STEFANO CUCCHI

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 2 Novembre, 2014 @ 7:56 am

Detto altrimenti: omicidio di Stato   (post 1720)

Tutti assolti in appello. Ho sentito alla radio che il rappresentante del sindacato delle forze di polizia avrebbe dichiarato che “se uno conduce una vita balorda, poi non c’è da stupirsi se poi gli capita …” (riporto virgolettato ma a memoria … ma il senso è esattamente questo). No comment.

Sono figlio di un Maresciallo dei Carabinieri. Ho prestato servizio militare quale sottotenente di complemento nella Brigata Alpina Tridentina. Sono laureato in giusripsrudenza. Sposato in Chiesa. Tanto per capirsi.

Ho sempre insistito a che i poliziotti abbiano un numero di riconoscimento sul caso e sul giubbetto.

All’interno delle carceri, dei posti di polizia (e anche delle stazioni dei CC?) cosa succede? Quello che era successo nella caserma di Bolzaneto a “quelli della Diaz”?

th[8]

Per rispetto alla memoria della persona, non pubblico la foto dopo le percosse e la morte.

Il giudice giudica secondo “il suo libero convincimento” (ma  ovviamente non oltre la legge!). Ciò lo  mette al riparo da eventuali  “istruzioni gerarchiche” che invece sono lecite, possibili ed ammissibili in altri ambiti (nelle SpA, ad esempio), ma non lo esime dall’obbligo di evitare decisioni arbitrarie, come quando non tiene conto delle moltissime omissioni e trasgressioni – tutte documentate – delle regole che avrebbero dovuto garantire alla vittima un trattamento civile, umano, ma soprattutto legale.

In dubio pro reo, scrivevano e applicavano gli antichi romani. Ma i romani moderni no. Nel dubbio di non potere/volere accettare le certificazioni (degli organi pubblici!) esistenti, hanno deciso che la vittima ha torto ed hanno assolto i picchiatori ed i medici.

Quo usque tandem? Fino a quando, insomma, avremo questo stato (di cose) e questo Stato (quasi) di diritto?

Proceduralmente: se i giudici di primo grado si vedono modificate dal giudice di appello molte loro sentenze, sanno che ciò influirà negativamente sulla loro carriera. Il giudice d’appello invece non sbaglia mai, non può sbagliare, in quanto le sue sentenze possono essere impugnate in Cassazione solo per motivi di diritto, non di fatto, come quando ad esempio abbia (incredibilmente!) comminato una pena di anni superiore a quelli previsti dall’articolo del codice che viene applicato (è successo di recente!). Ma nel fatto no, essi non hanno nessun ulteriore controllo, quindi sui “fatti” sono “infallibili ”. Come il Consiglio di Stato. Quindi, arrivati in quelle posizioni, vi è solo “potere” e non anche la (possibile) “responsabilità“. E il potere disgiunto dalla responsabilità, nel migliore dei casi può diventare superficialità e – nel peggiore – arbitrio e malafede.

Dice … ma vi è l’esigenza della certezza del diritto, non si può andare avanti all’infinito. D’accordo, ma allora rispettate le regole, tutte le regole, anche quelle “intermedie”: ad esempio quelle che riguardano come trattare i fermati, gli arrestati, i carcerati, i malati e i loro diritti. Non solo le “regole finali” ovvero le sentenze passate in giudicato!

Dice … ma Cucchi si drogava … spacciava. A maggior ragione: proprio a queste persone va dedicata più attenzione, più cura, per cercare di recuperarle nell’interesse loro e della comunità, all’interno della giusta applicazione della pena legalmente prevista dal codice penale. Teniamo presente che un detenuto costa alla collettività 250 euro al giorno e che i detenuti che non hanno usufruito di un piano di recupero sono recidivi nella elevatissima  misura del 70%. Quindi, se non lo si fa per motivi umanitari, lo si faccia per motivi economici e pratici, ma lo si faccia.

Quanto alla immutabilità della sentenza di assoluzione … il PM ha annunciato che chiederà un supplemento di istruttoria. Forse – ma io non sono aggiornato e quindi scrivo “forse” – la sentenza può essere impugnata con una azione revocatoria, ove essa non abbia tenuto conto di alcuni fatti i quali nel procedimento di revocazione risulterebbero quindi esaminati ex novo, ovvero “nuovi”. E questi “fatti” non presi in considerazione potrebbero essere tutti quei “fatti intermedi” e quelle “violazioni delle regole intermedie” alle quali  accennavo prima.

Oppure vale il principio “ne bis in idem” e cioè che nessuno può essere giudicato due volte per lo stesso reato? Raga, mi sono laureato in legge nel 1968 (alla maniera antica, tradizionale, intendiamoci!) e poi ho sempre fatto un altro mestiere, ovvero ho gestito SpA … quindi mi sia concessa qualche incertezza … L’importante è avere posto il problema. Ad altri la soluzione.