DIAZ

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 15 Aprile, 2012 @ 8:07 am

Detto altrimenti: non dimentichiamo, anzi, interveniamo, affinchè ciò non si ripeta

Qui era ancora Maresciallo Capo, alla Legione Territoriale CC di Genova

1. Sono figlio di un Maresciallo Maggiore dei Carabinieri, di un padre che a suo tempo, dopo l’8 settembre, disse “no” ai Tedeschi e si fece due anni di campo di concentramento in Germania. Di un padre della cui memoria sono orgoglioso. Da lui e da mia madre sono stato educato, con l’esempio, al rispetto delle Istituzioni e della Legge.
2. Sono nato e cresciuto a Genova, in Via Rodi, a un paio di km dalla Diaz.
3. Da ragazzo andavo a sciare partendo da Genova alle 5 di mattina con pullman auto prenotato, insieme a tanti amici. Fra questi c’era Gabrio Barone, un anno più di me. Entrambi ci siamo laureati in giurisprudenza. Poi lui è diventato magistrato ed ha assolto, in primo grado, chi poi è stato condannato in appello per i fatti della Diaz. Io ho lavorato nelle SpA e non mi sento di “assolvere” quelle persone.
4. Gabrio, l’avevo perso di vista. L’ho rivisto in TV, a spiegare il perché della sua decisione.
5. Ieri sera, durante la trasmissione “Che tempo che fa”, ho assistito alla presentazione del film “Diaz”.

Ecco, la somma di queste coincidenze, mi ha indotto a scrivere una breve nota su quei fatti.

Prima proposta. A mio avviso le prime e più gravi responsabilità vanno ricercate a livello politico e poi giù giù,  a scendere. Voglio dire che tutta l’attenzione (pure dovuta) che è stata dedicata alla rappresentazione ed alla censura dell’operato dei poliziotti (operato assolutamente condannabile) dovrebbe essere prioritariamente indirizzata verso chi ha autorizzato e permesso questa inaudita violazione dei diritti civili.

Seconda proposta.  Ogni poliziotto dovrebbe riportare sul casco e sul giubbotto un numero di riconoscimento che possa ricondurre alla sua individuazione, la quale, per evitare ingiuste eventuali ritorsioni contro di lui da parte di malintenzionati, dovrebbe essere possibile solo da parte della sua struttura interna e della magistratura. La possibilità di questa identificazione responsabilizzerebbe ogni singolo poliziotto, scoraggiando gli abusi. Cito un episodio: essendo genovese, alla TV riconoscevo con estrema facilità i luoghi della manifestazione. In particolare mi colpì una scena: passeggiata di Corso Italia, al sole, tanti ragazzi seduti pacificamene per terra, sul marciapiede. Alcuni poliziotti camminavano fra di loro, lentamente, distribuendo manganellate a caso, con violenza, senza alcuna necessità o motivazione.