PRIVATIZZAZIONI: POSSIBILE OBIETTIVO DELLE COMUNITA’ DI VALLE

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 14 Aprile, 2012 @ 5:59 pm

Detto altrimenti: trasformare una necessità in un’opportunità, possibile compito/obiettivo delle nuove Comunità di Valle.

Il governo Monti
1. si sta occupando delle liberalizzazioni, rectius, di alcune liberalizzazioni. Ora, in miei precedenti post avevo accennato che avrei scritto “qualcosa”, certo non “tutto” anche sulle privatizzazioni. Ed eccomi qua, a dire questo “qualcosa”;
2. anche (anche) su “invito” dell’Europa, potrebbe infatti essere condotto a privatizzare molte società pubbliche, se non altro per non essere costretto a comprendere nell’ammontare del debito pubblico anche i debiti di tali SpA, il che peggiorerebbe di molto il rapporto debito pubblico-PIL. Il che non è accettabile anche per gli impegni assunti in sede europea.

Ma alcuni settori non si possono privatizzare, come la gestione dell’acqua, sia per la natura “strategica” del servizio sia perché così dice un referendum popolare. Altre attività producono utili, ed allora perché privatizzarle? Altre sono in perdita, ed allora chi se le comprerà mai? (A meno di scaricare il tutto sulle spalle degli utenti attraverso fortissimi aumenti tariffari). Ed allora?

La soluzione potrebbe consistere nel sistema già adottato di Spa a capitale misto pubblico-privato gestite da imprenditori privati secondo le tecniche che essi – e non i funzionari pubblici – conoscono, con l’Ente Pubblico che interviene solo quale regolatore delle tariffe, della qualità dei servizi etc… Ma al riguardo il legislatore non ha adeguato in modo armonico e completo la relativa legislazione, generandosi situazioni di incertezza ad ogni livello, sia esso gestionale che giurisprudenziale e giudiziario. Un esempio? Se l’Azionista Comune  “ordina” ad una sua Spa (ad esempio gestore della sosta)  di cui possiede la maggioranza azionaria di applicare tariffe fallimentari, i responsabili di tale società cosa devono fare? Dare le dimissioni? L‘alternativa sarebbe o non ubbidire, ed allora essi violerebbero l’impegno di “adeguarsi alle direttive del Comune”che è stato fatto loro sottoscrivere all’atto della loro nomina, oppure “ubbidire” e danneggiare la società. Ma così non funziona: esistono leggi e responsabilità precise. Una SpA non è un ufficio comunale.

E veniamo allora alla società pubblica, interamente tale, tenendo presente quanto segue: in Italia il termine “società pubblica” indica una società posseduta da un Ente Pubblico. Nel mondo anglosassone, il termine “public company” significa “società posseduta dalla collettività dei cittadini” e “privatizzare” si traduce con “to go public”.

Ed allora proviamo ad immaginare la situazione seguente, che ipotizziamo relativamente ad un Comune trentino facente parte di un ambito territoriale funzionale intercomunale. Il nostro Comune non attende di essere costretto a vendere ai privati (“privatizzare”) una sua Spa entro una data fissa per ottemperare ad un probabile “dictat” legislativo, se non altro perché il prezzo della vendita scenderebbe di molto di fronte ad un compratore consapevole di tale obbligo a scadenza.
Il nostro Comune potrebbe decidere di inglobare la sua SpA all’interno di altra sua SpA o ufficio, ma in tal caso il settore inglobato passerebbe da una gestione tipo “centro di profitto” ad una tipo “centro di prestazione”. In altre parole, il settore sarebbe gestito e valutato indipendentemente dal suo costo e risultato economico, con probabili aggravi per la finanza comunale ed il suo indebitamento, per di più senza alcuna prospettiva di crescita a livello di sistema d’area funzionale d’utenza intercomunale.
Ed allora, volendo e convenendo mantenere la forma SpA, ben prima di quel momento il nostro Comune stipula con la sua Spa adeguati contratti di servizio che gli garantiscano comunque il controllo della qualità e dei costi del servizio. Indi il Comune apre il capitale della Spa ai cittadini propri ed a quelli dei Comuni confinanti, uscendo egli stesso dal capitale della sua (ormai non più sua) Spa. La Spa diventa interamente privata, “dei cittadini locali” i quali sono innanzi tutto interessati ad avere servizi efficienti e a costo contenuto, più che, almeno in questa prima fase, a ricevere dividendi azionari. A quel punto i Comuni appartenenti all’a stessa area funzionale interessata si consorziano e lanciano un unico bando intercomunale per la gestione del servizio pubblico a livello unificato intercomunale con rilevanti migliorie funzionali e forti economie di scala. La Spa vi partecipa con ottime probabilità di vittoria, in quanto, essendo già operante sul territorio ne conosce ogni aspetto di criticità e di opportunità e può formulare l’offerta di gran lunga assai più tempestiva e favorevole.

Oltre a ciò, la Spa vincitrice, dotandosi o già dotata di un unico Cento di Telegestione e Telecontollo, potrebbe, anche sotto questo profilo, far ridurre il volume complessivo degli investimenti dei vari Comuni necessari alla telegestione e telecontrolo del servizio e – acquisite le opportune licenze  e abilitazioni - espletare e vendere anche il servizio di controllo della sicurezza dell’area.

Infine, la Spa vincitrice, essendo a capitale interamente privato, potrebbe liberamente operare anche al di fuori dei confini dei Comuni d’origine, partecipando a bandi pubblici lanciati da altri Comuni ed anche stipulando contratti gestionali con soggetti privati. Il suo fatturato aumenterebbe, essa potrebbe assumere e formare altro personale locale; praticare condizioni sempre migliori ai suoi Comuni d’origine; produrre ritorni fiscali per la Provincia e utili di bilancio e quindi anche distribuire dividendi ai suoi azionisti. Un esempio? In Trentino, terra dei moltissimi Comuni di difficile reciproca fusione, stiamo già assistendo a Comuni che, per ragioni funzionali ed economiche, hanno riunificato le proprie Polizie Locali. Ed allora, gli stessi Comuni potrebbero riunificare anche la gestione della sosta e della mobilità attraverso un’unica Spa della Mobilità strutturata come sopra descritto.

In sintesi: si può ben dire “no” alla privatizzazione che preveda la cessione delle azioni di un SpA pubblica comunale dal Comune ad un singolo imprenditore privato ma si può dire “si” ad una privatizzazione che preveda un azionariato interamente popolare, locale e diffuso. Mi pare che l’Alto Adige abbia già fatto una scelta del genere in materia di energia.

Dice … ma se il Governo Monti non imponesse la privatizzazione? Nessun problema: nulla vieta che l’operazione descritta, utile e conveniente sotto ogni profilo, debba e possa essere ugualmente attuata. Ed allora, perché no? Bisogna che qualcuno eventualmente ce lo spieghi un eventuale “no”. Nell’interesse di tutti noi, della nostra terra, del nostro Trentino, non è sufficiente una “non risposta”.

Inoltre, quanto sopra ipotizzato potrebbe a buona ragione essere un obiettivo delle neonate Comunità di Valle, non vi pare?