DETENUTO IN ATTESA DI GIUDIZIO

pubblicato da: Riccardo Lucatti - 18 Agosto, 2012 @ 7:35 am

Detto altrimenti: ho appena rivisto questo alla TV

 

Nanni Loy, 1971 (anno del mio matrimonio con Maria Teresa). Un gran film. Roba a terzo mondo. Che fa riflettere. E’ di questi giorni l’ennesimo interessamento di alcuni parlamentari per lo stato delle carceri e soprattutto dei carcerati italiani. La nostra legge afferma che la pena è volta alla rieducazione del condannato. Quando mai ….!? Siamo coerenti: o cambiamo il sistema carcerario o cambiamo la legge. Questa è la prima osservazione, sull’ipocrisia, incongruenza e incoerenza  del sistema.

 

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La seconda riguarda l’atteggiamento del direttore del carcere, magistralmente interpretato da Lino Banfi. Superficialità, nessun coinvolgimento nel dramma dei suoi amministrati, efficienza senza efficacia. Efficienza: le strutture sono fatiscenti e “sgarrupate” (letteralmente, “cadenti a pezzi”)? Scriviamo un sollecito a chi di competenza, e siamo a posto. Se poi il risultato non arriva, a noi che ce frega? La nostra parte l’abbiamo fatta. Efficienza che copre, nasconde, assolve la mancanza di efficacia, del risultato e della connessa responsabilità. “Scriviamo, inoltriamo a chi di competenza …” e poi, que serà serà, cantava Doris Day …

 

Il Ministro della Giustizia Severino

Terza ed ultima osservazione. Siamo all’epilogo. L’avvocato (d’ufficio) dell’imputato ed il giudice hanno appena comunicato al detenuto che si è trattato di un equivoco. Il detenuto ormai è segnato nel corpo e nella mente, non è più completamente compos sui, cioè padrone delle proprie facoltà mentali, al punto che fatica persino ad apporre la sua firma sul “verbale assolutorio”. Viene quasi rimproverato, con un tono a metà fra il paternalistico ed il bonario, che, si, vabbè, un po’ è stata anche colpa sua … se avesse parlato … Ma se nemmeno gli era stata data questa possibilità! Letteralmente rapito ai suoi cari, alla libertà, senza una parola di giustificazione, senza che gli fosse mostrato il mandato di arresto, senza una parola, nulla! Via … ma qui viene il bello (si fa per dire): mentre il detenuto ormai non più tale, aiutato dallo psichiatra, faticosamente appone la propria firma sul foglio che lo proscioglie in istruttoria, avvocato e giudice si appartano, solo pochi metri più in là, e disquisiscono dei difetti del sistema giudiziario e carcerario, confrontandosi sul problema come se fossero al tavolino di un bar, in maniera teorica, assumendo un’aria dotta, attenta, riflessiva, reciprocamente disponibile all’ascolto, completamente avulsi dalla realtà del dramma che si consuma a pochi passi da loro. Ecco, questo stare lontani dal dramma reale, concreto, non solo dei carcerati ma anche dei disoccupati, giovani o maturi che siano, questo disquisire sui modelli di soluzione applicati o applicandi, questo “consùlere” vuoto della responsabilità dell’immediatezza, senza considerare che anche un solo delle migliaia di drammi che si stanno consumando nelle carceri e famiglie italiane merita ben più attenzione di qualsiasi studio teorico, di qualsiasi ragionamento programmatico, di qualsiasi “modello di soluzione”!

Lo storico Tito Livio

Consùlere? Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur, tradotta letteralmente, significa “mentre a Roma si discute, Sagunto viene espugnata” (Tito Livio, Storie, XXI, 7, 1). La frase non è pronunciata dagli ambasciatori di Sagunto andati a Roma per chiederne l’intervento al fine di rompere l’assedio che nel 219 a.C. il generale Cartaginese Annibale Barca aveva posto alla città, bensì è l’amaro commento di Livio alla situazione. Roma tergiversò:  dopo otto mesi di combattimenti la città si arrese e Annibale la rase al suolo. Questo attacco fu il casus belli della seconda guerra punica.

 

 

Il generale cartaginese Annibale Barca

 

Mentre nelle aule parlamentari, al governo, nelle varie sedi giudiziarie, nelle direzioni delle carceri, in un angolo della stanza che ospita una delle ultime inquadrature del film si discute, mentre accade tutto ciò, si consuma il dramma dei suicidi nelle carceri, della disoccupazione, degli sfratti (nella realtà) e di un uomo rovinato nel lavoro e nella salute (nel film). Quale “guerra” vogliamo oggi che derivi da simili disattenti ed irresponsabili comportamenti? Ma la Storia, non dovrebbe essere magistra vitae?