UNA SCALATA NELLE DOLOMITI DI BRENTA

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 5 Marzo, 2012 @ 9:02 am

Detto altrimenti: nella mia vita ho corso un bel rischio quando mi …. “legai” ad una bionda …

La ferrata delle Bocchette in Brenta

Tanti, tanti anni fa … lui era un diciannovenne genovese. Un giorno, mentre era in vacanza in una valle trentina (la Val di Non, quale altra se no, per un genovese?) gli proposero una gita sulla via ferrata delle Bocchette nelle Dolomiti di Brenta. Accettò, tutto andò bene, salvo che lui durante un rifornimento di benzina a Cles dimenticò la giacca a vento sul tetto dell’auto, che quindi, ripartendo, perse. Peccato che poi piovve quasi tutto il giorno! Tuttavia il giovane si innamorò delle Dolomiti. Tornato sul mare, si iscrisse alla scuola di alpinismo del CAI – Sezione Ligure e dopo due anni divenne aiuto istruttore sezionale di alpinismo. Alla fine di una successiva vacanza, sempre nella stessa valle, si fa lasciare dalla fidanzata e dal futuro suocero al Passo Campo Carlo Magno. Estratto a fatica il pesantissimo sacco dal bagagliaio dell’auto (una Fiat 124, ma ce la fai? Gli chiede il futuro suocero), in funivia fino al Grostè e poi, a piedi, ai rifugi Casinei e Brentei ed infine sino a Rifugio Pedrotti alla Cima Tosa, dopo sette ore di una marcia lenta e faticosissima a causa di un sacco che conteneva il necessario per sette giorni di arrampicate, mangiare e dormire compreso, i soldi in tasca erano davvero pochi.

Lì avrebbe dovuto raggiungerlo da Genova il suo compagno di scalata. Non venne. E così il nostro eroe si trovò in un rifugio con tutto l’occorrente per una settimana di scalate, con tutto, dicevo, tranne il compagno di cordata!

Clicca sul … il Croz del Rifugio … (… Pedrotti alla Tosa)

Inizia quindi qualche breve arrampicata slegato, in solitaria, sul Croz del Rifugio, non azzardandosi ad attaccare vie più difficili senza l’assicurazione della corda e di un compagno, cosa che invece poi fece, anni dopo, a fine carriera alpinistica, quando scalò in solitaria il Cimon della pala a S. Martino di Castrozza, per poi rientrare in albergo e dichiarare che con (le sigarette e) l’alpinismo aveva chiuso, per la responsabilità che avvertiva nei confronti della moglie e della figlioletta di due anni. Ma torniamo a noi. In rifugio il ragazzo conosce un tedesco che voleva andare sulla Cima Tosa, ma non conosceva il percorso. Il nostro aiuto- istruttore si offre di accompagnarlo (gratuitamente, manco a dirlo), visto che aveva già fatto quella salita. Appuntamento alle cinque del mattino, a meno che non stesse piovendo. Alle cinque del mattino, puntuale come solo i tedeschi del Nord sanno essere, il ragazzo viene svegliato dal nuovo amico: “Rikkardo, sveglia: piove, nicht Tosa”. Ah, questi tedeschi …. Comunque, dopo tre notti passate sui tavoli della sala da pranzo (cosa nomale in estate nei rifugi super affollati del Brenta) il giovanotto ha assegnata, tutta per lui, una cameretta con due (due!) cuccette a castello, in “bianco e nero” diceva il listino prezzi, cioè con lenzuola e coperta! Un lusso insperato!

Eccolo … tanti anni fa …

E qui inizia il bello (si fa per dire!). A cena conosce una bionda, la quale si lamenta di non avere un letto ove dormire e di non avere un compagno di cordata, lei che aveva scalato il Campanile Basso per una via di quarto grado (la via Fehrmann, un diedro molto “esposto” e faticoso) e molte altre vie impegnative della zona. Il nostro uomo drizza le orecchie: le offre un letto nella sua cameretta e di legarsi insieme in cordata, prudentemente per una salita facile: la via normale alla parete nord della Torre di Brenta, una salita di secondo grado con un tiro di corda di terzo. Detto, fatto. Prima entra lei in camera e si colloca nella cuccetta superiore. Indi entra il nostro giovane e si sistema in quella inferiore. Buonanotte. La mattina dopo lui è riposatissimo, lei no, perché, dice, “era stata molto sveglia preoccupata della presenza di un ragazzo che chissà che idee aveva in testa”

Il ragazzo non capì  se fosse stato un rimprovero, un rimpianto, una lamento, una delusione, un invito per la notte successiva …. (ci sta ancora pensando oggi, dopo tanti anni).

Ma veniamo alla scalata.

Al centro, imponente, la Torre di Brenta m. 3013 (poi, a destra, gli Sfulmini e il Campanile Alto)

I due si legano le estremità della corda al basto, controllano chiodi, martello, cordini, moschettoni, assicurano bene i sacchi da montagna ed i rispettivi caschi e via! Il nostro giovane parte: il primo tiro di corda è un secondo grado verticale ma con maniglioni comodi comodi e lui se lo mangia di volo, si assicura saldamente ad un comodo punto di sosta (bastò dare di volta con la corda ad un comodissimo spuntone roccioso, senza bisogno di chiodare la parete) e grida alla bionda di salire. La ragazza si muove e subito grida al capocordata di “trattenerla sulla corda”. Al che al nostro eroe sorge un dubbio, anzi una certezza: farsi tirare dalla corda su un secondo grado non è il massimo, anzi, denota molto male … ma ormai si è in ballo … Tutta la scalata procede così … lentissima, … ma anche peggio! Infatti mentre lui, capocordata, arrampica impegnato nel tiro di corda di terzo grado, e cioè nel un tratto più delicato quindi e con appigli e appoggi minimi, la ragazza, senza avvertire, anziché restare in posizione, pronta ad assicurarlo se egli avesse piantato un chiodo, si slega dalla sicurezza ed inizia a sua volta ad arrampicare, salvo gridargli come al solito di “essere pronto a trattenerla sulla corda”!

Fortunatamente questa volta la bionda non ebbe bisogno d’essere trattenuta, altrimenti al minimo strattone il capocordata sarebbe precipitato. Vivo per caso.

Giunti in vetta dopo un tempo doppio rispetto al normale tempo di salita, la bionda si toglie gli scarponi “per far pender aria ai piedi”. Un bercio del ragazzo la riporta all’ordine.

Infatti occorreva accelerare la discesa anche perché lui era atteso verso le sei di sera al fondovalle (al Rifugio Vallesinella, verso Madonna di Campiglio) dai suoi genitori che lo avrebbero rilevato con l’auto.

Nei camini della discesa

La bionda, di fronte alle sue preoccupazioni dice di non preoccuparsi perché una guida alpina le aveva assicurato che scendendo lungo i camini a fianco della via normale, si sarebbe fatto in un lampo, senza alcuna difficoltà. Tanta era la voglia di liberarsene, che il ragazzo accetta il suggerimento della bionda. E cade nel secondo tranello: infatti i camini risultano “semplicemente” svasati, sfasciati e bagnati: il massimo! Egli inizia quindi a calare di peso la bionda giù per il colatoio e quando tocca a lui scendere la cosa risulta molto impegnativa e faticosa: infatti egli deve procedere facendo pressione lateralmente con gli avambracci non potendo utilizzare l’appoggio sui piedi in quanto ciò avrebbe smosso sassi di varie dimensioni che sarebbero diventati pericolosi proiettili per l’ “inquilina” del piano di sotto, per di più facendo attenzione che non fosse la stessa corda a rimuovere qualche sfasciume di roccia. Ma non è finita. Infatti, giunti finalmente nella crepaccetta terminale alla base della parete, una trincea profonda circa un metro e mezzo fra il nevaio e la parete, mentre il ragazzo si sta finalmente rilassando, la bionda si mette a correre, felice, giù lungo il pendio nevoso dimenticando di essere ancora legata al capocordata. Infatti. quando la ragazza si è “mangiata” tutta la lunghezza della corda, il ragazzo è strattonato e dà una bella facciata contro la parete nevosa della crepaccetta. Al che egli esclama: “Ca … spita, stai attenta!” (o forse usò qualche altra espressione più vivace).

Il Rifuguio Vallesinella, vicino al posteggio auto

Indi con una corsa e in un’ora e mezzo, un vero record, trafelato e sfinito, il nostro eroe giunse con forte ritardo sulla tabella di marcia concordarta a Vallesinella dove i suoi genitori stavano per dare l’allarme al soccorso alpino.

Morale:  alpinisti uomini, attenti prima di … legarvi ad una bionda!