MALA TEMPORA CURRUNT

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 6 Ottobre, 2018 @ 6:34 am

Detto altrimenti: la nostra Autonomia Speciale sta vivendo un gran brutto periodo … (post 3341)

Imminenti elezioni amministrative in Trentino. Ho assistito ad una riunione di presentazione dei candidati di un partito e del relativo candidato presidente, il quale, in difesa della nostra Autonomia, ha messo in guardia contro il meccanismo perverso insito nella politica dello Stato di riduzione delle imposte. In sintesi: alle regioni a statuto ordinario la riduzione delle imposte provocherà minori entrate fiscali, bilanciate però  da maggiori trasferimenti da parte dello Stato che sua volta farà fronte ai maggiori esborsi aumentando il proprio indebitamento. Le Provincie Autonome del Trentino Alto Adige non beneficiano di trasferimenti da parte dello Stato, ma vivono del loro, trattenendo la maggior parte delle imposte statali. In tal caso, la riduzione fiscale comporta minori entrate pubbliche di 500 milioni di euro l’anno per ognuna delle due Provincie Autonome. Primo nostro impoverimento. Ma successivamente subiremo un secondo impoverimento, quando saremo chiamati a contribuire a saldare il maggior debito pubblico statale. La sua conclusione: occorre una presidenza provinciale non “dipendente” dai partiti centrali, la quale possa opporsi con forza a tali manovre.

Per inciso: la minore tassazione favorirà maggiormente i redditi privati più elevati, i cui titolari  poi non è detto che reinvestano quanto risparmiato nel sociale e nel pubblico, come invece avrebbe fatto la PA con quei denari: ci si augura quindi che  quei privati reinvestano nel settore produttivo privato. Vedremo.

Ed ecco le mie osservazioni. L’ideale sarebbe che la funzione tributaria fosse una funzione “autonoma” e rientrasse nelle competenze dell’Autonomia. Ma le competenze sono determinate per legge ordinaria e costituzionale e la funzione legislativa – ove si attuasse la cosiddetta democrazia diretta – sarà nelle mani di poche persone, i nuovi oligarchi (si legga al riguardo il post precedente).

L’unica salvezza ci può venire dall’UE la quale non si può permettere di perdere uno degli Stati fondatori, uno dei maggiori consumatori dei propri prodotti: l’Italia. Già, perchè è questo il braccio di ferro in corso: “Io tiro dritto, io non mollo, tanto alla fine a mollare sarete voi!”. Italiani consumatori, questa è la verità, e se noi si tornasse alla lira, sarebbero ben pochi i prodotti UE che potremmo permetterci di acquistare.

La moneta questa sconosciuta. Parliamone un poco. Essa rappresenta il valore del bene-nazione: “Io ti pago con questa moneta nazionale (per l’euro, plurinazionale) e tu la accetti perché è come se io  ti pagassi con un bene concreto, in quanto tu hai la garanzia di poterla convertire in beni concreti o in oro: te lo garantisce lo Stato (o gli Stati) che l’hanno emessa”. Orbene, l’Euro rappresenta la ricchezza europea, cioè un mix di quella tedesca, francese, italiana etc.: un mix di ricchezze più forti e di quelle più deboli. Ma se tornassimo alla lira, essa rappresenterebbe solo la nostra ricchezza e nei confronti dell’estero varrebbe meno. In breve: aumenterebbe di molto il costo in lire delle materie prime, dell’energia e del ripianamento del nostro debito pubblico. E lo Stato, per far fronte, aumenterebbe tasse e imposte. E noi? Noi tutti molto più poveri. E’ questo che vogliamo? Per fortuna nostra, l’UE non ha proprio interesse a che noi si esca dall’Europa! Ed è questa la ragione-scommessa-sfida di chi “tira dritto e non molla”.

Ma… la gente … la nostra gente … capisce tutto ciò? Capisce l’inganno della cosiddetta democrazia diretta? Capisce l’inganno del canto ammaliante delle sirene che offrono tutto a tutti, costi quel che costi? Capisce la trappola dei nuovi Mangiafuoco e del loro Paese dei Balocchi che ci sta facendo diventare tutti tanti asinelli? No, la gente non lo ha capito ed infatti ha votato le sirene che ci stanno dando bastone e carote: il bastone … quello di chi tira dritto e non molla; le carote di chi in TV, con toni dolci e ammalianti, dichiara di volere realizzare la felicità di tutti, una felicità che lui ha promosso a fattore della produzione.

Che fare? Ricominciamo almeno da qui, dalle nostre elezioni amministrative, rispetto alle quali – e qui esagero, ma una provocazione ci vuole – dovrebbero essere esclusi i partiti nazionali oppure si dovrebbe cambiare loro il nome e definirle non più elezioni amministrative ma elezioni politiche locali.

Chiudo con una parola sull’Autonomia. Don Lorenzo Guetti, il padre della Cooperazione, fondò la sua azione su un principio: corresponsabilizzazione di ognuno, ovvero coincidenza fra potere e responsabilità nel fare, nel fare qualcosa di concreto, cioè nel realizzare il Bene Comune che è tale non perché usufruito da tutti ma perché costruito sin dall’inizio con l’apporto di ogni singolo cittadino. Ecco la nostra diversità: noi non diciamo “Lo Stato ci deve dare, lo Stato deve fare …”, bensì diciamo “Noi ci governiamo, noi produciamo e diamo una percentuale allo Stato a fronte delle sue competenze” che a mio sommesso avviso dovrebbero essere solo Giustizia e Difesa. Non altro. Evviva la Demoautonomia!

E se mi sbaglio mi corrigerete.

P.S.: la “nuova politica”? Semplicemente disorientante! Sono venuti meno gli ideali e le idee. Tutto è stato buttato dentro un calderone e rimescolato. Ingredienti contraddittori, teoricamente singolarmente incompatibili fra di loro si sono trovati a stretto, reciproco contatto dentro il pentolone della retorica e del populismo qualitativo. E il cliente (l’elettore)  dapprima è disorientato. Poi non volendo apparire tale, accetta con decisione e (finta) convinzione il menù che gli viene offerto, mostrando di apprezzarlo, visto che lui sì che è un intenditore!

Mi viene in mente un fatto vero: un mio amico   (burlone) invita a cena due suoi amici entrambi sommellier. In cucina travasa di nascosto vino da un cartone molto ma molto economico in una bottiglia di pregiato vino francese. Arrivato in sala, al cospetto dei due ospiti finge di stappare la bottiglia “francese” e ne offre in assaggio ai due. Il primo beve e tace: evidentemente è perplesso, non approva, non cade nella trappola  ma educatamente si astiene.  Il secondo – al pari dell’elettore che non capisce ma vuole apparire come quello che ha capito tutto – esamina il vino in controluce, ne valuta l’aroma, sorseggia, riflette e proclama: “Ah, i Francesi bisogna lasciarli stare: retrogusto di mandorla, profumo di viola, morbido al palato, caldo, etc. “ (Alla fine il burlone svela il trucco e perde un  amico, ma questa è un’altra storia).

Solo che, il giorno dopo, al falso esperto di vini e all’elettore  sono venuti bruciori – rispettivamente – di stomaco al primo e in altra parte del corpo assai meno nobile, al secondo.

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