TRENTO: GRUPPO DI LETTURA PRESSO LA BIBLIOTECA COMUNALE (Le Georgiche di Virgilio)

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 29 Maggio, 2013 @ 6:30 am

Detto altrimenti: … “conduce” MARIA LIA GUARDINI

Il Garda avanza …

E anche quest’anno il nostro gruppo di lettura è giunto  alle “vacanze estive”, di un’estate che non è preceduta da alcuna primavera. “E la chiamano estate …” recitava una vecchia canzone di Bruno Martino … ma già, direte voi, siamo ancora in primavera, di che ti lamenti? Ma qua’ pimavera? Qui da noi, in Trentino, abbiamo la neve a 900 metri di quota. Ma si può? E poi, piove piove – altra canzone famosa – sul nostro … suol ! I laghi … alcuni (Caldonazzo) esondano, altri (Garda) poco ci manca … Da Ligure trapiantato qual sono io, alterno ad espressioni trentine quelle d’origine: “ e zu egua”, e giù acqua. Ed allora niente gite in montagna, tanta, tanta bicicletta in meno (addio sogni di … gloria kilometrica: “quest’anno ho fatto tot km” … una frase che non direte a fine stagione, non vi converrà!).

Mamma, a quarant’anni

Libri. Letture. Quelle sì. E siamo arrivati alle Georgiche di Virgilio. In biblioteca ci danno una copia a testa dell’opera. A me no … ho quella di mia mamma, classe 1904, prof di lettere, una bella edìzione Zanichelli del 1954 (io avevo dieci anni, mamma quaranta). Sfogliandola, ho “scoperto” due leggerissimi tratti a matita. Mi sono commosso, sicuramente sono suoi… Primo secolo a. C.: Ottaviano Augusto, pax romana dopo 200 anni di guerre. L’imperatore voleva riscostruire il ceto medio agricolo, la classe contadina media e restaurare i valori che avevano fatta grande la Roma repubblicana. Ed allora sotto con gli … spot televisivi dell’epoca, cioè con l’esaltazione della pastorizia (Bucoliche) e della vita contadina (Georgiche).

Virgilio viene ingaggiato da Mecenate, che era una sorta di Ministro della Comunicazione e della Cultura dell’epoca, una sorta di Minculpop, che poi attrarrà a sé anche Orazio. Ingaggiato ma non del tutto sottomesso, nel senso che non rinuncia alle sue idee. Lo dimostra del resto quando scrive che si atterrà alle indicazioni di Mecenate, condotto a ciò dalle sue non leggere pressioni: “haud molla iussa” (III, v. 41). Cultura un po’ “pilotata” quindi se vogliamo, ma pur sempre cultura. Del resto lo storico  Tito Livio ci racconta che Ottaviano, incontrando Virgilio, lo abbia salutato con amichevole ironia: “Ah, ecco qui il mio amico pompeiano!” Amico, lo definisce, benchè pompeiano, comprendendo appieno, egli, l’Imperatore vincitore in guerra, l’importanza della nuova arma: la cultura!

Quale differenza, rispetto al nostro oggi, oggi “dove” (che brutto modo di dire!) i nostri governanti semplicemente la ignorano, la cultura! Oh tempora, oh mores …

Virgilio

Le Georgiche rappresentano una svolta della poetica virgiliana, che concorre a sostenere il programma di restaurazione di Augusto, alla ricerca dei “boni mores antiqui”, di quando i Romani erano contadini di padre in figlio, ma che poi, strappati dalla loro vita dalle guerre, avevano girato il mondo, visto cose, conosciuto gente, preso contatto con altre religioni, maturato altre idee (strane, n. d. i, ovvero, nota dell’imperatore) e non si adattavano più a tornare a zappare la terra. Un po’ come i disadattati reduci dal Vietnam… mutatis mutandis, naturalmente! Quello di Ottaviano è quindi un intervento anti-crisi, pochi anni dopo l’uccisione di Giulio Cesare e la fine della guerra civile (42 a.C., battaglia di Filippi, 31 a.C. battaglia di Azio). Ottaviano fa chiudere il tempio di Giano, per testimoniare la fine del periodo delle guerre, tempio che era restato aperto per ben 200 anni!

E anche oggi, qui da noi, in Italia, la cultura potrebbe essere un ottimo strumento anti crisi: da coltivare per noi stessi e da vendere ai turisti.

 E Virgilio scrive le Georgiche (38 -29 a. C.). Si tratta di quattro libri dedicati alla coltivazione e all’allevamento del bestiame. Poesia dotta, didascalica, letteratura intesa come “sistema” (dal greco sùn ìstemi = sto insieme) di generi. Tuttavia Virgilio non ha inventato nulla. Prima di lui su questo filone si sono cimentati Esiodo e quindi in età ellenistica, Aratto e Teognide. C’è poi anche Lucrezio, con il suo “De rerum natura”. Ma Lucrezio è un personaggio anomalo, che vuole diffondere la filosofia epicurea la quale contestava l’intervento degli Dei nelle cose umane e il valore della tradizione (Lucrezio era un “picconatore” ante litteram). Religione? Per Lucrezio deriva da re-ligo, “incateno” (le menti). Più picconatore di così … Altri riconducono l’origine della parola al radunare insieme le persone.

Un’ora sola … t … rebbierei …

Ma torniamo al nostro Virgilio, Le Georgiche non sono il manuale del perfetto contadino, bensì un “manifesto” rivolto alla classe elitaria, agli opinion leaders, per convincerli a sostenere la riforma augustea. Il paesaggio descritto non è più quello idilliaco delle Bucoliche, del pastorello che “non suda” intento com’è a zufolare sul flauto. Qui si lavora, gente! Qui lo sfondo è quello del sudore e della fatica intese come allenamento per la riconquista delle antiche virtù (un po’ come il nostro duce Benito, a schiena nuda, sotto il sole cocente, a trebbiare il grano … per dieci minuti!). Infatti l’agricoltore è “pius”, cioè “rispettoso delle leggi umane e divine, dei genitori, della tradizione”. Un perfetto conservatore, quindi.

Se vogliamo anche oggi ne abbiamo. alla TV. Tutte le trasmissioni tipo “Sereno Variabile”, “Linea Verde”, “Mare Azzurro”, etc..

Il lavoro … “labor omnia vincit” (I, 145) sta scritto sul portone della mia casa d’origine, a Genova, in Via Rodi n. 10, quartiere di Albaro, edificata in epoca fascista. Tipo: “qui si lavora, non si fa politica”. Eh .. eh … Quanta ipopcrisìa nell’abuso della parola “lavoro”! Pensiamo all’ Arbeit macht frei posto sul cancello d’ingresso ad Auschwitz!

Lavoriamo, non perdiamo tempo “fugit inreparabile tempus” (III, 284), chi ha tempo non aspetti tempo, altro che l’odierno “non fare tu oggi ciò che puoi far fare ad altri domani” della nostra politica!

Ma basta, voglio chiudere da velista gardesano qual io (fra le altre cose) sono, con i due versi che maggiormente amo (II, 159, 160):

anne lacùs tantòs? Te Lario, maxime teque
fluctibus et fremitù adsurgens Benàce marino?

E che dovrei mai dire dei laghi italiani così belli? Cosa mai di te, Lario, ma soprattutto cosa mai dovrei dire di te, Benaco, le cui tempeste nulla hanno da invidiare a quelle del mare?

Grazie Lia, alla nostra ripresa autunnale … con l’Eneide. Di chi? Di Virgilio, diamine, e che … sono domande  da farsi queste?