidi italici dell’esule (a Londra) Giovanni Berchet (quello del Giuramento di Pontida): pensate, del Berchet ho una raccolta completa delle sue poesie, un volumetto originale edito a Londra nel 1848, dono dell’amica Camilla! Quasi come una dedica, in copertina egli scrive: “Adieu, my native land, adieu!”. Lo stesso Adieu ricorda poi l’addio monti (monti, non Monti) manzoniano.

Ancora solo un paio di autori: Walt Whitman (1819-1892), con il suo O Captain! My Captain! reso famoso per la citazione nel film “L’attimo fuggente” ed infine, di Henry Wadsworth Longfellow (1807 – 1882), con la sua “Excelsior”, poesia da me, già aiuto istruttore sezionale di alpinismo CAI Sez. Ligure, tradotta liberamente. Eccola:

Excelsior

E’ scesa la sera.
Le ombre e la notte
slavinano a valle
per inghiottire una giovane vita
che compie il suo viaggio
s’un manto di voce attutita.
E piccola strada
d’alpino villaggio
si sveglia al garrire
di una bandiera
recante uno strano messaggio:
“Più in alto!”
D’aspetto egli è triste
come spento carbone
ma sotto le ciglia
scintillano occhi di brace
lame arabesche d’acciaio
scagliate saette a colpire
la luna e le case.
Un grido argentino
sanguina il cielo
gocce di buio:
“Più in alto!”
E vede il calore e la luce
fasciare nel canto
riunite famiglie
magìa profumata e felice del fuoco
e soltanto per lui
quel poco
riflesso di ghiaccio
a indicare
dove conduce la via.
Sospira il giovane
e parla a se stesso.
“Più in alto!”
“Tentare non devi quel passo!”
gli grida da sotto lanugine bianca
l’affetto di un vecchio.
“E sta per tuonare!
Non senti il torrente?
Il suo rombo ti avverte”.
Ma alla parlante
antica
amichevole voce un po’ stanca
risponde uno squillo
di tromba vibrante:
“Più in alto!”
Anche le donne
da dietro le porte
tentano invano fermare
la marcia di morte:
“Rimani a dormire sul seno materno!”
è il loro amorevole invito.
Sospira
in silenzio com’era venuto
ed il buio accende al colore del mare
due occhi ormai pieni di pianto
mentre innalza il suo canto
alla notte
che invita a partire incontro all’eterno:
“Più in alto!”
“Attento alle lance
ormai secche ed aguzze dei pini
ed alla valanga
che il foen può staccare dal monte!”
E’ questo l’estremo saluto
che corre a sposare
in attonito tempio
di colonne ululanti silenzio
un gridato respiro:
“Più in alto!”
Al nuovo mattino
sul passo del Gran San Bernardo
più forte del fischio del vento
odono una preghiera
devoti Pastori
intenti a innalzare la loro al convento:
“Più in alto”!
E un cane
pastore anche lui
scavando la massa di neve
fa emergere forme di ghiaccio
un giovane corpo
ed una speranza scolpita:
“Più in alto!”
Sdraiate nel letto di neve
ormai senza vita ma belle
riposano statua e bandiera.
La giornata è finita.
Lieve una stella
attraversa il velo dell’aria sospesa
mantello alla sera
e il pianto delle sorelle
fili di perle in un cielo cobalto
cadendo
consola con voce inattesa:
“Più in alto!”.

Volete verificare la qualità della traduzione? Procuratevi il testo originale …  Nel frattempo, amici, a risentirci per il bloggeanno!