LA MORTE DI CHAVEZ (con riferimenti a Grillo)

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 12 Marzo, 2013 @ 4:52 pm

Detto altrimenti: open blog ospita un post altrui (http://narcolessico.wordpress.com) – (le evideniture di alcune parti con il grassetto corsivo sottolinato sono una mia scelta)

Inizia:

La “distanza” di Chavez e la sua elaborazione

Le simpatie prescindono dai contesti. Questa è la loro forza e, al tempo stesso, il loro limite. Per Chavez, ad esempio, non ho mai nutrito una particolare simpatia. Il suo modello di democrazia “Participativa y Protagónica”, strutturalmente vicino alla sostanza politica di un’autocrazia ratificata dall’ovazione (in questo senso, si veda ad esempio l’istituto del Referendum Revocatorio introdotto dalla Costituzione Bolivariana del 1999), confligge con la maggior parte dei miei convincimenti politici, per lo più liberali.

Il fatto che Chavez non mi stia simpatico, tuttavia, conta veramente poco. Ho trovato anzi piuttosto curiose, per non dire ridicole, le condanne e gli scetticismi piovuti a chiosa della vicenda, politica e umana, di Chavez da parte di molti osservatori nostrani, che non hanno mancato di illustrare lo scarto fra la Repubblica Bolivariana del Venezuela e il manuale delle perfette democrazie rappresentative che possiamo evincere dalle costituzioni europee più avanzate. Mi riesce oggettivamente difficile capire quale valore aggiunto possa essere ricavato da questi discorsi. Cosa vogliamo dimostrare? Che in Sudamerica non hanno avuto la Rivoluzione Francese? Non occorre dimostrarlo. Non ce l’hanno avuta e basta.

In Europa no. La conquista borghese delle libertà politiche e la costruzione ponderata dello stato di diritto sono patrimoni tendenzialmente acquisiti e dobbiamo tutelarne l’eredità. In questo senso l’ascesa di BEPPE GRILLO, nella misura in cui assume il volto di un attacco frontale agli istituti della nostra democrazia preposti alla mediazione e alla rappresentanza, dovrebbe farci presagire l’estrema prossimità fra una democrazia radicalmente diretta e la sua implosione autoritaria, che nel modello liberale a cui sono affezionato viene disinnescata – esattamente – dagli istituti di cui sopra. La proposta politica di BEPPE GRILLO sovverte le ragioni stesse del nostro Stato di Diritto e configura pertanto una soluzione tecnicamente eversiva. Essa, insomma, volge le spalle alla nostra Costituzione ed è su queste basi, alla luce – cioè – di quanto rischia di farci perdere, che può e deve essere contestata.

Non ci si può tuttavia lamentare della mancata difesa dello Stato di Diritto là dove non c’è niente da difendere. Nel 1999, Chavez sale per la prima volta al potere succedendo al governo conservatore di Caldera (1994-1999) e a quello socialdemocratico di Pèrez (1989-1993), durante i quali la sussistenza di un dispositivo elettorale formalmente democratico si era accompagnata alla violazione di elementari diritti umani, al mancato riconoscimento di altrettanto fondamentali diritti civili e, soprattutto, al totale abbandono delle istanze provenienti dalle fasce più disagiate della popolazione. Corruzione, repressione, prigionia politica, strategie economiche prone al saccheggio delle risorse nazionali – soprattutto petrolifere – da parte delle potenze straniere, sorda subalternità al Fondo Monetario internazionale, disoccupazione, sistema sanitario fatiscente, mancato contrasto all’analfabetismo, alla povertà, alla fame e alla malnutrizione. Quando Chavez entra nei palazzi del potere di Caracas, il quadro che ha davanti è questo ed è il quadro – in fondo – di una terra di conquista, tristemente tipico in Sud America.

Benché al Comandante Chavez si possa certamente contestare un atteggiamento tutt’altro che tenero nei confronti dei dissidenti politici e una gestione costantemente plebiscitaria del consenso, sarebbe falso negare che la sua politica ha dovuto affrontare, in primo luogo, urgenze umane e sociali rispetto alle quali l’articolazione compiuta e perfetta di uno Stato di Diritto, a partire – per esempio – da una corretta separazione dei suoi poteri, finisce per perdere non dico di valore ma certamente d’attualità. Dico questo da una prospettiva autenticamente liberale, affezionata in maniera sincera al rigore istituzionale delle democrazie rappresentative occidentali, non disponibile – per essere chiari – a negoziarne i profili con un materiale politico di risulta come BEPPE GRILLO, ma abbastanza elastica – tuttavia – da riuscire a includere nel proprio campo visivo anche il caso in cui qualcosa, come ad esempio la necessità di far sopravvivere la popolazione, esibisca dignità e rilievo tali da sopravanzarla, sospenderla, differirla, congelarla.

Se non vuole collassare sullo stesso cieco idealismo che ha sorretto la follia americana dell’esportazione militare della democrazia, il pensiero liberale deve dotarsi della capacità di riconfigurare le proprie priorità in funzione del contesto. Non credo, in assoluto, che le battaglie liberali possano essere archiviate da una comunità di uomini che aspira a definirsi civile, ma credo che esistano circostanze in cui altre battaglie richiedono di essere combattute per prime. In Venezuela queste battaglie sono diventate le Missioni Bolivariane di Chavez e i risultati di queste battaglie sono dati impressionanti, che aiutano a spiegare e dimensionare – anche al di là delle cifre – il lutto di questo Paese per la scomparsa del suo Presidente.

Inoltre, ammesso e non concesso che le democrazie occidentali possano ascriversi l’esclusiva titolarità della “civiltà“, occorre considerare la misura in cui il conseguimento, il mantenimento e lo sviluppo di quest’ultima sia stato fatto pagare, in qualche modo, alle aree del Pianeta meno sviluppate, laddove cioè non vige alcuna “pruderie” civilista e possono dunque essere riversati quei processi che lo Stato di Diritto, a casa nostra, trasformerebbe in qualcosa di meno conveniente. Un’altra riflessione possibile, detto altrimenti, riguarda il Sud del Mondo come vaso di scarico dell’entropia generata dai sistemi occidentali, nei quali la difesa dei diritti della persona sembra quasi – localmente – non avere costi (che invece ha e che sono semplicemente pagati altrove). Questo aiuterebbe a spiegare la risposta politica di tipo socialista o almeno solidarista che in Sudamerica sta ormai diventando prevalente, anche se con accenti e sfumature diverse (la politica di Lula non è certamente omologabile a quella di Chavez), e aiuterebbe soprattutto a spiegare come essa si specifichi in aperto contrasto, non soltanto ideale ma anche economico, ai modelli democratici occidentali, contro i quali vengono messe in gioco strategie di politica estera mirate e coordinate. Chavez, ad esempio, ha puntato molto sul rilancio dell’OPEC e sulla promozione dell’Alba (Alternativa Bolivariana para América Latina y el Caribe) costituita in contrapposizione all’Alca (Area di Libero Commercio delle Americhe) voluta dagli USA.

Fatico invece a spiegarmi il favore con cui una certa sinistra europea guarda all’esperienza di Chavez come se fosse un modello importabile e articolabile anche qui, nell’Europa delle democrazie rappresentative, dell’equilibrio fra i poteri, del rapporto negoziale – certamente precario ma comunque vigente – fra libertà economiche e tutele sindacali, dei diritti civili e della loro faticosa e progressiva estensione. La crisi economica ha certamente acuito il problema della disoccupazione, peggiorato la situazione delle fasce meno abbienti della popolazione e divaricato la distanza della politica dalla realtà, ma credo sia molto pericoloso coltivare, qui, suggestione bolivariste, lasciandosi tentare dalla prospettiva di archiviare l’esperienza dello Stato di Diritto senza scommettere ancora sulle sue possibilità di riscatto. C’è una preoccupante irresponsabilità di fondo nell’invocazione di una piattaforma socialista che getti di fatto alle fiamme un percorso di maturazione democratica durato secoli e costato la vita a milioni di persone.

A questa sinistra, perennemente alla ricerca di casi e dimostrazioni che la confortino sulla realizzabilità dei propri ideali, Chavez piace, è normale che sia così e la cosa non mi crea alcun problema. Lo stesso sforzo di onestà intellettuale nel quale, da liberale, ho tentato di prodigarmi per evitare condanne decontestualizzate del bolivarismo venezuelano, vorrei però che si imponesse anche a coloro che ne celebrano, adesso, una sorta di culto e ne sognano – forse – una versione europea, spagnola, portoghese, greca, italiana. Sono molti i punti da cui è possibile partire per affrontare una riflessione che ha l’unico e imprescindibile obiettivo di preservare una nozione e una pratica di cittadinanza rimuovendo le quali non avremmo più ragione di definirci “liberi”. Ci si potrebbe interrogare, ad esempio, sul principio della separazione dei poteri e su come questo verrebbe rimesso in discussione, o quantomeno in tensione, nel quadro di una democrazia “Participativa y Protagónica”

Oppure, a un livello meno istituzionale, ci si potrebbe interrogare sulla natura politicamente eteroclita del fronte che in queste ore sta omaggiando il Comandante Hugo Chavez, un fronte – per intenderci – che raccoglie elementi della sinistra alternativa e internazionalista e movimenti della destra sociale, extraparlamentare e nazionalista (in Italia, ad esempio, Casa Pound). Nazionalismo e socialismo, in Chavez, si tengono assieme ma la loro armonia dipende da un’olistica delle idee prettamente sudamericana, grazie alla quale il pedigree politico del bolivarismo ha potuto integrare, per esempio, anche la fede cattolica (Chavez era un cattolico praticante) attraverso la Teologia della Liberazione. Questo genere di connessioni ideali, in Italia e – per lo più – anche in Europa, sono più difficili da tracciare, pressoché impossibili da declinare politicamente. Esse mancano, soprattutto, delle necessarie premesse antropologiche, tanto che – adesso – estrema destra ed estrema sinistra si contendono, con pezze d’appoggio parziali e – a loro modo – coerenti, la genuina titolarità del ricordo e dell’eredità di Chavez.

Finisce

Condivido, ovviamente soprattutto le parti che io mi sono permesso di evidenziare!

Fine del post

Ceterum censeo … e poi penso che non sia accettabile che parlamentari del secondo partito di maggioranza relativa del paese, violando le regole di accesso (controlli elettronici compresi, tanto per capirsi), invadano il tribunale di Milano cercando di forzare l’andamento della giustizia e interferendo nel principio costituzionale della separazione dei poteri. Inoltre, così come non approvo chi nel passato ha definito il parlamento un possibile “bivacco di manipoli”, non approvo oggi chi lo definisce “una scatola di sardine”. Prendo infine atto che oggi due persone sono purtroppo di ostacolo all’esercizio della democrazia: una, per i suoi problemi giudiziari; l’altra, per la indisponibilità a “partecipare” al governo del paese, essendo disponibile solo al “proprio” governo, benche’ in minoranza, aspirando inoltre essa – nel frattempo – non a raggiungere la maggioranza dei consensi, ma la totalità.

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